ASTRAEA "Il sangue degli Eter...

By Solaris_23

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By Solaris_23

Il sole aveva già iniziato a illuminare Aracieli da un po' ed io mi ero svegliata di buon ora, con le prime luci dell'alba. Tuttavia, non avevo la forza né la voglia di alzarmi dal letto, non se la visione paradisiaca del Dio della manipolazione addormentato nel mio letto mi ossessionava.

Era la terza mattina consecutiva che Vel rimaneva a dormire in camera mia e, sicuramente, non lo faceva per passare il tempo che, in ogni modo, lo trascorravamo facendo cose non propriamente caste e pure.

Sorrisi e sentii le mie guance diventare roventi al solo pensiero della notte di fuoco che avevamo trascorso insieme.

Era stato tutto meraviglioso, anzi, per correggermi, lui lo era ed io non potevo fare a meno di ammirarlo e idolatrarlo.

In quel preciso momento, io ero tra le sue braccia, accoccolata a lui e con la guancia destra del viso premuto sul suo petto sodo e che sembrava essere stato scolpito nel marmo.

Il suo braccio sinistro mi circondava la vita sottile, mentre la sua mano era parcheggiata sulla mia natica sinistra.

I nostri corpi nudi erano coperti solo da un lenzuolo nero.

Lo guardai attentamente, sollevando ancora di più il capo nella sua direzione. I capelli neri e ondulati erano scompigliati e decisamente molto disordinati. Alcuni ciuffi gli accarezzavano la fronte e quasi arrivavano a toccargli le ciglia folte e nere che sfioravano le sue guance.

Se non stesse dormendo e temessi di svegliarlo, gli avrei senza ombra di dubbio spostato delicatamente quella ciocca, così come mi sarei fiondata sulle sue labbra leggermente dischiuse, pronta come non mai ad annegare in quel mare di sensazioni mozzafiato che lui era in grado di farmi provare solo con quel semplice contatto.

Lo amavo.

Per tutti gli Dei, eccome se lo amavo.

In tutta la mia breve vita, ero quasi completamente sicura di non aver mai amato una persona come stavo iniziando ad amare lui.

Era un sentimento puro, innocente, dirompente. Un'emozione che, a parole, non saprei bene come descriverla ma posso affermare con assoluta certezza che è un sentimento riesce ogni giorno a riempirmi il cuore di gioia. Ogni volta che sono in sua compagnia, tutto ciò riesce a farmi sentire leggera, come se il mio corpo fosse sospeso tra le nuvole.

Abbassai lo sguardo sui suoi bicipiti in bella mostra e mossi leggermente le dita sul suo petto, disegnando strani simboli indefiniti. Ad un tratto, di scatto, la sua mano afferrò la mia saldamente, bloccandola. Quel semplice gesto bastò a farmi quasi sfuggire un leggero lamento a causa dello spavento e della piccola fitta di dolore ai palmi delle mani, ancora decisamente troppo sensibili al contatto con qualunque cosa.

«Continua a fissarmi come stavi facendo fino a poco fa» esordì Vel, con la voce ancora impastata dal sonno.

Il mio cuore ebbe un sussulto e le farfalle ripresero a svolazzare nel mio stomaco.

Alzai nuovamente lo sguardo su di lui e non potei evitare di sorridere nel vedere il modo pigro in cui le sue palpebre si sollevavano, mostrandomi due iridi incandescenti. Sbagliavo, o all'interno di esse vi si poteva leggere un desiderio logorante? «Buongiorno, amore» dissi.

Le sue labbra si distesero, allargando ulteriormente il suo sorriso mozzafiato. «Ti prego, dimmelo ancora.»

Sollevai ironicamente un sopracciglio. «Dirti cosa? "Buongiorno"?»

Vel scosse il capo. «No, ciò che hai detto subito dopo.»

Mi finsi perplessa, incapace di comprendere a cosa in realtà si stesse riferendo. «In tutta onestà, credo di non ricordare bene ciò che ti ho detto, potresti rammentarmelo tu?»

