BORDERLINE - Ereri/Riren -

By Ackerbitch

89.3K 7.2K 6.2K

II COMPLETA II Eren Yeager, studente diciassettenne di quinta liceo, ha davvero toccato il fondo. Dopo anni d... More

INTRODUZIONE
I - 3 Dicembre, Giorno 1
II - 3 Dicembre, Giorno 1
III - 5 Dicembre, Giorno 3
IV - 9 Dicembre, Giorno 7
V - 10 Dicembre, Giorno 8
VI - 11 Dicembre, Giorno 9
VII - 12 Dicembre, Giorno 10
VIII - 15 Dicembre, Giorno 13
IX - 16 Dicembre, Giorno 14
X - 17 Dicembre, Giorno 15
XI - 23 Dicembre, Giorno 21
XII - 24 Dicembre, Giorno 22
XIII - 25 Dicembre, Giorno 23
XIV - 27 Dicembre, Giorno 25
XV - 29 Dicembre, Giorno 27
XVI - 30 Dicembre, Giorno 28
XVIII - 1 Gennaio, Giorno 30
XIX - 8 Gennaio, Giorno 37
XX - 13 Gennaio, Giorno 45
XXI - 17 Gennaio, Giorno 49
XXII - 2 Febbraio
XXIII - 14 Febbraio
XXIV - 30 Marzo
XXV - 1 Maggio
XXVI - 27 Giugno
XXVII - 18 Luglio
XXVIII - 21 Luglio
XXIX - 10 Agosto
XXX - 24 Ottobre
XXXI - 25 Dicembre
XXXII - 31 Dicembre
XXXIII - 20 Febbraio
Ringraziamenti

XVII - 31 Dicembre, Giorno 29

2.6K 220 269
By Ackerbitch


Secrets

Pink Floyd – Wish You Were Here

EREN

Non c'è niente di bello o che mi faccia provare sollievo nello scorrere del tempo. Qualunque persona su questa Terra spera sempre che, con il nuovo anno, possa realizzare nuovi obiettivi ed essere il bersaglio prediletto delle attenzioni della dea bendata, ma dal mio punto di vista questa è sempre stata la concezione sciocca di chi è troppo accecato dall'ottimismo. In fondo non cambia mai nulla, se non la data sul calendario; semplici numeri, nulla di più. Non mi sono mai fatto false illusioni e speranze, o ancora posto mete che, semplicemente, non sono in grado di raggiungere. No, quest'anno probabilmente non starò meglio, non sarà il mio anno, probabilmente non riprenderò in mano le redini della mia vita. Armin dice che sono pessimista, ma personalmente preferisco la definizione di realista convinto.

Sto male, uno schifo totale, mi sento debole, fragile come un fuscello in balia del vento delle mie emozioni.

Non prendo farmaci da cinque giorni.

Non è difficile non farsi scoprire: butto giù l'acqua mista all'ansiolitico, ma non ingoio mai quelle pillole colorate, nascondendole sotto la lingua o appiattendole contro il palato. Non so perché lo stia facendo, forse perché lo sussurrano i miei demoni, o forse per semplice noia.

Nulla di questa serata sembra risplendere della fiducia e della speranza che tutti ripongono nel nuovo anno. Tutti i colori che mi circondano sembrano sbiaditi, così come le risate e le battute scambiate sulla quella tavolata imbandita a festa mi giungono ovattate e distanti. Ma sono ben consapevole che non è il mondo ad essersi affievolito attorno a me: sono io ad essere spento.

Prendo pigramente e controvoglia una forchettata di lenticchie e cotechino e me la porto alla bocca, trangugiandola velocemente, quasi senza masticare. Non ho voglia neanche di sentire i sapori, se mangio è semplicemente per puro spirito di sopravvivenza; anche respirare sembra uno sforzo immane, che volentieri rifiuterei di compiere. Sasha non sembra del mio stesso parere, visto che rivolge occhiate languide a ognuna delle tante pietanze sparse sul tavolo. Rico, seduta al suo fianco, ha il compito delicato di razionare le sue porzioni, visto il suo particolare e malsano rapporto col cibo.

