BORDERLINE - Ereri/Riren -

By Ackerbitch

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II COMPLETA II Eren Yeager, studente diciassettenne di quinta liceo, ha davvero toccato il fondo. Dopo anni d... More

INTRODUZIONE
I - 3 Dicembre, Giorno 1
II - 3 Dicembre, Giorno 1
III - 5 Dicembre, Giorno 3
IV - 9 Dicembre, Giorno 7
V - 10 Dicembre, Giorno 8
VI - 11 Dicembre, Giorno 9
VIII - 15 Dicembre, Giorno 13
IX - 16 Dicembre, Giorno 14
X - 17 Dicembre, Giorno 15
XI - 23 Dicembre, Giorno 21
XII - 24 Dicembre, Giorno 22
XIII - 25 Dicembre, Giorno 23
XIV - 27 Dicembre, Giorno 25
XV - 29 Dicembre, Giorno 27
XVI - 30 Dicembre, Giorno 28
XVII - 31 Dicembre, Giorno 29
XVIII - 1 Gennaio, Giorno 30
XIX - 8 Gennaio, Giorno 37
XX - 13 Gennaio, Giorno 45
XXI - 17 Gennaio, Giorno 49
XXII - 2 Febbraio
XXIII - 14 Febbraio
XXIV - 30 Marzo
XXV - 1 Maggio
XXVI - 27 Giugno
XXVII - 18 Luglio
XXVIII - 21 Luglio
XXIX - 10 Agosto
XXX - 24 Ottobre
XXXI - 25 Dicembre
XXXII - 31 Dicembre
XXXIII - 20 Febbraio
Ringraziamenti

VII - 12 Dicembre, Giorno 10

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By Ackerbitch

Confessions

Skillet - Not Gonna Die

LEVI

"Tch."

È il mio unico commento, mentre continuo ad imprecare mentalmente contro le donne di servizio. A quanto pare hanno deciso di far diventare questo posto una vera topaia. E così, non avendo altro da fare, passo la mattinata armato di prodotti per la pulizia e di pazienza, iniziando a disinfestare questo posto dalla polvere e dallo sporco.

Una volta puliti tutti gli spazi comuni e assicuratomi che neanche il minimo granello di polvere li infesti con la loro sgradevole - e per il sottoscritto, totalmente inaccettabile - presenza, passo alle camere dei ragazzi.

Busso alla prima stanza a destra, che so bene essere quella del moccioso. Ieri sera non mi sono sfuggiti gli occhi lucidi di lacrime che minacciavano di riversarsi copiose nonostante stesse palesemente facendo appello a tutto il suo autocontrollo per trattenerle. E non mi è sfuggito neanche il modo in cui ha evitato il mio sguardo, scostante.

In quell'unico e sfuggente istante in cui i nostri occhi si sono incontrati ho letto dentro quelli di Eren un tripudio di emozioni tanto nere e intense da risultare disarmanti e colpirmi come una dolorosa e ardente pugnalata in pieno petto.

Angoscia, rassegnazione, ansia, sofferenza, paura, esasperazione e panico oscillavano pericolosamente in quelle iridi di smeraldo.

Avrei voluto parlargli ma è scappato via da me senza proferire parola, palesemente infastidito dal mio contatto. Non avrei voluto lasciarlo da solo, ma non potevo di certo imporgli la mia presenza quando questa non era di certo gradita, non mi è sembrato giusto forzarlo ad aprirsi e a dare voce al suo tumulto interiore in un momento così delicato e rischiare di farlo stare ancora più male.

Busso piano alla sua porta, e non ottenendo risposta entro cauto, a passi lenti e calcolati. Sono sorpreso quando non lo trovo all'interno, visto che tende ad isolarsi e a passare la maggior parte del tempo da solo. Erwin e Rico non sono ancora in reparto, quindi deve per forza essere in compagnia degli altri ragazzi.

Meglio così, mi dico. Sarà sicuramente di umore migliore oggi.

