YOU DESTROYED ME {Haylor Ital...

By amemipiaceilcocco

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"Quando ero una bambina leggevo le favole. Nelle favole incontri il principe azzurro e lui è tutto quello che... More

PROLOGO
CAPITOLO 1
CAPITOLO 2
CAPITOLO 3
CAPITOLO 4
CAPITOLO 5
CAPITOLO 6
CAPITOLO 7
CAPITOLO 9
CAPITOLO 10
CAPITOLO 11
CAPITOLO 12
CAPITOLO 13
CAPITOLO 14
CAPITOLO 15
CAPITOLO 16
CAPITOLO 17
CAPITOLO 18
CAPITOLO 19
CAPITOLO 20
CAPITOLO 21
CAPITOLO 22
CAPITOLO 23
CAPITOLO 24
AVVISONE

CAPITOLO 8

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By amemipiaceilcocco

Non mi accorsi che, durante il breve viaggio, per la paura della velocità con la quale correvamo al fianco degli altri veicoli, avevo stretto la vita di Harry, incrociando le braccia davanti a lui, fino ad arrivare a toccare con la mano sinistra, il gomito del braccio destro, come se avesse potuto evitare di farmi volare all’indietro. Tenni chiusi gli occhi tutto il tempo, mentre l’aria fredda mi tagliava il viso.

Una bellissima sensazione di sollievo mi invase, nell’avvertire che la nostra velocità si ridusse, fino a che il ruggito del motore non si spense del tutto.

<<D’accordo scimmietta. Siamo arrivati, lasciami respirare adesso.>> Disse Harry, incrociando le braccia e poggiando dolcemente le sue grandi mani sulle mie e staccandole dalla loro presa ferrea.

Rossa dall’imbarazzo scesi dalla grande moto, rischiando di cadere col sedere per terra.

<<Hai un equilibrio pari a quello di un elefante su un filo.>> Rise di me. Sospirai, mentre aspettavo che lui togliesse il giubbotto scuro e  mi dicesse cosa fare.

<<Avremmo dovuto utilizzare dei caschi. Se fossimo caduti ci saremmo fatti molto male.>> Lo rimproverai.

<<Beh, mi sembra che stiamo entrambi bene.>> Sorrise.

Quanto lo odio.

Ci voltammo e davanti a noi l’insegna blu di un ristorante illuminava un piccolo pezzo di strada.

<<Andiamo in un ristorante?>> Chiesi, non riuscendo ad evitare di chiedermi se vi avesse mai portato altre ragazze. Non era un tipo da cene romantiche, perlomeno non all’apparenza.

Lui annuii, distogliendo lo sguardo dai miei occhi. Sembrava leggermente imbarazzato, ma era scientificamente provato che Harry non era mai a disagio nelle situazioni.

All’interno dell’edificio c’erano poche persone, la maggior parte delle quali erano famiglie composte dai genitori e i figli piccoli.

La cameriera salutò Harry sorridendogli, e, notando i loro sguardi, non potei fare a meno di pensare che avessero una sorta di storia segreta.

Non mi degnò nemmeno di uno sguardo, ero come insignificante per lei.

<<Vieni.>>  Si rivolse a Harry, prendendolo per un polso e trascinandoselo dietro, mentre lui mi faceva segno col capo di seguirli. <<Ti porto al tuo tavolo.>>

Ci condusse ad un tavolo, posto in un angolo dell’intero ristorante, il che mi fece pensare che Harry avesse fatto quella richiesta, in modo da non essere spiati.

Il nervosismo si impossessò di me. Cosa mai avrebbe voluto fare di così strano, tanto da dover chiedere un posto appartato.

<<Vi porto il menu.>> Annunciò la cameriera, rivolgendo per la prima volta uno sguardo verso di me.

Si allontanò dal tavolo, lasciando me e il mio nervosismo da soli con il ragazzo seduto di fronte a me.

Teneva i suoi occhi verdi fissi su di me, mettendomi in soggezione e costringendomi a distogliere lo sguardo.

Come poteva mettere così tanto a disagio le persone?

