Sins ยป h.s

By ilxris

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"Ti avevo avvisata, tempo fa. Ti dissi che avresti fatto meglio a non innamorarti di me, sarebbe stato un pec... More

SINS
Zero: the show starts. Or, maybe, it was already started.
One: the lying lioness.
Two: who was he?
Three: mom and Jason.
Four: surprise!
Five: his name.
Six: chaos.
Seven: nightmare.
Eight: I'm sorry.
Nine: truce? Probably yes.
Ten: memories VS reality.
Eleven: drunk & nasty.
Twelve: promise you won't fall in love with me.
Thirteen: stench of burnt.
Fourteen: a call from the hell.
Fifteen: painting pain.
Sixteen: lost in confusion, like an illusion.
Seventeen: you don't know how things really are, Max.
Eighteen: born again.
Twenty: rain.
Twenty-one: he needs me.
Twenty-two: silent fire.
Twenty-three: doors.
Twenty-four: blue eyes... please, tell me a lie.
Twenty-five: the quiet before the truth.
Twenty- six: but I know one thing.
Twenty-seven: reason, feeling & some "I don't give a fuck".
Twenty-eight: point of no return.
Twenty-nine: black widow.
Thirty: black widow pt.2.
Thirty-one: let's talk about love.
Thirty-two: confessions.

Nineteen: rollercoaster.

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By ilxris

"Se per baciarti
dovessi poi andare all'inferno,
lo farei.
Così potrò poi vantarmi
con i diavoli
di aver visto il paradiso senza mai entrarci."
-William Shakespeare.

Canzoni consigliate per il capitolo:
-"Higway to Hell", AC/DC.
-"T.N.T", AC/DC.
-"Only Angel", Harry Styles.
-"Bad Medicine", Bon Jovi.
-"Keep Lying", Donna Missal.
-"Horns", Bryce Fox.
-"River", Bishop Briggs.
-"Do I Wanna Know?", Arctic Monkeys.

Harry mi aveva fatta ricredere, dimostrandomi che, talvolta, stare in sua compagnia poteva rivelarsi persino divertente.

Era come stare sulle montagne russe con lui: un momento prima ti ritrovavi ad urlargli addosso le peggiori cose e a desiderare che sparisse dalla tua vita, quello dopo invece ci costruivi un discorso serio, argomentato, addirittura profondo, e piangevi tra le sue braccia; e quello dopo ancora finivi discretamente ubriaca all'interno di un pub,
nel cuore della frizzante movida newyorkese, con le sue labbra rosse ad un palmo di distanza.

Ma forse, infondo, era proprio questo che mi piaceva di lui, poiché era tutto tranne che scontato.

Dopo il suo invito - o meglio, obbligo - a compiere una pazzia, e dopo un'appunto pazza corsa sotto l'acquazzone più forte a cui io abbia mai assistito in tutta la mia vita, eravamo infatti finiti in uno dei pub più rinomati del centro. Uno di quelli con la musica anni '70 sparata a tutto volume, gli arredi in legno e i dischi di vinile appesi alle pareti scure, straripante di persone, la maggior parte uomini, che si divertivano ad ingurgitare indicibili quantità di birra e a ballare come zombie ubriachi - quali erano, in realtà - appiccicandosi alla prima, unica ragazza che gli capitava sotto tiro. Però, onestamente, quell'atmosfera spartana aveva smesso di infastidirmi dal terzo shot in poi.

Me ne stavo seduta accanto al bancone semicircolare in noce, su uno dei tanti sgabelli che lo incorniciavano, mentre aspettavo che Harry ritornasse dal bagno.

Nonostante la precaria, e oramai quasi del tutto compromessa, lucidità in cui traballava la mia mente, l'ovattato senso di smarrimento dato dalla grande quantità di alcol che circolava nel mio sangue sembrò darmi tregua per un attimo.

E, in quell'attimo, nella mia mente comparve il volto di Jason.

All'improvviso percepii una forte fitta allo stomaco, e per poco non caddi dal trespolo a vomitare tutto il contenuto del mio intestino.

Pensare a Jason era doloroso quanto una coltellata in pieno petto. Sopratutto adesso che, trovandomi in quel locale, il mio senso di colpa per aver apparentemente e stupidamente "alleggerito"  la questione sembrava sul punto di divorarmi viva.

Lui era in coma in un letto d'ospedale, mentre io ero qui a divertirmi in compagnia di colui che si stava rivelando tutto fuorché il mio allenatore. Che razza di sorella ero?

Poggiai un gomito sulla superficie liscia del ripiano difronte a me, e il mio palmo entrò in collisione con la mia fronte.  Un respiro di pura frustrazione abbandonò le mie labbra.

