DICIANNOVE

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Damiano rimase seduto sulla lavapavimenti fissando la porta. Il suo peso avrebbe contribuito a fermare i suoi assalitori fino a che non si fosse fatto venire un'idea per sfuggire loro. Almeno i fari della macchina, il loro riflesso sulla porta, illuminavano la stanza quel tanto da permettergli di farsi un'idea.

In alto sopra gli armadi c'era una griglia dell'aria condizionata. L'idea di strisciare di nuovo nei condotti non gli sorrideva affatto, ma questa volta avrebbe potuto usare la luce d'emergenza e comunque era l'unica via d'uscita, quindi non pensava fosse il caso di fare i sofisticati.

Ancor meglio dei fari, di fianco alla porta c'era un interruttore. Lo premette e una forte luce bianca  inondò la stanza. Deciso a prendere quella via, infilò il suo zainetto, salì in piedi sul sedile della macchina e saltò verso gli armadi. Scoprì che i suoi calcoli erano sbagliati, talmente errati che franò contro le porte con un terrificante rumore di ferraglia. Si fece anche un gran male ai gomiti.

Decise di sedere ancora sulla macchina e studiare meglio la situazione. Con la luce accesa i fari non gli servivano più, quindi girò la chiave in posizione 'off'. Finalmente il silenzio scese nella stanzetta. Questo lo aiutava a pensare. Però lo disturbava parecchio la vocina che ora sentiva filtrare attraverso la porta. Non riusciva proprio a fare a meno di ascoltarla.

"...per aiutarti, apri ti prego. Devi fidarti di me, ti ho tenuto fra le mie braccia..."

La voce della Necchi muoveva antiche corde nella sua anima.

"...altrimenti arriveranno quelli dell'assistenza, mi hai capito? Non... fare... rumore..."

Damiano si mise a pensare. Aveva visto la Necchi, Ruperti e nessun altro, e il dottore in fondo aveva deciso di proteggerlo e di aiutarlo. Forse anche lui era dalla sua parte, anche se non riusciva ad immaginarne il motivo. O forse l'avrebbero catturato e consegnato.

Non aveva davvero elementi per decidere. Fidarsi o non fidarsi. Se doveva basarsi sulle esperienze recenti la scelta era già fatta: scappare a gambe levate. Ma qualcosa negli occhi di quelle due persone... lo sguardo umano e rassegnato di Ruperti, l'amore negli occhi della Necchi...

Perfettamente conscio del rischio mortale che stava correndo, tirò la leva per la retromarcia e allontanò la macchina dalla porta, poi si avvicinò, rimase in ascolto per qualche secondo, infine afferrò la maniglia e la tirò a sè.

"Oh, grazie a Dio!" disse la signorina Necchi con le mani giunte.

"Presto, vieni con noi" disse il dottor Ruperti "abbiamo pochissimo tempo e un sacco di cose da fare."

"Ma..." provò a dire Damiano.

"Muoviti e fai silenzio!" rincarò la Necchi avviandosi lungo il corridoio con le vetrate.

Damiano seguì i due fino alla biforcazione e poi lungo il corridoio a destra. Il silenzio era interrotto solo dal suono dei tacchi della donna e dal cigolio della suola sinistra del medico. Attraversarono una porta tagliafuoco ed entrarono in un altro piccolo corridoio pieno di porte. Ruperti si diresse sicuro verso una a metà corridoio sulla destra e l'aprì.

"Forza, di qua!" disse, e attese che i due fossero entrati prima di chiudere, poi continuò: "Sdraiati sul lettino!"

Damiano guardò perplesso la stanza. Era evidentemente un ambulatorio chirurgico con lampada e armadietti pieni di strumenti dall'aspetto poco rassicurante.

"Io non vado più da nessuna parte se non mi spiegate che cosa sta succedendo e cosa volete farmi."

Il medico, che gli stava davanti con le braccia incrociate sul petto, sollevò una mano e si indicò la tempia.

"Cosa vuol dire quel gesto?" chiese Damiano irritato "Non sono fuori di testa, sono solo stanco e stressato. Avete idea di cosa siano stati gli ultimi giorni per me?"

"Le guide del visore" disse Ruperti "dove credi di andare con quei pezzi di titanio sulle tempie e quel colorito da malato terminale? Guardati."

Il medico indicò uno specchio sulla parete e Damiano vi si avvicinò. Quello che vide lo lasciò completamente senza fiato. Alzò persino una mano e l'avvicinò allo specchio per essere sicuro di essere lui quel tizio che lo fissava. I capelli erano disordinati ciuffi stopposi che spuntavano dal cranio, la sua pelle era di un bianco azzurrino, quasi trasparente, con le vene blu che spiccavano in trasparenza. Aveva delle occhiaie fonde e scure, le sue guance erano cadenti, le labbra cianotiche e screpolate.

Forse quell'individuo poteva essere lui, un po' ci assomigliava forse, ma stava male, dall'aspetto che aveva si poteva prevedere che avesse ancora pochi giorni da vivere. Si portò le mani al viso per toccarsi, per dare un senso tattile a quella immagine sconosciuta che lo specchio si ostinava a rimandargli.

"Ma come cazzo ho fatto a ridurmi così?" chiese appena la sua mente riuscì ad accettare la realtà.

"Non farti spaventare dall'apparenza" disse la signorina Necchi "Tu sei in perfetta salute, tutti i nutrienti, le vitamine che ti servono ti sono sempre stati forniti. Ai controlli medici, poi... dottore?"

"Tutto regolare, il nostro Damiano è in perfetta forma. Ha solo il tipico aspetto di un abitante dei livelli G. Il visore ti mostrava un'altra immagine, Damiano, era un'immagine teorica, falsa, lo capisci questo?"

Damiano annuì, pur continuando a fissare incredulo quell'individuo repellente che si muoveva nello specchio davanti a lui.

"Adesso stenditi" riprese il dottore "Se vuoi andartene da qui, dobbiamo rimuovere le guide e darti un aspetto più decente."

Damiano annuì di nuovo e andò a stendersi docile docile sul lettino. Il medico gli puntò sul volto una lampada così forte da impedirgli di tenere gli occhi aperti, poi aprì numerose buste sterili e rovesciò il contenuto su un tavolino metallico, si lavò le mani, mise dei guanti e prese ad armeggiare con il viso di Damiano.

Ogni tanto chiedeva alla signorina Necchi di passargli qualcosa. Damiano neanche ascoltava, era come imbambolato. Era riuscito ad accettare molte cose riguardo la sua vita precedente, ma quello stravolgimento della sua immagine di sé aveva colpito duro, nel profondo della sua coscienza.

Mentre il medico trapanava, svitava, ricuciva, disinfettava, lui rimaneva in una specie di trance e continuava a chiedersi: 'chi sono io... io chi sono?'

Quando il medico ebbe finito, fu la volta della signorina Necchi. Damiano la sentì applicare delle sostanze profumate su tutta le pelle del viso, la sentì strigliargli e impomatargli i capelli e poi stendere con un morbido pennello qualcosa che gli faceva pizzicare il naso.

"Ecco, Damiano, ora puoi alzarti e guardarti allo specchio" disse la donna.


"Ecco, Damiano, ora puoi alzarti e guardarti allo specchio" disse la donna

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