Il suo sorriso malizioso e birichino fece capolino sul suo bel viso. Si spostò rapidamente, posizionandosi sopra di me e premendo la parte del suo corpo più dura contro la mia più morbida. Il mio desiderio si risvegliò in un solo istante. Con una mano mi accarezzò il viso, spostandomi varie ciocche viola, mentre con l'altra si ergeva su di me, evitando così che il mio esile corpo venisse schiacciato dal suo peso. «"Amore"» disse, guardandomi con estrema dolcezza. «Voglio che tu continui a chiamarmi così per il resto della tua vita, Astraea.»

Non potei evitare al mio sorriso di allargarsi a dismisura e alle mie guance di imporporarsi di rosso per il leggero imbarazzo.

Portai una mano sul suo viso e lo accarezzai con dolcezza, imitando il modo in cui lui aveva fatto con me, fino a pochi istanti fa. «Te lo ripeterò all'infinito se ciò bastasse a renderti felice e a vedere questo splendido sorriso sul tuo volto, amore.»

Il suo cuore iniziò a battere più velocemente, proprio come il mio, mentre i suoi occhi rossi si illuminavano, emanando una luce talmente intensa che pensai potesse essere in grado di accecarmi. «Per rendermi felice, basta solo che io ti abbia accanto» disse e, subito dopo, posò le sue labbra sulle mie, lasciandomi un casto e tenero bacio che non bastò a placare la voglia che lui aveva fatto riaccendere in me.

Peccato solo che, qualunque fossero le mie aspettative decisamente poco pure ed innocenti, non accadde nulla più di quell'effimero contatto tra noi: Vel, subito dopo, si spostò rapidamente, alzandosi dal letto e mostrando il suo corpo nudo e pieno di grazia.

I miei occhi si concentrano inizialmente sulle sue braccia che si stiravano sul suo capo, dopodiché scesero un po' più in giù dove gli addominali scolpiti terminavano in una V perfetta.

«Sei davvero una piccola pervertita» disse il Dio della manipolazione, cogliendomi in fragrante mentre fissavo insistentemente il suo membro.

Arrossii violentemente e distolsi immediatamente lo sguardo, cercando di guardare altrove nonostante la voglia che avessi di riposare il mio sguardo su di lui.

Mi morsi il labbro e iniziai a giocherellare con le dita delle mie mani. «Non è vero...!»

Nella stanza rimbombò il suono della sua risata genuina e spontanea. Non potei resistere e lo guardai ridere mentre le mie guance andavano ancora a fuoco. Spostai nuovamente lo sguardo solo quando le sue iridi fiammeggianti furono puntati su di me.

Mi si avvicinò e, mettendomi un paio di dita sotto il mento, mi costrinse a guardarlo in faccia.

Ero in imbarazzo e il suo sorriso malizioso non faceva altro che aumentare il disagio che stavo provando in quel preciso momento. I suoi occhi mi scrutavano con attenzione e quasi mi persi in quel pozzo di lingue di fuoco rosse. «Non voglio che ti vergogni di ciò che fai quando sei con me, Astraea.»

Quella strana sensazione di disagio un po' si offuscò. «Dici davvero? Non pensi che io sia una spudorata?»

Gli angoli della sua bocca si incurvano ancora di più verso l'altro, allargando il suo sorriso mozzafiato. «No, non lo penso» affermò, per poi eliminare il contatto fisico e visivo che avevamo instaurato, iniziando a rivestirsi.

Lo guardai mentre si infilava gli indumenti intimi e subito dopo i pantaloni neri e la camicia leggermente sgualcita.

«Sei di fretta questa mattina...» constatai, leggermente imbronciata.

Vel iniziò ad abbottonarsi la camicia bianca. «Tua madre vuole che la raggiunga il prima possibile per parlare di ciò che è accaduto con Inara» affermò. «Credo che voglia iniziare a pianificare qualcosa per renderla innoffensiva e per evitare che possa usare ancora i suoi poteri contro di noi.»