<<A cosa pensi?>> Chiese, improvvisamente.

La sua domanda mi colse alla sprovvista. Deglutii a fatica.

<<Niente.>> Dissi, posando lo sguardo sulla cameriera che ci stava portando i due libricini.

<<Grazie Elizabeht.>> La ringraziò Harry, senza degnarla di uno sguardo, continuando a tenere gli occhi fissi sui miei movimenti. Lei sembrò infastidita dal suo comportamento, così si voltò stizzita. <<Quindi?>>

<<A niente.>> Risposi, con un tono più freddo di quando volessi. <<Che ti importa?>>

Alzò le spalle in risposta.

Improvvisamente diventammo entrambi taciturni. L’aria intorno a noi sembrava essersi appesantita.

Harry manteneva gli occhi fissi su di me, mentre io, fingendo di non accorgermene, esaminavo con lo sguardo il salone, completamente vuoto.

Mi sentivo eccessivamente a disagio e in imbarazzo, tanto da sentire la necessità di allontanarmi da lui immediatamente.

La stanza in cui eravamo, era circondata su due lati da pareti in vetro, che lasciavano trasparire le immagini dello spazio aperto davanti al ristorante, in cui Harry aveva parcheggiato la moto.

Le altre due pareti erano colorate di arancio opaco pastello, con leggere sfumature poco più scure, come se qualcuno avesse sfiorato tutta la superficie con una spugna,  accennando delle impronte sul muro e lasciandole sfumare.

A centro delle pareti due piccole lampade emanavano una luce tenue, che sembrava trasmettere calore alla stanza.

Probabilmente, se fossi stata nel cortile e avessi dato un’occhiata all’interno del ristorante, vedendo queste pareti arancioni, avrei percepito uno strano ardore, ma soffermando lo sguardo sul nostro angolo, sicuramente, avrei sentito un brivido percorrermi lungo la schiena, fino a farmi gemere dal freddo.

Ed era così che eravamo. Sembravamo essere rinchiusi in una capsula ghiacciata, come se volessimo racchiudere l’inverno, all’interno dell’estate.

<<Devo andare in bagno.>> Dissi, non sopportando più di stare sola con lui.

Presi la borsa e la giacca e velocemente camminai verso l’entrata.

<<Taylor!>> Mi chiamò Harry, mentre mi vedeva andare nella direzione opposta al bagno. <<Il bagno è dall’altra parte.>>

Aumentai il passo, fino a che non fui davanti alla porta, davanti alla quale Elizabeth era ferma a braccia conserte ad osservarmi.

Non le chiesi neanche di spostarsi, perché mi avventai a dosso a lei, spingedola da parte, mentre lei imprecava contro di me.

<<Ma sei stupida? Non ci vedi abbastanza bene, biondina?>>

Non la ascoltai minimamente. Spinsi la porta di vetro davanti a me, e senza pensare troppo, cominciai a correre nella strada buia.

Non sapevo dove andare. L’unica cosa che sapevo era che non potevo più stare da sola con lui.

Non avevo idea nemmeno di cosa mi avesse spinto a fare ciò che feci. Non aveva detto o fatto niente di strano o di intimidatorio.

Quindi perché ora mi trovavo a correre per strade a me sconosciute, al buio, sotto gli occhi straniti di qualche uomo anziano che portava a spasso il cane.

Dopo pochi minuti di corsa, iniziai a sentirmi stanca, ma le gambe continuavano a muoversi velocemente, spinte dall’adrenalina che si era impossessata di me.

Mentre correvo andai a sbattere contro un uomo appena uscito da un portone, che ovviamente non si aspettava di essere investito da una ragazzina che correva nel buio.

Lanciai un gridolino, mentre cadevamo per terra. Sentii l’uomo imprecare. Velocemente notai che era in giacca e cravatta, vestito molto elegantemente. Era probabilmente appena uscito da ufficio.

Balbettai delle scuse, mentre mi alzavo e riprendevo la mia corsa.

Cosa cavolo stai facendo, stupida?, mi domandai, mentre il vento freddo iniziava a soffiarmi violentemente in faccia e la pioggia iniziava a cadere dal cielo scuro.