Eppure c'è qualcosa che non sbiadisce e che non perde colore in mezzo a quello scempio che creano le mie emozioni: non importa quanto il resto della stanza il mondo intero sembrino evanescenti e fatui, il suo sguardo su di me è quanto di più concreto e carico di emozioni vere e taglienti possa esistere. Mi scuote l'animo di brividi freddi e caldi al tempo stesso che mi fanno accapponare la pelle, e non stacca quelle iridi in tempesta da me, guardandomi come se volesse imprimere con un marchio a fuoco ogni dettaglio del mio corpo nella sua mente.

Ogni tanto ho risposto alle sue occhiate e lasciato che le mie labbra si piegassero timidamente nella sua direzione, ma ho smesso di farlo non appena ha ricambiato il mio gesto con uno dei suoi rarissimi mezzi sorrisi, facendomi arrossire visibilmente. Ora mi limito a fissare il piatto e a piluccare i legumi di tanto in tanto, rigirandomi la forchetta fra le dita con un profondo solco fra le sopracciglia e il labbro inferiore fra i denti. Neanche il mio finto disinteresse mi aiuta a togliermi di dosso la sensazione di quello sguardo sul mio.

È bruciante e dilaniante come fuoco su ghiaccio, mi colpisce con la stessa forza di un fulmine scagliato a terra alla massima potenza, pervadendomi da testa a piedi con la sua elettricità. Non presto attenzione ai discorsi degli altri ragazzi, alle loro risa intrise di spirito festivo, e sfuggo alle occhiate colme di preoccupazione che Mikasa mi riserva di tanto in tanto. Liquido le domande di Erwin e di Rico con cenni secchi delle mani e del capo, mormorando nervosamente qualche monosillabo se proprio non posso farne a meno.

Non so quanto tempo passi esattamente quando qualcuno – forse Petra, forse Isabel o Hanji – propone una delle solite partite a Risiko, in attesa della mezzanotte. Mi alzo meccanicamente dalla sedia, muovendomi come se fossi un automa alimentato dalla sola forza d'inerzia che ne manda avanti i meccanismi arrugginiti e corrotti, seguendo il resto della comitiva festosa all'interno della sala comune.

Mi sento distaccato, come se questa realtà non mi appartenesse: come se fossi uno spettatore imprigionato nel corpo di uno dei protagonisti di questo mondo che pare essermi tanto estraneo. Mi sento dissociato.

Prendo posto a sedere accanto alla corvina e subito vengo affiancato da Levi. Mi poggia una mano sul braccio, stringendolo appena fra le sue dita lunghe e pallide e tentando di far scontrare le nostre iridi, piegando il capo nella mia direzione.

"Oi, Eren."

Scuoto appena la testa al suono della sua voce, che sorprendentemente mi giunge forte, profonda e meravigliosa come sempre; nulla di lui pare sbiadito, e non riesco a capire se la cosa mi faccia così tanta paura da ghiacciarmi l'anima o mi faccia provare il più liberatorio e assoluto dei sollievi. I miei occhi però non si scollano dal pavimento in marmo bianco, di cui inizio a studiare minuziosamente ogni singola e irregolare venatura. Ne distolgo lo sguardo solo quando nel mio campo visivo appaiono le pedine rosse che Mikasa mi sta passando per iniziare il gioco.

Non ho nemmeno voglia di allearmi con la corvina per sconfiggere Jean come al solito e farlo innervosire, ricordandogli quanto sia scarso nei giochi da tavolo. Non ho voglia neanche di esistere; non sento niente se non una profonda insofferenza, ridotto completamente ad un contenitore vuoto di sentimenti distruttivi, marciti ed andati a male.

Mi alzo piano, reso debole dalle emozioni che mi fanno vorticare la testa in una sensazione di capogiro e sentendo le gambe molli come se fossero fatte di gelatina. Una sensazione profonda di nausea mi attanaglia lo stomaco e lo stringe in una morsa acida e bruciante.

"Ragazzi, giocate pure senza di me. Io vado in camera, mi sento stanco."

Il mio stesso tono suona estraneo e meccanico alle mie orecchie, vuoto come la voce di un senza anima.

"E ci dai buca così, proprio la sera di Capodanno per andare a rimuginare su chissà cosa ti offusca la testa?

Ymir appare visibilmente infastidita dal mio annuncio, le labbra sottili piegate in una smorfia sbilenca e le braccia incociate al petto, mentre mi squadra di sottecchi con gli occhi semichiusi. Ma quello sguardo pare scivolarmi addosso, a differenza di quello fisso sulla mia nuca che mi trafigge con quelle iridi di puro argento. Le percepisco, anche se non posso vederle.