«Vuoi qualcos'altro?» Mi domandò gentilmente una voce dall'altra parte del banco, che riconobbi appartenere al barista che, nel giro dell'ultima ora, mi aveva riempito il bicchiere almeno una decina di volte.

Nonostante sentissi le gambe molto gelatinose, e malgrado la pareti del grande salone sembrasse un po' ballerine, decisi comunque di prendere un altro drink, sul fondo del quale, per l'ennesima volta in quella sera, avrei affogato i miei pensieri.

In pochi minuti mi trovai sotto il naso un altro Margarita, e il forte odore di alcol m'invase subito le narici.

Non feci in tempo ad appoggiare le labbra sul bordo del bicchiere che due grandi mani si posarono da dietro sui miei fianchi, facendomi sobbalzare e per poco capitombolare dallo spavento.

«Balla per me».

Quella voce, accompagnata dall'inconfondibile profumo di colonia, fece propagare sulla mia pelle calda una lunga scia di brividi, che corsero dal punto in cui le sue labbra avevano sfiorato il mio lobo fino alla base della mia colonna vertebrale.

Quelle tre parole appena mormorate, che nel loro insieme componevano una richiesta proibita, accesero nel mio petto una fiamma ardente. Adrenalina liquida iniziò a scorrermi nelle vene, e il punto in cui i polpastrelli di Harry sfioravano appena il tessuto leggero della mia camicia sembrava andare letteralmente a fuoco.

Non me lo feci ripetere due volte.

Balzai di scatto in piedi, voltandomi verso un Harry profondamente sorpreso dalla mia reattività, che, su per giù, sebbene avessi bevuto parecchio, sembrava ancora intatta.

A metà tra il barcollare e il camminare, travolta dal coraggio versatile donatomi dall'alcol, avanzai verso il centro del locale gremito di gente, per lo più ubriaca quanto me, distanziandomi dal riccio giusto un paio di metri.

Feci un respiro profondo, passandomi le mani tra i capelli, poi giù fino al collo sudaticcio. Ero certa che l'indomani, a mente lucida, mi sarei pentita amaramente di questa mia spavalderia.

In ogni caso sarebbe stato domani; non di certo quella sera.

Sfruttai il fiammifero che l'alto tasso alcolico e il tocco di Harry avevano acceso in me, e mi focalizzai sul captare la canzone che le grandi casse poste a lato del bancone stavano riproducendo.

Higway to Hell, degli AC/DC.

Non avrei potuto chiedere di meglio.

Come una manna dal cielo, quella canzone era giunta al momento esatto per far ballare il mio corpo, che si era adattato fin da subito alle sue note ruvide e decise.

Una scarica d'energia mi attraversò dalla testa ai piedi: il battito del mio cuore e il mio respiro si sincronizzarono con gli acuti, mentre il bacino seguì a ruota i bassi del sottofondo.

Lanciai un'occhiata da sopra la mia spalla ad Harry, ben comodo su una delle tante sedute dietro di me. I miei occhi si legarono subito ai suoi, famelici, pronti a godersi lo spettacolo che avrei inscenato solo per lui.

Mi lasciai trasportare dalla melodia fortemente ritmata, ed iniziai ad ondeggiare lentamente i fianchi, passandomi le mani tra i capelli in modo sensuale. Scossi la testa in modo da ondeggiare la chioma appena sopra il mio sedere, e la gettai all'indietro, seguendo l'inclinarsi mellifluo del mio corpo con un movimento armonico delle braccia. Ruotai ancora il bacino, feci pressione sui talloni ed iniziai ad ancheggiare; su e giù, su e giù, talvolta lentamente, talvolta al passo con la canzone. Nel frattempo le mie mani modellavano il mio corpo come creta nei palmi di un vasaio.

Lanciai un'altra occhiata ad Harry da sotto le ciglia: dire che avevo la sua attenzione era un eufemismo.
Vidi il suo fiato spezzarsi per un secondo quando iniziai a disegnare nell'aria degli otto con i fianchi. Con tanto di gomiti poggiati sul bancone alle sue spalle, dietro il vetro di quello che un tempo era il mio cocktail, le sue iridi percorrevano ogni centimetro della mia pelle senza alcun ritegno, senza risparmiarsi nessun dettaglio, focalizzandosi sfacciatamente su ciascun minimo spostamento del mio corpo, su ciascun ondeggiamento del mio bacino. Senza pudore, senza pietà, leccandosi le labbra di tanto in tanto, e stringendo i pugni ogni qual volta accennassi un movimento più azzardato, mangiandomi con occhi luccicanti di viva lussuria.