Mi ritrovai bagnata fradicia, dalla testa ai piedi.

Trovai una sorta di divertimento nel correre sotto la pioggia incessante. Che cosa stupida!

La strada era vuota, così decisi di attraversarla, ma la mia corsa finì prima di quanto mi aspettassi.

Stavo appena iniziando ad attraversare la strada, quando una luce abbagliante mi accecò momentaneamente la vista.

Mi voltai verso la parte della strada alla mia sinistra.

Un rumore di clacson rimbombò nell’aria e capii immediatamente che si trattava di una macchina.

Rumore di gomme che sfregano contro  l’asfalto bagnato irruppe nella mia testa, mentre spostavo automaticamente le mani in avanti, come per fermare la sua corsa.

Stranamente, avevo continuato a correre, così che la macchina, che non era riuscita a frenare per tempo, mi prendesse con la fiancata, facendomi ruotare su me stessa un paio di volte, fino a che non appoggiai male il piede, che si piegò verso l’esterno, facendomi cadere rovinosamente a terra.

Urlai per il dolore, mentre più avanti veniva spento il rombare del motore della macchina. Da alcune finestre, notai, che le luci si accesero e facce preoccupate si affacciarono.

Rotolai sul fianco destro, mentre le lacrime iniziavano a rigarmi il viso per il dolore e per lo sconcerto.

Avevo la vista appannata, perciò non vidi immediatamente cosa fosse successo alle mie ginocchia, ma ben presto capii che durante la caduta avevo strappato i collant di Kristen e ora ero sporca di sangue e asfalto, staccatosi dalla strada bagnata.

Avrei dovuto comprare un paio di calze nuove per la mia amica.

<<Ehi, ragazzina. Tutto bene?>> Unragazzo, probabilmente il guidatore, si avvicinò, accovacciandosi al mio fianco e poggiandomi una mano sulla spalla.

Intanto, attorno a me, notai che parecchie persone si erano affollate, per vedere cosa fosse successo.

La caviglia bruciava dal dolore, ma nonstante ciò dissi che stavo bene. Non volevo si preoccupassero per me.

<<Scusami.>> Dissi al ragazzo, mentre cercavo di alzarmi. Il dolore alla caviglia era troppo, e ciò mi impose di sollevarmi da terra, facendomi cadere nuovamente, sul fianco destro.  Il ragazzo si mise dietro di me e, prendendomi da sotto le braccia, mi aiutò ad alzarmi.

<<Non preoccuparti. Sicura di stare bene?>> Mi domandò.

Sentivo il vociare delle persone a me sconosciute.

<<Era ubriaca?>>

<<Cosa ci faceva da sola per strada?>>

<<Le ragazzine d’oggi sono così irresponsabili.>>

<<Si sarà fatta male?>>

<<Chiamate la polizia, o l’ambulanza.>>

Cosa diavolo stavano dicendo? Non avevo bisogno di nientre. Volevo solo che se ne andassero via, cavolo.

<<Sto bene, grazie.>> Dissi, cercando inutilmente di nascondere una smorfia di dolore.

Probabilmente era una distorsione, ma cercai di non pensarci più di tanto. Appena sarei tornata al college sarei sicuramente andata da un medico a farmi visitare.

<<Hai bisogno di qualcosa?>> Mi domandò il ragazzo, poggiando una mano sulla mia guancia, facendomi sobbalzare per il gesto improvviso e così confidenziale. Mi allontanai, notando una sfumatura di dolore sul suo volte, dovuta al mio rifiuto. Pensai di non farci troppo caso.

Scossi la testa in risposta. Mi girai per andarmene, notando felicemente che molti dei miei spettatori erano andati via e che erano rimaste solo poche persone a parlare tra di loro, lanciandomi quale occhiata, alle quali non badai minimamente.

<<Beh, lascia almento che ti dia un passaggio.>>

Mi voltai verso di lui, e gli sorrisi.

<<Davvero, non ho bisogno…>> Mi interruppe.