"Non me la sento ragazzi, davve-"

"Ma non è neanche mezzanotte! Non abbiamo ancora visto i fuochi d'artificio, e già vuoi andare a rintanarti fra quelle quattro mura? Manca pochissimo, non puoi perderteli! Goditi un po' la serata, lascia andare i pensieri!"

Il tono canzonatorio e il ghigno sulla faccia del biondo mi danno alla testa. Non vede, o peggio non vuole vedere il mio stato emotivo attuale. Non voglio godermi la serata e non ce la farei anche se volessi, visto che anche solo respirare per tenermi in vita mi fa male come se stessi inalando acido.

I loro sguardi carichi d'incoraggiamento, fissi nei miei, non capiscono. Non riescono a comprendere il tumulto dentro di me, non sentono le scosse del violento terremoto della dimensione ovattata e sbiadita in cui mi trovo, di cui sono vittima e innesco al tempo stesso.

Stringo i pugni e serro la mascella, non dando peso alle occhiate contrariate e preoccupate che ricevo, allontanandomi a falcate pesanti e facendo rotta verso la mia camera, senza degnare nessuno di una risposta. Mi getto furiosamente all'interno e non accendo la luce, lascio che il buio mi accolga fra le sue morbide spire e che la schiena sbatta contro il ferro freddo della porta; scivolo piano contro quella superficie che mi infesta il corpo di brividi freddi. Porto le mani fra le ciocche castane, le tiro non appena sento il respiro farsi pesante ed erratico, e una sensazione di bruciore partire dallo sterno per iniziare ad insediarsi in tutto il corpo e lambire ogni cellula fra le sue fiamme infernali.

Mi sento come quel fatidico due di dicembre, come quando ero in bilico sul cornicione di casa mia con l'aria gelida e tagliente a frustarmi il viso e le mani scoperte. Pronto a morire, a buttarmi giù e a cancellare da solo ogni traccia della mia esistenza col mio odio verso me stesso. Sento dentro lo stesso tipo di folle e scalpitante disperazione.

Mi mordo l'interno della guancia fino a farlo sanguinare, con le unghie affondo nella carne dei miei avambracci fino a sentire la pelle lacerarsi e un dolore bruciante e familiare intorpidirmi. Piango piano, in silenzio; nessun singhiozzo rompe la quiete della stanza, ma solo una serie di colpi ritmici alla porta che ho imparato a riconoscere fin troppo bene. Uno lento, poi due veloci.

"Eren, fammi entrare."

E vorrei urlargli a squarciagola di andare via fino a non avere più voce e fiato nei polmoni, di lasciarmi stare e di non farsi più vedere nella mia vita e di infestare i mei pensieri e i mei sogni, di smettere di trattarmi come se contassi qualcosa e avessi un valore, ma divento debole davanti ad ogni minima sfumatura di Levi. Semplicemente, non posso.

Bussa ancora, chiamando piano il mio nome con voce preoccupata; le lacrime continuano a sgorgare copiose dai miei occhi, il sangue delle ferite fresche macchia il mio maglione color panna di rosso cremisi. Tenta di aprire la porta, ma il mio peso che la blocca gli impedisce di farsi largo nella stanza.

Quando mi giro ad incontrare i suoi occhi attraverso la fessura che è riuscito a ricavarsi, sento tutta la mia forza di volontà venire meno, spiazzata dal metallo fuso delle sue iridi che riflettono le luci fioche di quella penombra. E dentro di esse leggo disperazione, rabbia, rancore, rimorso e una tristezza tale che mi lascia disorientato, annientato per la sua spietata crudezza. Gli faccio spazio, alzandomi piano e arretrando alla vista delle innumerevoli emozioni in tumulto che gli stravolgono il volto, generalmente protetto dalla sua solita espressione fredda e impassibile; guarda i miei avambracci feriti tenendosi il labbro inferiore fra i denti e torturandolo piano. Il suo tono di voce, quando finalmente spezza quella tensione troppo carica di parole non dette e sentimenti inespressi, è intriso di dolcezza.

"Eren... Vieni di là, dai. Non ti fa bene stare da solo. Ti disinfetto le ferite e andiamo, ok? Ti stanno aspettando tutti."

Come può anche lui dirmi questo, non capire la vera portata dei miei sentimenti? Proprio lui, proprio Levi che è sempre sembrato così attento e così consapevole delle mie emozioni! Non lo vedi, Levi? Non lo vedi come mi straziano i miei demoni? Non lo senti il rumore agghiacciante e stridente dei miei pensieri?