Mugugnai in risposta e, una volta completamente rivestito, il Dio della manipolazione ritornò da me per baciarmi sulla fronte con estrema dolcezza.

Chiusi gli occhi e trattenni il fiato quando sentii il calore del suo corpo e le farfalle ripresero a svolazzare nel mio stomaco.

Inoltre, come se non fossero abbastanza tutte le sensazioni che stavo provando in quel preciso istante, il suo profumo di terra fertile lenzuola pulite mi stava inebriando.

Per tutti gli dei, avrei riconosciuto il suo profumo anche in mezzo ad una folla di gente al mercato del pesce.

Ero davvero fregata.

«Ora devo andare, piccola» iniziò col dire il ragazzo che mi aveva letteralmente rubato il cuore. «Cercherò di tornare il prima possibile da te.»

Mi lasciò un altro bacio sulla fronte e, dopodiché, se ne andò, lasciandomi sola in quella stanza che, senza di lui, mi sembrava così dannatamente grande e spaziosa.

Sospirai e decisi di buttarmi giù dal letto.

Mi sarei tenuta occupata mentre Vel era via.

Per prima cosa, corsi in bagno per immergermi in una vasca piena d'acqua calda e, dopo essermi asciugata e rivestita dovere, decisi di dare una riordinata alla mia camera che era leggermente sottosopra.

Mi avvicinai alle tende e le aprii, facendo la stessa identica cosa anche con le finestre, in modo tale che potessi far entrare un po' d'aria fresca che iniziava a portare con sé gli aromi e le fragranze di vari fiori che sarebbero sbocciati di lì a breve.

La Stella primaverile era alle porte.

Mi voltai nuovamente in direzione del letto disordinato e iniziai a sistemarlo a dovere fin quando il mio sguardo non fu catturato da un quadernino che sbucava fuori dal letto, gettato sul pavimento dopo di esso.

Mi chinai per raccoglierlo e quando lo presi in mano notai che quello era il quaderno nero che avevo rubato senza rimorso dalla Camera di Brisey, l'Eterna dominatrice del tempo.

Chissà come ci era finito lì.

Quasi mi ero anche dimenticata della sua esistenza, in tutta onestà.

Mi sedetti sul letto e iniziai a sfogliare le pagine giallognole fino a ritrovare il punto esatto in cui avevo interrotto la lettura, giorni addietro.

La curiosità di conoscere tutto ciò che vi era stato riportato su quel quaderno nero non si era di certo placata. Fu per questo motivo che ripresi a leggerlo.

[...] Il sangue gli ha dato la vita e il sangue può rigenerarlo, donandogli ancora più forza, forza che verrà infusa anche alle Divinità e agli Eterni.

Tuttavia, necessita di un certo tipo di sangue.

Lacrime del Fato Oscuro necessita del sangue dei figli, senza poteri e a cui non è stata concesso il dono dell'immortalità, nati dall'unione di due Eterni.

È questo il prezzo da pagare per la sua infinita generosità nei confronti del destino riservato ai suoi figli: una vita eterna in cambio di una vita mortale.

Queste creature, hanno sì l'aspetto di un comune essere divino o eterno che sia, ma nel loro sangue non vi è la più piccola traccia di immortalità. Sono esseri fragili, deboli, mortali.

Sono esseri umani camuffati da esseri divini.

Una volta che uno di questi esseri è in procinto di raggiungere i diciassette anni stellari, lo stesso anno in cui gli Eterni si risvegliano e attingo a tutti i doni che gli vengono concessi sin dal momento della nascita, inizieranno ad apparire i marchi di Lacrime del Fato Oscuro sui palmi delle loro mani, provocando all'individuo in questione lo stesso dolore che per millenni ha dovuto partire il Salice piangente nel donare vita ai suoi figli prediletti.

Il marchio, tuttavia, non appare subito: si completa in varie fasi.