Eravamo entrambi in estasi, occhi negli occhi e corpi febbricitanti anche a distanza. Ad un certo punto, mi parve persino che la musica si allontanasse sempre di più, che sfumasse nell'aria acre di quel locale, insieme alle persone che ci circondavano.

Come se per lui esistessi solo io, come se per me esistesse solo lui. Come se, in qualche strano modo, ci appartenessimo, come se fossimo legati da un filo invisibile che, quella sera, era impossibile spezzare.

Ad un tratto, dopo un paio di minuti di ondeggiamenti sensuali, in preda al caldo asfissiante della stanza, decisi di annodarmi la camicia e arrotolarne le maniche sulle braccia, nel tentativo di trovare un po' di sollievo dall'aria impregnata d'alcol, fumo e sudore che diveniva via via più appiccicosa.

Ciò, però, bastò per far risucchiare un violento respiro ad Harry, che per poco non si strozzò con il mio Margarita.

Ora, infatti, gran parte del mio ventre, ancora in movimento, si trovava esposto non solo ai suoi occhi - che adesso, sotto le luci soffuse del locale, scoprii di una tonalità più scura -, bensì a quelli di molte altre persone. O meglio, molti altri uomini.

Non ci volle tanto affinchè iniziassi a ricevere numerose occhiate d'apprezzamento da parte della maggioranza maschile presente nel locale, seguite persino da fischi e stupide battutine.
Non ci feci caso, comunque, e mi concentrai, invece, sulla musica che sentivo ancora scorrermi nelle vene, alzando le braccia e inclinando la testa di lato, mentre la lingua andava a bagnarmi le labbra secche.

Rubai un'altro sguardo alla figura di Harry, al suo petto ampio, alle sue braccia muscolose e ai bicipiti tirati a causa della posizione; alle gambe leggermente divaricate e fasciate da skinny neri che, come un guanto, ne mettevano in risalto la robustezza; al modo in cui le sue dita affusolate s'arrampicavano, salde come un'edera, attorno alla sottigliezza del bicchiere cristallino che teneva tra le mani. Mani forti e possenti le sue, capaci sia di sferrare colpi tuonanti, sia di maneggiare con disinvolta delicatezza la fragilità dell'oggetto che reggevano a mezz'aria, e che, a confronto con i palmi grandi e i tatuaggi, creava un contrasto meraviglioso. Mi soffermai infine sul suo viso, e, inevitabilmente, sulle due gemme vitree che mi seguivano ovunque e attentamente, giocose con l'alternarsi di fasci di luce e raggi d'ombra del locale e indiscusse protagoniste del volto in cui erano incastonate, opera di uno dei più bravi bronzisti.

Ad un tratto, però, un cipiglio fece comparsa tra le sue sopracciglia, sparpagliando delle piccole rughe sulla pelle liscia delle sua fronte.

Dopo esattamente un secondo, non appena mi sentii imprigionare in una morsa ben stretta, realizzai la causa dell'ombrosità che aveva improvvisamente rabbuiato i suoi lineamenti.

«Ehi, bellezza, che ci fai qui tutta sola?» un voce mascolina, dal fiato caldo e l'intenso odore di alcol, si scontrò con la mia guancia. Ciò bastò a farmi capire che, chiunque fosse lo sconosciuto che si era accollato, doveva trovarsi pericolosamente vicino alla mia faccia.

«Lasciami» cercai di allontanarmi senza nemmeno degnare il ragazzo difronte a me di uno sguardo, e, solo allora, realizzai che mi stava tenendo schiacciata contro il suo petto con un braccio, posizionato sulla parte bassa della mia schiena.

«Ehi, ehi,» il tizio strinse ancora di più la presa «dove scappi così di fretta?».

A causa del fetore del suo alito, che man mano si faceva più vicino alla mia bocca, un conato di vomito risalì su per la mia gola. Fui costretta a deglutire per non vomitare in faccia al ragazzo di cui, nella penombra del locale, non riuscivo a vedere il viso.

Continuai a divincolarmi, ma, a causa dell'indolenzimento alcolico in cui i miei muscoli stavano beatamente nuotando, ottenni scarsi risultati. Udii un dolore lancinante alla testa. Subito dopo la stanza attorno a me prese a girare vorticosamente. Mi feci forza, nonostante le gambe minacciassero di cedere da un momento all'altro, e, nell'esatto istante in cui percepii una mano poggiarsi sulla mia spalla, d'istinto sferrai una ginocchiata al ragazzo di fronte, che s'accasciò a terra immediatamente.

