VENTITRÈ

247 36 70
                                    




Il dottor Ruperti si alzò, armeggiò per un attimo intorno a una delle macchine sul tavolo e si girò verso Damiano con una siringa in mano.

"Piano..." disse questi indietreggiando sul divano "Cosa avete intenzione di fare?"

"Solo un piccolo prelievo di sangue, dobbiamo verificare che i marcatori che sono indicati nel tuo fascicolo personale corrispondano. È solo il punto di partenza."

"Sì, e poi cosa vorreste farmi?"

"Dei test, degli innocui test per il quoziente di intelligenza, come quelli che ti facevano da bambino. Prima di iniziare quelli, abbiamo tutti bisogno di una bella notte di riposo. Ora però il prelievo, dammi un braccio."

Damiano sollevò la manica della maglia ed espose l'incavo del gomito. Ruperti, con aria molto professionale, disifettò la cute e infilzò al primo colpo una delle vene bluastre che trasparivano attraverso la sua pelle cerea.

"Poi dovremo lavorare un po' sulla tua abbronzatura... Tieni premuto" soggiunse il medico applicando un cerotto sulla sede del prelievo.

"In che modo, mi portate alla luce del sole?"

"No, per ora no. Il cielo artificiale emette le giuste dosi di raggi ultravioletti. Cioè, giusta per noi, se tu rimanessi mezza giornata all'aria aperta ti procureresti gravi ustioni. Nella doccia è integrata una lampada ad UVA, ho inserito un programma per rieducare gradualmente la tua pelle."

"Devo farmi le lampade?"

"Certo, ogni dodici ore. Se vuoi passare inosservato devi toglierti quel colorito da fantasma dell'opera."

Il medico tornò al tavolo e inserì la siringa nell'apposito alloggiamento di una macchina.

"Dodici ore" disse "Domattina avremo i risultati sul tuo profilo genetico. Ora noi ce ne andiamo. Questa è una residenza sicura dotata di tutto, quello che non trovi da solo te lo dirà il visore."

"Bene" disse la Necchi "ci vediamo domattina. Fatti una doccia e togliti tutto quel cerone. E ricordati la lampada!"

Detto questo i due presero le scale e se ne andarono lasciando solo Damiano ad ascoltare il suono dell'auto che usciva dalla rimessa e della serranda che si richiudeva. Era ancora frastornato dalla mole di eventi accaduti nelle poche ore precedenti. C'era un piano che lo riguardava e un misterioso soggetto dalla voce cavernosa che reggeva le fila. E ancora una volta era chiuso dentro qualcosa, prigioniero di qualcuno. Questa era il fatto che più lo angustiava: la sua impressione era di aver fatto un passo avanti e due indietro nella ricerca della libertà a cui anelava. Era al livello ventiquattro e la luce del sole non gli sembrava più vicina di quando era giù al ventinove. Forse quei due volevano aiutarlo, molto probabilmente volevano sfruttarlo, ma comunque apprezzava il fatto che non gli avessero sparato o tentato di cavargli gli occhi. In più rispondevano alle sue domande, anche se in modo talora sibillino, e questo voleva dire moltissimo per lui. L'esigenza di dare un senso al mondo che lo circondava era vitale per il suo equilibrio mentale messo a dura prova.

Si alzò e andò a vedere il bagno. Era un ambiente abbastanza anonimo, caratterizzato solo da una doccia dall'aspetto tecnologico, ed era cieco. Ne uscì e scese le scale fino alla rimessa. Anche quella era priva di finestre e l'unica apertura era la serranda avvolgibile, priva di serrature o maniglie. A lato della saracinesca c'era un tastierino numerico, ma lui non conosceva la combinazione e il visore non gli veniva in aiuto. Per il resto la stanza era completamente spoglia.

Il visore continuava a srotolare pubblicità e notiziari, ma per il resto non gli diceva nulla di realmente utile. La geolocalizzazione lo informava solamente del fatto che si trovava in uno stabilimento della Happy Pig Inc. nella ventiquattresima strada ovest della zona industriale del quadrante Veneto nord-orientale. Aprendo i dettagli scoprì che Happy Pigs era una divisione del settore Food del Gruppo Prosdocimo. Tutto molto preciso e dettagliato, ma a lui non diceva nulla, a parte il fatto che era in casa del suo supposto nemico.

Risalì mestamente le scale fino al covo e decise per l'intanto di obbedire agli ordini. Lasciò il visore su un bracciolo del divano, si spogliò e gettò i vestiti usati in un angolo del bagno e infine si infilò in doccia. Soffregò tutto il corpo e in particolare la faccia piena di cerone con una spugna monouso intrisa di un doccia-schiuma profumato di pino e di un meraviglioso e intenso colore verde.

Quei piccoli dettagli gli facevano un gran piacere, ricordando i fluidi marroncini che aveva utilizzato fino ad allora credendoli colorati. Quando si fu sciacquato per bene premette il pulsante per l'asciugatura e fu avvolto da potenti getti d'aria dalla temperatura confortevole, poi attivò le lampade UVA e chiuse gli occhi.

Dopo appena dieci secondi l'intensa luce sparì, evidentemente quella era la dose preimpostata di cui aveva parlato Ruperti. Uscì dalla doccia e si mise davanti al lavandino a occhi chiusi appoggiando le mani al bordo, poi alzò la testa e aprì gli occhi. Davanti a lui, nello specchio, c'era di nuovo quella versione malata di se stesso che aveva visto in ambulatorio. Sollevò una mano a pizzicarsi le guance. Una barbetta ispida di peli quasi incolori gli contornava il mento. Vide un rasoio sonico sulla mensola e lo passò sulla pelle del viso per rimuoverla.

'Così mi abbronzo meglio' pensò constatando che per il resto il suo aspetto non era migliorato affatto.

I capelli continuavano a essere stopposi e di un castano sbiadito e smorto, la pelle una massa di cera attraverso cui pensava di poter vedere i denti, le ossa, da tanto sembrava trasparente. Gli occhi nocciola, come sapeva di averli sempre avuti, spiccavano come due profonde pozze in quell'assenza di colore e gli conferivano uno sguardo febbrile, quasi inquietante.

'Bah, migliorerà...' pensò facendo spallucce, imitato dal suo amico malato dentro lo specchio.

Uscì dal bagno e si diresse all'armadio, dove scelse una maglietta del colore più acceso che c'era, un arancione brillante, e dei comodi pantaloni da ginnastica blu scuro. Mise anche delle ciabatte da albergo e così pulito e abbigliato andò al tavolo.

Lo strumento per l'analisi del sangue mostrava solo un timer e la scritta 'PCR in progress', qualunque cosa volesse dire. Riconobbe un microscopio, anche se gli sembrava infinitamente più complesso di quelli che aveva visto a scuola, e un computer dall'aspetto potente e costoso con un enorme monitor panoramico e una tastiera a sfioramento. Gli altri macchinari non gli dicevano nulla.

Sedette davanti al computer e posò le mani sulla tastiera. Lo schermo si illuminò e comparve una scritta: 'Utente non riconosciuto, si prega di indossare il visore'

 Lo schermo si illuminò e comparve una scritta: 'Utente non riconosciuto, si prega di indossare il visore'

Oops! This image does not follow our content guidelines. To continue publishing, please remove it or upload a different image.
Realtà virtuale - Il viaggio di DamianoWhere stories live. Discover now