Mi lascio andare ad un risolino amaro e teso; in fondo però avrei dovuto saperlo che anche lui non si sarebbe rivelato diverso dagli altri. Me lo dovevo aspettare, che Levi fosse uguale a tutti. Cosa credevo, di aver trovato qualcuno che mi comprendesse davvero? L'ennesima, mera e disgustosa illusione delle catene della mia mente.

"No che non va bene, Levi! Non lo vedi? Non lo vedi come sto? Anche tu sei come loro, non capisci e ti ostini a non farlo? Non è dicendomi di non pensarci che i brutti pensieri vanno via!"

Urlo, ormai preda dell'ira che mi infiamma da dentro e che mi fa vomitare quelle parole acide, che scivolano sulle mie labbra quasi senza averle pensate, che premono sulla mia lingua per uscire e riversarsi al di fuori.

"Sei esattamente come tutti gli altri! Tu non capisci e non hai mai capito! Voi con la vostra fottutissima vita perfetta!"

I suoi occhi si animano di una scintilla nuova, cupa e pericolosa; la rabbia che gli deforma il viso angelico arriccia il suo naso e fa aggrottare le sue sopracciglia sottili. E guardandolo ora mi rendo conto di essere davanti ad un Levi che non avevo mai visto prima, un Levi oscuro che non si mostra mai alla luce del giorno.

Si lascia sfuggire una risata tesa e amara, incatena i suoi occhi ai miei e muove passi lenti ma decisi verso la mia direzione. Rimango pietrificato, incapace di muovermi sotto quello sguardo penetrante, spiazzante e letale. Ho esagerato, soprattutto nell'ultima frase urlata con così tanto disprezzo; non so molto di Levi, ma da quello che mi ha raccontato, quella frase sputata con tono velenoso è stata un insulto bello e buono. Forse il peggiore che potessi rivolgergli.

"È questo quello che pensi di me? Dopo che ti sono stato accanto nei momenti in cui eri più vulnerabile e dop-"

Il suo tono di voce è stranamente basso e teso, ma non per questo suona meno funesto e micidiale. Si passa una mano fra i capelli tirando piano le ciocche corvine e sbuffando con fare nervoso, le mani tremanti. Non credo di averlo mai visto cedere così alle emozioni, fremere per qualche pensiero che gli carezza la mente.

Il respiro mi mozza in gola, il cuore perde un battito, un lungo brivido percorre la mia schiena e le mie labbra screpolate e mordicchiate si schiudono in un urlo di muto sgomento, quando si alza le maniche del maglione per mostrarmi le decine di cicatrici, ormai vecchie e traslucide, che marchiano in maniera indelebile la sua pelle diafana. Trema sotto i miei occhi, ma mai una volta il suo sguardo fiero vacilla o da il minimo segno di debolezza.

E per qualche motivo quelle ferite ormai chiuse su di lui mi fanno accapponare la pelle in un modo nuovo, intenso e sconosciuto, scuotendomi dall'interno con un brivido di orrore e inondandomi le guance di calde gocce salate, che sgorgano copiose dai mei occhi e mi rigano gli zigomi. Non emetto neanche un suono, improvvisamente non ne sono più capace.

Levi... Perché?

Così forte, ma così fragile al tempo stesso. Così perfetto ma allo stesso tempo sbagliato, sbagliato come me. Continua ad avvicinarsi, e mi sento di nuovo annientato dalla sola intensità del suo sguardo.

"No, non capisco, Eren. Non capisco perché non vuoi farti aiutare o perché tu sia così ostinato nel dichiararti un senza speranza quando invece sei pieno di risorse. Questo davvero non me lo riesco a spiegare, per quanto ci provi."

La sua voce suona stanca e tesa, provata da quella discussione dal risvolto sconvolgente e inaspettato. È talmente tanto vicino che il suo odore di the nero, tabacco e colonia maschile mi invade le narici e manda il tilt il cervello. Intreccia una mano alla mia, e fa scorrere le dita fredde dell'altra sui miei avambracci, carezzandomi le cicatrici e stando bene attento a non toccare le ferite aperte, per non causarmi dolore o fastidio. Imito il suo gesto, sentendo sui polpastrelli la pelle in rilievo, lì dove Levi ha affondato la lametta nella sua carne per chissà quante volte.