Mi voltai e, con mia sorpresa, vidi Harry.

A dire il vero ne vidi tanti di Harry.

«Maxine, stai bene?» Mi domandò il riccio, posizionandosi difronte a me.

Le sue grandi mani erano sulle mie spalle, i suoi occhi sgranati e sepolti nei miei. Mi guardai attorno spaesata, non riuscendo a focalizzare la mia attenzione su di lui. La testa mi pulsava in una maniera incredibile, e la vista mi si annebbiò per un momento.

«I-io-».

Non feci in tempo a finire la frase che, involontariamente, scoppiai a piangere.
Piansi uno di quei pianti violenti, carico di tensione e continuamente interrotto da singhiozzi che ti facevano mancare il fiato.

«Vieni, ti porto fuori da qui».

Malgrado le lacrime non contribuissero a migliorare la mia già precaria vista, sentii una calda e grossa mano intrecciarsi alla mia, e non fu difficile riconoscere di chi si trattava.
Prima di uscire dal locale, mi sembrò di cogliere Harry a piegarsi un po' verso terra e, in lontananza, mi parve di udire persino un «Va' all'inferno», accompagnato da quello che mi era sembrato uno sputo. Tuttavia non ne fui sicura, poiché sia per colpa del liquore di troppo, sia per gli occhi lucidi avrei potuto benissimo vedere cose che in realtà non esistevano.

Mi resi conto di trovarmi all'esterno del locale solo quando il mio corpo caldo venne a contatto con la frescura tipica delle serate estive di New York, traendone beneficio. Ben presto, però, il momentaneo sollievo che provai rispetto alla sensazione soffocante che avevo appena abbandonato si tramutò in una costellazione di brividi.

«Hai freddo?» esordì Harry improvvisamente, mentre si accendeva una sigaretta stretta tra le labbra.

Mi colse di sorpresa, e i miei occhi guizzarono immediatamente su di lui, sulla figura solida del suo corpo allenato, che, messa in risalto dal fascio di luce di un lampione, si stagliava contro le porte della notte. La luce calda che lo inondava creava attorno a lui una sottile ed evanescente aurea dorata, alla quale si mescolavano tutt'attorno le leggere nuvole di fumo che fuoriuscivano dalle sue labbra dischiuse. Così, con i capelli un po' arruffati e una mano sprofondata nella tasca destra dei suoi soliti skinny, sarebbe potuto essere tranquillamente paragonato ad un angelo dell'inferno.

L'angelo più bello di Dio che, anche se caduto sulla terra senza alcun preavviso, forse non avrebbe potuto scegliere occasione migliore per venire a salvarmi.

«No».

Seguì una lunga occhiata da parte del ragazzo difronte a me. Le sue iridi erano incollate al mio corpo, e la vivacità del verde di cui brillavano le rendeva simili a due fari nella notte, contrastanti con il buio che, pian piano, stava calando il proprio sipario sulle vette dei grattacieli lontani, avvolgendoci come una fredda coperta.

«Stai tremando» osservò lui, prendendo gli ultimi tiri dal cilindro di tabacco.

Era nervoso; si capiva dalla tensione della sua mascella, e da come, di tanto in tanto, stringeva le mani fino a farsi diventare le nocche bianche, mettendo in evidenza i fasci di tendini presenti sotto la pelle tatuata delle sue braccia.
Abbassai lo sguardo, sentendo il suo bruciarmi.

«E tu sei nervoso» puntualizzai a mia volta, incrociando le braccia al petto nel tentativo di infondermi almeno un briciolo di calore.

Non volevo che Harry si avvicinasse, non quella sera, non in quelle condizioni. Tutto questo era tremendamente sbagliato, e solo ora me ne stavo davvero rendendo conto.

Udii dei passi, ma non riuscii comunque ad alzare gli occhi dal marciapiede. Nel mio campo visivo entrarono la cicca di una sigaretta - quella che solo pochi attimi fa era tra le labbra di Harry - e le punte di un paio di stivaletti. I miei sensi furono poi colpiti da un intenso profumo che, ormai, avrei distinto tra mille.

«Guardami, Maxine».

Quelle parole suonarono come un ordine. Un ordine che non rispettai.

«Ti ho detto di guardarmi»

Usò un tono più duro, eppure ciò non mi fece ugualmente schiodare lo sguardo da terra. Non volevo vederlo.

All'improvviso il mio volto venne alzato di scatto, contro la mia volontà. A quel punto i suoi occhi furono nei miei.

«Quando ti dico di guardarmi devi farlo» ringhiò rabbiosamente tra i denti il riccio, il cui volto ora si trovava a pochissima distanza dal mio.