La sua camera è inaspettatamente ordinata e pulita, e non ci metto molto prima di finire di dare una spolverata veloce. Mentre faccio per uscire però, un piccolo taccuino nero che sporge da sotto il cuscino cattura la mia attenzione.

Mi avvicino piano e me lo rigiro tra le mani, e nonostante sia ben consapevole che non dovrei ficcare il naso in quello che ha tutta l'aria di essere il suo diario, proprio non riesco a ricacciare indietro la curiosità.

Sembrerà un sentimento da mocciosi egoisti, ma voglio conoscere i pensieri di quel ragazzo dagli occhi verdi, voglio studiare le voci del suo disturbo e farle tacere una volta per tutte.

Lo apro piano, saggiando sotto i polpastrelli la consistenza ruvida della carta mentre mi tuffo in quel mare di nera disperazione che pare avvilupparmi nelle sue onde di viscoso petrolio e risucchiarmi inesorabilmente al suo interno. Le parole che vi trovo scritte mi colpiscono con un senso di profondo malessere e nausea addosso. Eren sembra così tranquillo, ma le sue emozioni urlano tutta la loro cruda, viscerale e nera disperazione su quella carta bianca e stropicciata.

Quando giro l'ultima pagina e leggo la data di ieri sento chiaramente il cuore perdere un battito. Tonde gocce scarlatte risaltano sul candore del bianco, macchiandolo, e la scrittura tremante e disordinata risulta in alcuni punti sbiadita dalle lacrime che l'hanno colpita.

Rimorso. È questo che mi scuote l'animo a quell'orrenda scoperta. Avrei potuto fermarlo, avrei dovuto fermarlo. E invece l'ho lasciato andare, perseverando nello stesso errore del passato. Il mio sangue pare ghiacciarsi e fermare la sua corsa frenetica nelle vene, mentre un lungo brivido di terrore corre lungo la mia spina dorsale. Chiudo gli occhi, tentando di regolarizzare il mio respiro accelerato e scuoto la testa come a scacciare pensieri che non voglio contemplare.

Mi ricorda me sotto molti aspetti, e soprattutto mi ricorda lui sotto molti aspetti.

Voglio conoscerlo, voglio che si fidi di me, voglio capirlo. Ma allo stesso tempo ho una paura indicibile e paralizzante. Paura di attaccarmi troppo, paura di rivivere momenti del mio passato che da anni sto cercando di cancellare e seppellire sotto un macigno. Quel moccioso dagli occhi verdi mi attira e respinge al tempo stesso come uno strano magnete impazzito.

Sospirando, decido di continuare con la mia mattinata di pulizie dirigendomi verso la camera di Historia, ma nel farlo i miei occhi vengono catturati dalla sua figura nella sala comune. È seduto in cerchio insieme agli altri ragazzi, i capelli color cioccolato leggermente lunghi ad incorniciargli il viso e quegli occhi impossibili. Il suo incarnato è pallido ma non c'è traccia delle solite occhiaie che gli conferiscono quell'aria perennemente stanca e malata. Non si è accorto che lo sto guardando, completamente assorbito nel suo discorso.

Parla con gli altri con fare timido e quasi impacciato, come se un profondo timore lo attanagliasse dall'interno, affondando il viso nella sua enorme felpa verde che fa risaltare ancora di più quegli smeraldi preziosi. Il suo tono di voce è talmente basso che non riesco a cogliere neanche una singola parola che lascia le sue labbra carnose e screpolate. Le gambe fasciate da stretti skinny jeans neri sono accavallate e ai piedi porta le sue fidate Vans. La sua espressione è più distesa e meno contratta di ieri, donandogli un'aria quasi serena e tranquilla.

Digrigno i denti al pensiero di quante cicatrici quest'attimo di felicità sfuggente ed effimera deve essergli costato, incolpandomi di averlo lasciato andare ieri sera. Avrei potuto - dovuto - impedire che si facesse del male. Quante volte avrà affondato le unghie negli avambracci e preso a morsi quelle carni cedevoli fino a sanguinare? Di nuovo, non sono stato in grado di cogliere i segnali.