<<La mia non era una domanda.>>

La pioggia continuava a picchiettare sulle nostre teste. Ormai anche la sua camicia bianca, diventata semi trasparente a causa dell’acqua, era bagnata fradicia, come i miei vestiti.

Abbassai lo sguardo, imbarazzata, e il rossore sulle guancie diventò ancora più evidente quando notai che dalla camicia traspariva il mio reggiseno, e che si era appiccicata intorno al mio corpo.

Cercai maldestramente di coprirmi, incrociando le braccia al petto.

<<Ma veramente c’è un mio amico che mi sta aspettando, proprio là.>> Finsi, accennando un luogo immaginario col mento.

<<Un’amico così premuroso, tanto da lasciare una bella ragazza come te a girovagare durante la notte, sotto la pioggia.>> Disse sarcastico. Abbassai nuovamente lo sguardo. La mia bugia era, ovviamente, stata svelata come tale. <<Avanti, sali in macchina. Non ti voglio uccidere, tranquilla.>>

<<Beh, veramente hai appena detto anche tu che non dovrei cirolare per strada da sola, il che ammette una sorta di non fiarsi delle persone che vi passano. E tu sei tra queste.>> Dissi, prima senza pensare. Stupida.

Semrbò in difficoltà. Poi però si riprese immediatamente e notai nel suo sguardo una sorta di… rabbia?

<<Va bene. Come vuoi tu. Ti stavo solo offrendo un passaggio per.. dove abiti, insomma.>> Disse, voltandosi e camminando verso la macchina.

Mi sentii in colpa per ciò che avevo fatto.

Normalmente avrei lasciato correre questa spiacevola vicenda e avrei preferito infischiarmene di come potevo essergli sembrata.

<<D’accordo.>> Dissi, alzando la voce per farmi sentire. Si voltò con lo sguardo confuso e la fronte corrugata.

<<Cosa?>>

<<Accetto il tuo passaggio.>> Dissi, tenendo lo sguardo sulle mie ginocchia, notando che il sangue aveva smesso di colare e che si stava seccando intorno. Non sentendo una sua risposta, aggiunsi: <<Sempre se è ancora valida la tua offerta.>>

Alzai lo sguardo. Perché non rispondeva?

La risposta mi fu chiara, notando che lui era sparito. Era andato via.

Idiota.

Stupida.

Cretina.

Zoppicando, mi voltai e cercai di tornare da dove ero venuta, ma ovviaente non ricordavo la strada.

Appena dopo due passi, mi costrinsi a fermarmi.

Cosa cavolo credevo di fare?

Deficiente.

<<Allora?>> Una voce provenne dalla strada, accompagnata dal rumore del motore di un auto. Affacciato al finestrino, stava il ragazzo che mi aveva investita. <<Sali?>>

Senza che potessi impedirlo, sorrisi alla sua richiesta e, non considerando la caviglia urlante, mi affrettai verso il lato del passeggero e salii.

Fui felice quando finalmente la pioggia cessò di picchiettare sulla mia testa. Divenne addirittura piacevole il sottofondo che creava, al di fuori dell’abitacolo accogliente.

<<Hai freddo?>> Mi chiese, notando che indossavo solo una camicia leggerissima.

Annuii, accorgendomene solo in quel momento di aver i brividi e la pelle congelata.

Girò una manovella e subito l’interno della macchina si riscaldò.

<<Grazie.>> Dissi. Sembrava che avessi una superficie di ghiaccio che, riscaldandosi, si stava man mano sciogliendo.

Era una bella sensazione.

<<Destinazione?>> Domandò.

<<King’s College.>>

La macchina partii, mentre i tergicristalli spazzavano via le goccioline di  pioggia che dopo un paio di minuti cominciò a cessare.

<<Come ti chiami?>> Mi chiese il ragazzo, dopo qualche minuto di silenzio.

<<Taylor.>> Risposi. Speravo mi dicesse il nome, così lo spronai a dirmelo: <<E tu, invece?>>

Sorrise, come se il pensiero di dirmi il suo nome fosse divertente per lui.  Corrugai la fronte, non capendo.

<<Zac.>>

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