Strinse maggiormente la presa sul mio mento, costringendomi a fronteggiare le sue pupille fiammeggianti. Le sue labbra erano a pochi millimetri di distanza dalle mie, e il suo respiro lieve picchiava contro il mio labbro inferiore, i miei sensi completamente storditi dalla fragranza intensa che emanava la sua pelle.
La testa riprese a girarmi vorticosamente, e dovetti sbattere più e più volte le palpebre per mettere a fuoco il viso del riccio.

Chiusi gli occhi. Poi, all'improvviso, le gambe mi cedettero.

Tuttavia, prima che il mio corpo cadesse a peso morto sul suolo come un sacco di patate, due braccia forti mi afferrarono i fianchi.

«Maxine stai bene?» chiese Harry, guardandomi preoccupato.

«I-io...» balbettai con la bocca asciutta, portandomi una mano sulla tempia, il cui dolore non mi lasciava tregua nemmeno per un secondo.

«Andiamo, ti porto a casa» tagliò corto, prendendomi per un braccio.

«No, Harry» tentai d'imputarmi, cercando di allentare la presa delle sue dita.

«Maxine non sei in te, hai bevuto troppo. Ti accompagno a casa».

Iniziò a trascinarmi di nuovo dietro di sé, ignorando totalmente le mie parole e la mia volontà. Provai a dimenarmi, a protestare, ma tutto sembrò inutile. Imperterrito, Harry continuava a camminare senza prestare la minima attenzione a ciò che gli stesse chiedo - anzi, supplicando - di fare. Volevo solo che si fermasse, che rallentasse, perché avrei voluto dirgli che di veloce c'era già la mia testa che andava, ed io non me la sentivo di tornare a casa.... Io volevo solo...

«Harry, cazzo! Ti ho detto di fermarti!».

Cadde il silenzio, nonostante il caos regnasse attorno a noi. E non venni ascoltata, nonostante avessi appena urlato a squarciagola nel bel mezzo della strada.

«Maxine hai bisogno di riposarti, sei ubriaca»

Finalmente il moro lasciò il mio polso e si voltò verso di me, permettendo alle sue iridi di legarsi immediatamente alle mie.

E risi, a quel punto. Scoppiai a ridere a crepapelle. Mi piegai in due dalle risate.

«Ah sì? E ti sei forse chiesto perché mi sono ridotta così, Harry? Ti sei forse domandato perché da quando sono arrivata in quello schifoso pub non ho fatto altro che tracannare un bicchiere dopo l'altro?» iniziai, alzando fin da subito la voce per farmi sentire «Per una maledetta volta, voglio che tu mi ascolti, Harry».

«Stai dicendo che io non ti ascolto Max?» m'accusò subito il riccio, puntandomi un dito contro. Si avvicinò frettolosamente, quasi fino ad essere muso a muso con me, ma, non appena si accorse che questo suo atteggiamento non mi faceva più alcun effetto - o almeno, non in quel momento - ritirò subito l'ascia di guerra, consentendomi di continuare a parlare.

«Harry mi hai portata tu qui. E me l'hai forse chiesto? No. Certo che no, cazzo. Sei talmente abituato a fare ciò che vuoi, esattamente quando vuoi e con chi vuoi che non mi hai chiesto nulla. Assolutamente niente. Non mi hai chiesto di cosa avessi bisogno quando fino a qualche ora fa stavo piangendo mio fratello in quella fottuta stanza d'ospedale; non me l'hai chiesto perché, probabilmente, non te lo sei chiesto nemmeno tu, Harry. Sai di cosa avevo bisogno, Harry? Te lo dico io: certamente non avevo bisogno di questo. Non avevo bisogno di baldoria, di alcol, di puzza di fumo e sudore e corpi che si strusciano schifosamente l'uno sull'altro come se non ci fosse un domani. È questo che mi ha fatto venire la nausea, non l'alcol. Sai una cosa? A dire il vero stasera  l'alcol è stato il mio unico amico, l'unico che mi abbia davvero ascoltata e mi abbia dato la possibilità di scegliere per me stessa, cosa che non ho potuto mai potuto fare in vita mia. Mi sono ubriacata per tenere a bada i miei sensi di colpa, i miei tremendi sensi di colpa. Sul fondo di quei drink che ho bevuto ho annegato i miei problemi, le mie paure, le mie fragilità, e... e tu non te ne sei nemmeno accorto, Harry. Hai pensato solo ed esclusivamente a te stesso, proprio come hai appena fatto e come fai sempre. Sei un fottuto egoista, sì, proprio un egoist-».