Levi, il mio Levi.

Interrompo quel contatto visivo, incapace di sopportare oltre quelle iridi metalliche scrutarmi l'anima, fino a leggere i miei pensieri più reconditi e oscuri.

Levi... Perché?

Non riesco a pensare ad altro se non a quelle braccia segnate da quelle spesse e sottili linee traslucide da cui non riesco a distogliere lo sguardo. E mi fa male, mi fa male come se portassi l'intero peso del mondo sulle spalle vedere quelle ferite sulle braccia di Levi.

"Non tutto è come sembra, Eren. Non significa che non ti capisco, se ti sprono a stare meglio."

Cattura il mio mento fra due dita, iniziando poi ad asciugare le lacrime che mi rigano gli zigomi, e indugiando sulla mia espressione interrogativa. Dolore liquido che sto versando per lui, per lui soltanto, il malessere scaturito dai miei pensieri ormai un ricordo lontano davanti a quelle iridi cineree che brillano nella penombra di sentimenti contrastanti. Esitazione, intraprendenza, desiderio... Timore.

"Se solo potessi guardarti attraverso i miei occhi, forse capiresti. Sei tutto il contrario di quello che credi di essere. Sei fragile, ma allo stesso tempo animato da una forza senza uguali e i tuoi occhi risplendono di speranza, ma tu questo non lo vedi; non lo vedi quanto sei pieno di energia, quanto sei ostinato e pieno di determinazione. Cristo, Eren, sei talmente accecato dal tuo odio verso te stesso, dalle parole che per anni ti hanno ripetuto, fino ad insediartele nella mente e farle passare come tuoi pensieri, da non riuscire a vederti davvero. Non sei inadeguato o mai abbastanza, nulla di te è sbagliato, Eren..."

Qualcosa dentro di me pare esplodere quando fa scontrare le sue labbra sottili e morbide con le mie, senza alcun preavviso. Mi sciolgo letteralmente come neve al sole a quel contatto, sentendo le gambe cedere, le ossa ormai ridotte in gelatina, e il cuore pompare sangue nel mio corpo ad un ritmo malato che mi lascia senza fiato. Mi cinge la vita, con una mano si fa strada fra le ciocche castane per attirarmi a lui ancora di più, come se volesse fonderci fino a farci diventare una cosa sola, far intrecciare le nostre anime. All'inizio è un bacio disperato, frenetico, così vorace e bisognoso da mozzarmi il respiro; poi Levi prende ad accarezzare le mie labbra piano, senza fretta, e mi ritrovo a seguire la sua giuda e ad imitare i suoi movimenti in quella danza fatta di schiocchi e sospiri densi. Gli cingo il collo con le braccia, perdendomi nel sapore intossicante di lacrime, disperazione, nicotina e parole non dette di quel bacio, nella consistenza delle sue labbra sui cui più e più volte mi ero concesso di fantasticare.

Mai nella mia vita avrei immaginato che potesse esistere un contatto di una dolcezza e intimità così disarmanti da scuotermi le viscere e farmi annodare lo stomaco fino a sentirlo dolere. Il suo tocco bruciante sul mio corpo, il suo odore misto al mio, la sua bocca che reclama il possesso della mia chiedendomi l'accesso della lingua, che concedo non appena mordicchia il mio labbro inferiore.

Non c'è niente di più perfetto del suo sapore.

Non c'è nient'altro che io riesca a pensare se non a lui, che sembra essere diventato ora come non mai il centro gravitazionale della mia vita. Il suo nome, il suo volto, le sue mani delicate che sfiorano la mia pelle come fossero fatte di elettricità pura, il modo in cui freme nel mio abbraccio, quasi come se non si aspettasse che ricambiassi il bacio con tanto impeto. Quasi come se si fosse costretto a baciarmi, animato da una forza che aveva cercato di combattere per forse troppo tempo, mettendo da parte paure ed insicurezze.

E non c'è niente di più giusto di questo, dei nostri corpi abbracciati che si esplorano, timidi.

Levi, Levi, Levi.

Mi sento finalmente completo quando intreccio le mie dita alle sue ciocche corvine, lisce come seta, e dai miei occhi sgorgano incessanti lacrime di gioia che cattura prontamente con i pollici.

"Non piangere..."