Sono quattro i segni che precedono "il giorno del sacrificio" e, l'ultimo di questi (una piccola linea verticale), appare in quello stesso giorno, sancendo definitivamente il legame tra l'essere mortale e Lacrime del Fato Oscuro.

Lui invocherà a gran voce il nome di colui o colei che donerà vita, attirandolo a sé.

Dai palmi delle mani coperte dai marchi dell'albero inizierà a sgorgare il sangue rosso del predestinato, sangue destinato a bagnare le radici del Salice. Le sue foglie blu avio riprenderanno a splendere e la linfa vitale scorrerà nuovamente nel suo tronco e nei suoi rami.

Altri figli sovrannaturali saranno generati dal sacrificio del prescelto.

La sua morte porterà la vita.

Smisi di respirare.

Le mie mani tremavano come foglie mentre cercavo di tenere fermo in quadernetto nero tra le mie mani.

I miei occhi violacei, estremamente sgranati per tutte le parole che avevo letto, si concentrano sul disegno sottostante alla spiegazione super dettagliata scritta da Brisey.

Voltai uno dei miei palmi verso di me e confrontai istantaneamente i miei marchi con quello riportato sul foglio giallognolo.

Una lunga linea orizzontale che partiva dall'estremità del mio palmo fino a toccare l'altra, nell'altra direzione; una linea curva a forma di mezzaluna puntata verso sinistra ed una verso destra.

L'unica cosa che le differenziava era il fatto che non mi fosse ancora apparsa la piccola linea verticale tra le due mezze lune.

Io... Non avevo parole adatte per descrivere come mi sentivo in quel momento dopo aver scoperto una cosa simile.

Cosa significava tutto ciò?

Possibile che fossi davvero io colei...?

Deglutii, cercando di sciogliere il fastidiosissimo noto che avvertivo in gola.

Mossi le palpebre, sbattendole più di una volta, per evitare che la nebbiolina che mi offuscava la vista continuasse a non permettermi di fissare le pagine di quel quadernetto.

Gli occhi mi bruciavano terribilmente.

Sentivo il disperato bisogno di scoppiare a piangere ma, del resto, cosa avrei risolto permettendo alle lacrime di rigarmi il viso? Assolutamente nulla.

Dovevo cercare di affrontare la realtà per quanto triste e dolorosa potesse essere.

In fin dei conti, non era un dato di fatto che fossi proprio io colei che avrebbe dovuto... morire per rinvigorire il Salice piangente, anche se molte cose coincidevano con ciò che avevo vissuto negli ultimi tempi: le ferite improvvise, il dolore, il sangue, il richiamo udibile solo dalla sottoscritta del salice e il fatto che i miei poteri da Eterna non si fossero ancora manifestati.

Le lacrime premettero con più violenza dietro ai miei occhi.

Deglutii nuovamente e, con il dorso della mano, asciugai un paio di lacrime che erano sfuggite al mio controllo, mentre voltavo pagina a quel quadernetto.

Dopo una serie di pagine vuote, ecco che, finalmente, trovai il mio nome riportato all'inizio del foglio.

Vi erano riportate varie informazioni sul mio conto, tutte pressoché inutili e senza senso. Tuttavia, quando arrivai a fine pagina, il mio cuore parve smettere di battere: alla fine di essa, vi era riportata la data della mia morte e, quella data, coincideva alla perfezione con quella del mio imminente compleanno.

"Giorno 365 della Stella Invernale '503".

Il mondo intorno a me sembrò fermarsi e crollarmi letteralmente addosso.

Smisi di respirare o, forse, non avevo affatto ripreso a farlo dopo aver letto ciò che vi era riportato nelle pagine precedenti.

Quattro giorni.

Possibile che mi restavano solamente quattro giorni ancora da vivere?

Smisi di ribellarmi alla forza delle lacrime che premevano di uscire dai miei occhi e lasciai che queste mi bagnassero le guance, scendendomi fino al mento per poi far cadere le gocce calde sui fogli sottostanti.

No.

Non poteva essere vero.