Le sue labbra furono sulle mie. Fu come un fulmine a ciel sereno.

Ignorai i brividi che si sparsero come neve gelida sulla mia pelle divenuta improvvisamente bollente, e, presa da un raptus violento a causa del suo gesto, feci per alzare una mano nel tentativo di mollargli un sonoro schiaffo sulla guancia, ma Harry fu più veloce di me e mi afferrò entrambi i polsi bloccandomeli dietro la schiena. Le sue labbra non si staccarono dalle mie.

Sentii la sua lingua calda bagnarmi le labbra, silenziosa richiesta di un accesso più passionale alla mia bocca.

In tutta risposta, non potendo muovere le braccia e non riuscendo a liberarmi, gli pestai un piede con tutta la forza che avevo in corpo, caricando tutto il mio peso sulla spinta.

«Vaffanculo!» alzò la voce Harry, staccandosi immediatamente e indietreggiando.

«NO VAFFANCULO TU HARRY, CAZZO!» urlai, in preda ad una crisi isterica.

Il riccio cercò di avvicinarsi, e fui pronta a respingerlo con un forte spintone, sfruttando tutto il vigore che mi concedevano muscoli fiacchi delle mie braccia per premere sul suo addome, la cui resistenza, però, vanificò tutti i miei sforzi. Il corpo marmoreo di Harry non si mosse nemmeno di un millimetro, ed egli ne approfittò per prendermi nuovamente il braccio, avvicinandomi a lui con uno strattone, al quale non fui in grado di reagire in tempo. Mi maledissi mentalmente per aver bevuto abbastanza da compromettere i miei riflessi, cosa che permise ad Harry di prendermi anche il viso tra le mani. Fece per parlare, le mani a coppa sulle mie gote e gli occhi, ora lucidi, persi nei miei. Non gliene diedi la possibilità, facendo l'unica cosa che, in quel momento, mi venne spontaneo fare: sputargli in faccia.

«Tu non puoi comportarti così Harry, non puoi, cazzo, non puoi!» gridai a squarciagola una volta che Harry si fu allontanato di almeno un paio di metri. I miei polmoni si svuotarono completamente dell'aria, e la trachea sembrò bruciarmi al passaggio della mia voce, incrinata a causa del pianto imminente.

Il riccio si pulì dalla mia saliva, che gli era finita sopra un occhio. Si passò una mano sui jeans. Era agitato, ma non disse nulla

«Ti odio cazzo, ti odio!»

Rincarai la dose. Harry si avvicinò di un passo.

«Non ti avvicinare, cazzo!» lo fulminai con lo sguardo «Non azzardarti a compiere mezzo passo più!» lo minacciai, puntandogli contro un dito e guardandolo in cagnesco.

Il moro sembrò arrestarsi per un secondo, giusto il tempo di scrutarmi con un'espressione totalmente... vuota, apparentemente priva di qualsiasi emozione. Poi, si fece più vicino.

«Harry ti giuro che se ti azzardi a compiere un altro passo-»

Così dicendo, con un'unica, grande falcata, azzerò totalmente qualsiasi distanza tra noi. Il suo viso era a pochi millimetri dal mio, il suo naso sfiorava il mio e milioni di piccole scariche elettriche si propagavano per il mio corpo, eccitato dalla situazione più strana in cui mi fossi mai trovata e dall'altrettanto strano nodo allo stomaco che sentivo, e che, a dire il vero, dubitavo fosse causato dall'alcol.

«Cosa, Maxine? Cosa hai intenzione di fare, mh?» sussurrò a bruciapelo, sfiorando appena le mie labbra con impercettibili, strazianti movimenti.

Chiusi gli occhi. Mi parve di percepirne la morbidezza e di assaporarne già la forma mentre Harry faceva in modo di sfiorare il mio arco di cupido con una lentezza disarmante. Inspirai a pieni polmoni il suo profumo, e il suo respiro si mescolò al mio. Le gambe mi tremarono e tutto il mondo attorno sembrò arrestarsi per un attimo. Venni pervasa da un fuoco incandescente, la mia pelle divenne lava pura, soprattutto quando sentii una mano di Harry scivolare sulla parte bassa della mia schiena.

«Se devo essere un egoista per fare questo, allora sì, Maxine, voglio essere l'egoista più stronzo di tutta la terra».

Quella frase, quella maledetta frase, mormorata appena a filo di labbra, fronte contro fronte, mi riportò immediatamente alla realtà.

Lo spinsi via di nuovo.

«Ti odio, Harry! Ti odio!».