Interrompe quel contatto magico solo per sussurrarmi a fior di labbra quelle parole, facendomi rabbrividire per l'ennesima volta in una serata; poi torna ad impossessarsi della mia bocca con una delicatezza spiazzante.

Sono completamente stregato da ogni parte di lui, ipnotizzato da quelle iridi in tempesta che si fissano nelle mie, tanto vicine che riesco a scorgerne chiaramente i contorni blu, quando ci stacchiamo per riprendere fiato. Le sue labbra sono gonfie e arrossate, lucide della nostra saliva e maledettamente invitanti.

Neanche mi sono reso conto dei fuochi d'artificio che, chissà da quanto tempo, hanno iniziato a riflettere i loro bagliori colorati e intermittenti all'interno della stanza, accompagnati da scoppi secchi e fischi acuti; i giochi di colore con cui illuminano il metallo liquido degli occhi di Levi sono stupefacenti.

Levi mi ha baciato.

Levi, il ragazzo perfetto e irraggiungibile, lo studente modello che dietro la maschera che si è costruito cela un cuore d'oro.

Vorrei fargli mille domande, ma prima ancora che possa finire di formulare un pensiero coerente, rompe il silenzio.

"Beh, buon anno nuovo, Eren. Aspettami qui."

Soffia sulle mie labbra per poi schioccarvi un bacio casto e leggero come una piuma che mi fa arrossire, e istintivamente mi porto una mano alla bocca mentre mi da le spalle e si avvicina alla porta pericolosamente socchiusa, che lascia filtrare di poco la luce del corridoio, unica fonte di illuminazione della stanza. Mi ritrovo a sorridere come un ebete, quando torna con un flacone di acqua ossigenata e un pacco di garze fra le mani; si premura di chiudere la porta e di accendere la luce, per poi fare rotta verso la mia direzione.

Per la seconda volta, la realizzazione di quello che è appena accaduto mi investe con la stessa forza di un fiume in piena.

Ci siamo baciati.

Quanto tempo passato a fantasticare su quelle labbra, a rimuginare per nottate intere sulle emozioni che straziavano il mio petto in tumulto! E quanto dolce e giusto è stato finalmente poterle assaggiare e modellare sotto le mie, poter sentire anche il cuore di Levi fremere sotto la stoffa pesante del suo maglione a quel contatto. Anche lui avrà avuto i miei stessi dubbi? Anche lui si sente cadere in frantumi, spogliato di ogni barriera, sotto il mio sguardo? Anche lui si è sentito così maledettamente e irrimediabilmente voluto?

"N-Non sapevo ti p-piacessero i ragazzi."

Trovo il coraggio di parlare, constatando l'ovvio in una delle mie classiche uscite poco felici dettate dall'imbarazzo. La sua espressione concentrata, mentre lavora sulle mie ferite passandovi sopra dell'ovatta imbevuta di disinfettante e fasciandole, muta in una di divertimento.

"Tch."

Mi da una spinta amichevole sulla spalla, facendomi sbilanciare appena; non riesco a scollare lo sguardo da quel viso angelico, lo stesso viso che ho toccato, accarezzato con le mie mani; sento che non potrò mai più averne abbastanza di Levi, non ora che ho assaggiato quelle labbra che credevo proibite. Quando il mio pensiero però torna alle cicatrici sulle sue braccia, la mia espressione lascia posto ad un cipiglio confuso e carico di domande. Il corvino pare leggermi nel pensiero.

"Dopo."

Replica, applicando l'ultima garza e lasciandomi un bacio sulla punta del naso. Poggia quel kit di primo soccorso improvvisato sul comodino e va a sedersi sul mio letto, facendomi cenno di prendere posto accanto a lui.

Mi cinge la vita con un braccio e io ricambio il suo gesto; il sorriso che mi rivolge, - non un mezzo sorriso, ma uno di quelli veri che gli si riflette negli occhi - è più luminoso di qualsiasi stella. Rimaniamo abbracciati, corpo contro corpo e la sua testa sulla mia spalla, fino a che i fuochi d'artificio cessano di illuminare le mura della stanza con i loro colori variopinti e di rompere il silenzio con i loro scoppi secchi. Gli auguro un buon anno a mia volta sigillando il mio augurio con un bacio; le nostre labbra si cercano, fameliche, scontrandosi e fondendosi in quel contatto sublime e lento, fatto di pause senza tempo e carezze morbide e impalpabili.

"Starai meglio, Eren. Te lo prometto."