Non poteva accadere tutto ciò.

No.

Non potevo accettarlo, non ora che avevo finalmente trovato la felicità.

"Vel..."

Scagliai con forza il quaderno contro la parete di fronte e urlai con tutto il fiato che avevo in corpo.

«PERCHÈ?» urlai guardando il soffitto e immaginandomi che ci fosse qualcuno in cielo pronto ad ascoltare le mie urla di dolore. «PERCHÉ MI STATE FACENDO QUESTO?»

Gridai con più forza mentre le lacrime scendevano più copiose dai miei occhi.

Mi portai le mani al petto, nel punto esatto in cui avvertivo un dolore nettamente superiore e più forte rispetto a quello che mi provocava ogni marchio che appariva sui palmi delle mie mani.

Pensare a Vel, a tutto ciò che avevo costruito con lui in questo periodo, al suo amore incondizionato che avevo finalmente conquistato, al fatto che avremmo dovuto dirci addio a breve, mi rendeva quasi impossibile continuare a respirare.

Mi sentivo soffocare, sopraffatta com'ero da una forza più oscura e maligna.

Come era potuto accadere tutto ciò?

Perché dovevo essere proprio io la predestinata a morire a causa di uno stupido albero della quale non me ne fregava un accidenti?

Non accettavo il destino che il Fato aveva deciso di riservarmi.

Non potevo.

Assolutamente.

Non era proprio pensabile che potessi accettarlo senza oppormi con fermezza.

Non credevo di meritarlo.

Urlai nuovamente, dando voce e sfogo a tutto quel dolore che mi stava attanagliando l'anima, lacerandola, ferendola, riducendola in frantumi.

Urlai fin quando non ebbi più voce e forza per farlo nuovamente.

Mi accasciai sul letto, con ancora le lacrime agli occhi, e fissai il vuoto, cercando nella mia mente una possibile soluzione per ciò che mi sarebbe aspettato di lì a quattro giorni.

Desiderai che il tempo si bloccasse.

In questa circostanza, Brisey mi sarebbe stata molto d'aiuto.

Per quanto cercavo e immaginavo quale potesse essere una possibile scappatoia da questo destino glorioso, non riuscii a trovare nulla che fosse davvero di aiuto.

Anche se mi fossi ribellata al Salice piangente e non sarei andata a "bagnare le sue radici millenarie con il mio sangue", resistendo al suo richiamo, sarei comunque morta dissanguata nel momento in cui il quarto ed ultimo marchio sarebbe stato creato sui palmi delle mie mani.

In qualunque circostanza, la morte reclamava la mia anima, desiderosa come non mai di veder scivolare via la vita dal mio corpo.

Sarei morta.

Sarei morta davvero e non c'era assolutamente niente che potessi fare per evitarlo.

Chiusi con forza gli occhi e singhiozzai sonoramente.

Fu in un momento di sconforto assoluto che mi venne in mente una cosa: non potevo e non volevo che Vel assistesse alla mia morte, non avrei mai permesso che lui soffrisse per la mia perdita improvvisa.

Avrei fatto di tutto per evitargli un dolore così grande ed immenso.

Non potevo accettare di dover vivere per pochissime ore l'amore tra di noi, di guardarlo in faccia senza scoppiare a piangere e senza rivelargli che, a breve, avrebbe dovuto dirmi addio.

Non lo avrei permesso.

Fu per questo motivo che mi tirai su, mettendomi seduta sul grande letto che era stato testimone del nostro amore, e mi asciugai le lacrime mentre la convinzione di ciò che avrei fatto sì insinuava sempre più dentro di me.

Non potevo più continuare a stargli accanto, non potevo più continuare ad alimentare il suo amore sapendo ciò a cui stavo andando incontro.

Per quanto dolorosa fosse quella scelta, dovevo dire a Vel che tra noi non poteva più funzionare.

Non avrei permesso che lui continuasse a soffrire.

Io sarei morta e il dolore per lui sarebbe stato inevitabile e devastante.

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