Gli tirai un pugno sul petto. Poi un altro. Un altro ancora. Lacrime amare iniziarono a scorrermi sulle guance.

«Ti odio, ti odio!»

«Dai, colpiscimi! Colpisci più forte, cazzo!» urlò di rimando, fomentando l'ira che sentivo pressarmi la gabbia toracica sempre di più, sempre più intensamente.

Continuai ad urlare, e a colpire e ad urlare di nuovo. Harry, dal suo canto, mi lasciò fare. Immobile, impassibile, non si scompose mai. Non indietreggiò, né tantomeno tentò di parare i miei colpi, che man mano si facevano più frequenti e potenti. Non mosse un muscolo, mi diede il via libera. Mi permise di sfogarmi sul suo petto, permise a tutta la rabbia, a tutta la frustrazione che sentivo in corpo di uscire da quella scatola ermetica che era stato il mio corpo sino ad allora.

«Cosa diavolo ti è saltato in mente di prendermi e baciarmi così, eh? Mi volevi azzittire, non è vero? L'hai fatto solo per questo, porca puttana!»un altro pugno «Beh, sappi che io zitta non ci sto Harry! Non sono la tua fottuta bambolina, non sono una delle tante, non sono una di quelle che sei abituato a portarti a letto, non lo sono cazzo! E tu non hai il diritto di trattarmi in questo modo!».

All'improvviso mi sentii afferrare per i fianchi, e la mia schiena urtò con violenza un qualcosa di duro, che riconobbi essere la portiera dell'auto di Harry, provocando un rumore secco simile ad uno sparo che si faceva strada nell'aria, fendendo con rapidità il buio oscuro della notte.

Tremai. Mi sembrò che, ad un tratto, le lacrime si fossero seccate sulle mie guance nell'esatto momento in cui avevo realizzato quanto appena accaduto. Mi sembrò di essere tornata indietro nel tempo, a lui e ai bruschi attacchi d'ira cieca.

Iniziai ad aver paura sul serio. Non per la fitta lancinante che provai alla schiena subito in seguito all'impatto, ma per la brusca reazione che aveva avuto Harry, poiché, a questo punto, non sapevo quale sarebbe stata la sua prossima mossa. E nonostante pensassi di essere abituata a questa sua imprevedibilità, a quanto pareva, invece, non lo ero abbastanza, non fino a questo punto.

Con Harry era come trovarsi continuamente sul ring: per schivare i colpi dell'avversario dovevi essere in grado di prevedere le sue mosse ancor prima che la mente stessa dell'altro le partorisse. Peccato che la mente di Harry fosse ben allenata, mentre la mia, ancora annebbiata dall'alcol e dal pianto, faticava sia a creare ragionamenti di senso compiuto, sia a far muovere i miei muscoli.

Giunta a quel punto, non sapevo davvero cosa aspettarmi da lui. Eppure la risposta arrivò più velocemente di quanto pensassi.

«Cosa c'è tra te e quello?» domandò d'istinto, rabbiosamente.

Era agitato, si notava dal modo truce in cui i suoi occhi fissavano i miei e dalla salda presa che avevano le sue mani sulle mie braccia.
Per un momento mi persi nell'intensità del verde delle sue iridi.

«Rispondi» ruggì tra i denti, sbattendomi ancora contro la portiera dell'auto.

«Ma vaffanculo Harry, piantala di darmi ordin-».

«Maxine, ti ho fatto una domanda. Cosa c'è tra voi due?» ringhiò adirato, a due millimetri dal mio viso.

«Di chi cazzo stai parlando?!».

«Dello sbirro».

«Cosa?! Ma sei scemo?!» le parole uscirono velocemente dalle mie labbra senza che potessi ragionarci su qualche secondo in più. Dovevo ammettere che l'alcol mi rendeva ancora più istintiva di quanto già non fossi normalmente, e non sempre ciò era un bene - anzi, quasi mai.

L'occhiataccia che mi riservò il riccio, con tanto di profondo cipiglio tra le sopracciglia, mi fece capire in fretta la serietà di quella domanda.

Lo guardai sbigottita. Era surreale il fatto che mi stesse chiedendo ciò sapendo che mai e poi mai avrei potuto avere un qualsiasi rapporto con un poliziotto, incasinata com'ero nel discorso delle lotte clandestine. Avere a che fare con uno in uniforme significava che quasi sicuramente costui avrebbe indagato sulla tua vita. E io non potevo permetterlo, assolutamente. In ogni caso, però, non mi pentii di aver dato dello scemo ad Harry. Ero fermamente convinta che, quella sera più di tutte, se lo meritasse.