E se è Levi a dirlo, sussurrandolo piano al mio orecchio col suo fiato caldo a solleticarmi il collo, potrei anche concedermi il lusso di credere a quelle dolci parole cariche di speranza. Forse, quest'anno potrebbe cambiare qualcosa: devo solo trovare la giusta prospettiva per guardare la vita, aggiustare l'ago impazzito della mia bussola che ora sento appartenere completamente al cuore di Levi.

_______________________________________

SPAZIO AUTRICE

Questo spazio autrice è luuungo. Ma vi spiega tante belle cose, anche se non so da dove iniziare, in quanto questo capitolo parla di me in un modo davvero tanto intimo. Insomma, vi ho fatto attendere diciassette capitoli, ma alla fine li ho fatti baciare.

Passando ad altro, sia Eren che Levi rappresentano me in questa storia, quindi era plausibile (quasi scontato, leggendo Borderline sotto questa ottica) che lo specializzando avesse un passato difficile alle spalle. Ma se avevate tralasciato questo dettaglio, beh... Sorpresa! (?) 😂🙈

E quando avevo accennato al fatto che Levi fosse ispirato anche alla figura di una specializzanda che ho incontrato in reparto, mi riferisco proprio a questo capitolo. Ero giù di morale, mi ero fatta del male con qualche oggetto di fortuna e avevo le braccia completamente massacrate, quindi un infermiere mi aveva medicato. E c'era questa ragazza che mi guardava da lontano, di cui ricordo a malapena il viso e di cui non ho mai saputo il nome; mi ha seguito in camera, ed ha iniziato a parlare con me. Non lo faceva con le solite parole di incoraggiamento, mi ha semplicemente chiesto se mi andava di parlare con qualcuno e mi ha detto che non voleva lasciarmi sola in un momento del genere. Le ho raccontato un po' di me, perché quella conversazione mi metteva stranamente a mio agio. Poi aveva iniziato con i classici tentativi di infondere coraggio e forza di volontà per smettere di farsi del male, e le ho quasi urlato in faccia che la sua speranza era disgustosa, che non c'era modo di uscire da quel mondo per chi lo aveva conosciuto. Poi si è alzata le maniche del maglione.

È stato come vedere concretamente per la prima volta che ce la potevo fare, e quell'ora di conversazione è valsa quanto un mese di psicoterapia. Non l'ho più rivista, e non sono riuscita nemmeno a ringraziarla, ma probabilmente mi ricorderò di lei per sempre.

Tornando al contenuto del capitolo, il loro bacio rappresenta anche un momento di accettazione, in cui le due parti di me, quella più fragile che cede ai demoni del disturbo e quella forte, iniziano ad accettarsi a vicenda e a coesistere, a parlarsi davvero e a trovare un punto d'incontro. Ma questa probabilmente è una concezione contorta che funziona soltanto nella mia mente.

La smetto di annoiarvi con queste cose e passo al dunque: se aggiornassi domenica (non questa, ma domenica 11-08), passerebbe più di una settimana. Ergo, non so quando aggiornare e come avvisarvi dell'aggiornamento. Per chi mi legge su Wattpad credo che scriverò qualcosa sulla mia bacheca, ma per i lettori di EFP non so come fare, diamine! Posso solo consigliarvi di tenere la storia d'occhio. Forse potrei iniziare anche con il doppio aggiornamento mercoledì/domenica, ma devo organizzarmi bene.

Ci vediamo non so quando, che trauma non poter dire che ci vediamo domenica! 😭😭Grazie come al solito di cuore a tutti voi!❤️✨

Continue Reading

You'll Also Like

46.8K 3K 36
È la sedicesima estate che Izuku passa dividendo la sua residenza estiva con Todoroki e Kirishima. I tre sono amici da quando erano in fasce e, ogni...
158K 10.9K 58
[Fantasy AU]: "Izuku Midoriya è un giovane Omega, ma prima di tutto è quello che viene definito un mezzelfo. Disprezzato dalla famiglia reale, viene...
2.6K 259 35
«Avrei voluto piegare il tempo e strapparlo come un foglio di carta, riscrivere la nostra storia affinché nessuno dei due dovesse più vivere un solo...
47.3K 2.4K 39
Where... Grace Martinez ha passato la sua intera vita sui campi da tennis. All'inizio non apprezzava molto questo sport, ma essendo una persona eccen...