Tuttavia, decisi di giocare ugualmente a mio favore con Harry, in quanto stanca delle sue imposizioni e del suo comportamento. E, anche aiutata dal coraggio e dal poco senno donatomi gentilmente dal liquore in circolo, risposi di getto:

«Tom? E a te che cazzo te ne frega anche se ci fosse qualcosa? Non credo proprio che siano fatti tuoi».

L'attimo immediatamente successivo desiderai che quelle parole non fossero mai uscite dalla mia bocca.

«Cazzo Maxine, rispondi!».

Un urlo primitivo squarciò la sua gola, seguito da un violento pugno, che andò a colpire carrozzeria dell'auto proprio in un punto affianco alla mia spalla.

Il sangue mi si gelò nelle vene per la paura, e ringraziai Dio che quel pugno non fosse indirizzato a me, altrimenti mi avrebbe sicuramente rotto qualche osso del viso. Anche se, a dire il vero, non ero sicura che il riccio avrebbe resistito ancora molto dal mollarmi un gancio.

Le vene del suo collo minacciavano di esplodere. Le mani strette in due pugni, la mandibola eccessivamente contratta, e le tempie che pulsavano accanto alla fronte leggermente imperlata di sudore, la quale brillava sotto un fioco raggio di luna, lo facevano sembrare un mostro. Uno di quelli che si vedono negli incubi dei bambini, e che, probabilmente, sarebbe rimasto impresso anche nella mia mente per un bel po'.

Non fiatai. Non mi azzardai a dir nulla. Istintivamente mi irrigidii come un blocco di ghiaccio. Respirai piano. Mi limitai semplicemente a guardarlo, impassibile, poiché, in quel momento, non meritava nemmeno l'accenno della mia più banale emozione.

«Perché con te deve essere tutto così dannatamente difficile, Cristo! Non so nemmeno come tu abbia fatto ad entrare nel giro di Louis col caratteraccio che ti ritrovi. E poi, l'inciucio con lo sbirro! Ah, bella questa! Fosse per me ti avrei già sbattuta col culo in strada da un bel pezzo. Quelle come te non meritano di combattere»

Si passò nervosamente una mano nei capelli, accendendosi poi l'ennesima sigaretta della serata. Aspirò velocemente, in maniera esagitata, e altrettanto velocemente il fumo abbandonò le sue labbra - ché probabilmente nemmeno l'anima di un insulso cilindro di carta voleva rimanere in una bocca così, in grado di ferire e dire cattiverie gratuite come se nulla fosse. Abbassai lo sguardo, incapace di fronteggiare quegli occhi che, invece, se ne stavano imperterriti, arroganti, sulla mia figura.

Sentivo il suo sguardo perforarmi come proiettili. E poi, dei passi.

«Max, ti prego guardami».

Nessuna risposta. Continuai a fissare la punta delle mie scarpe. L'odore del fumo mi entrò nelle narici.

«Ho sbagliato, ho esagerato, ti preg-» due dita lunghe si avvinghiarono al mio mento, ma fui svelta a girare il capo e a scrollarmele dal viso in malo modo.

Puntai finalmente i miei occhi nei suoi, e: «Mi fai schifo, Harry. Mi hai baciata, o meglio, ci hai tentato, solo perché ti da fastidio il pensiero che io possa avere qualcosa con Tom. Sei un senza palle. Non sono il tuo cane, né tantomeno prendo ordini da te. Sei il mio allenatore e basta, quindi piantala di impicciarti nella mia vita. E ora riportami a casa».

Sputai quelle parole acidamente, e, subito dopo, pure il contenuto del mio stomaco sull'asfalto, a causa dell'effetto che mi faceva la montagna russa chiamata Harry Styles.

• • •

Onestamente questo capitolo non doveva essere così, but io mi diverto un sacco a farli litigare, quindi eccoveli, Maxine e Harry nella loro forma più pura.

Prendere o lasciare,
loro sono questi: passione, fuoco, ardore,
litigi, segreti, bugie, e...
baci inaspettati.

Ah, l'inaspettato.
Quanto lo amo. E a voi, a voi piace l'inaspettato? Sono stata abbastanza imprevedibile per voi?

Fatemelo sapere nei commenti qui sotto,
ci tengo tanto.
Spero che la storia vi stia piacendo, pian piano si entrerà sempre più nel vivo della trama.

Ma, ahimè, dato che mi piace tenervi sulle spine... continuerò per un po' con questi brevi e fuggenti assaggi. O forse no, chi lo sa. 😉

Ci vediamo al prossimo capitolo,
babes!

Un bacio,
ila.

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