E mentre poggio i miei occhi su di lui per l'ultima volta prima di tornare a pulire le stanze, non posso fare a meno di pensare che è bello davvero, anche col viso stanco e provato dalla sofferenza.

***

EREN

Per la prima volta da quando ho messo piede in questo posto, ho dormito per più di cinque ore. Serenità a tranquillità mi pervadono l'animo con il loro sfuggente quanto effimero calore. Cerco di imprimere nella mia mente e nel mio corpo questa sensazione di pace, ben conscio del fatto che durerà poco.

Animato da un ottimismo che non mi appartiene, dopo essermi vestito velocemente faccio rotta verso la sala comune sperando di trovare i ragazzi. Sono stanco di evitarli come la peste, e lo sono anche loro. Hanno detto di volermi conoscere e di volersi far conoscere da me, quindi ho accettato la proposta. Sono pronto a condividere la mia storia.

Quando però apro la porta e cinque paia di occhi si puntano su di me scrutandomi curiosi, quasi rimpiango la mia idea. La mia audacia pare scemare di botto, così come la mia sicurezza.

"Ma guarda chi si vede! Mr. mi-sono-murato-nella-mia-stanza! Qual buon vento ti porta qui fra noi comuni mortali?"

Esordisce Jean con tono canzonatorio, rivolgendomi uno sguardo interessato e indiscreto, un sopracciglio alzato in fare interrogativo mentre sorseggia una tisana dalla sua grossa tazza blu.

"Ho riflettuto su quello che avete detto l'altra volta ragazzi...È che sono stanco di evitarvi..."

Mi porto una mano a grattarmi la nuca in un gesto inconsapevole di evidente imbarazzo, prima di riprendere la parola.

"Vorrei conoscervi meglio, ecco tutto..."

Rispondo, prendendo timidamente posto sulla sedia libera accanto a Mikasa e Marco mentre Ymir e Jean mi guardano, accigliati. La castana mi punta un dito contro.

"Tu hai uno sbalzo d'umore bello grosso, amico! Dov'è finito il tuo umore nero e depresso?"

"Ymir!"

Sbotta Historia.

"Non avrei mai creduto di poter concordare con la gallina, ma il giorno è arrivato. È successo l'impossibile, stavolta ha ragione."

"Frenate, frenate tutti! Concordi con me, faccia da cavallo? Oh mio Dio!"

Esordisce con tono incredulo la castana, prima di scoppiare in una teatrale risata spacca timpani mentre si asciuga una lacrima sfuggitagli dal bordo dell'occhio con l'indice.

"Eren...sei sicuro di stare bene?"

Il tono di Mikasa mi carezza le orecchie colmo di preoccupazione. Non capisco perché si dia tante ansie, visto che sono in uno dei rari momenti di pace con me stesso. Le rivolgo un sincero sorriso, che sembra in qualche modo spiazzarla, come se non si aspettasse quel gesto da me. Un cipiglio compare sul suo volto, e la sua espressione si fa pensierosa. Oggi sembra davvero giù di morale, i suoi occhi grigi mostrano la scintilla nera e tetra della sofferenza.

"Va bene." Esordisce Historia. "Eren, c'è qualcosa in particolare di cui vorresti parlare?" "Di voi, e anche di me."
Rispondo, esitante nel porre quella richiesta che lascia le mie labbra con voce tremula. "Ripropongo la mia domanda allora, visto che oggi avrò la risposta. Perché sei qui?"

Dice Jean, alludendo al nostro primo incontro. Tanta audacia mi spiazza, e ne rimango quasi paralizzato. Vorrei parlare, ma la mia voce sembra bloccarsi in gola. Forse questa non è stata una buona idea.

"Beh? Il gatto ti ha mangiato la lingua?"

Mi incalza il biondo tinto, sotto le occhiate truci della corvina e lo sguardo colmo e trasudante di disapprovazione di Historia.

"I-Io, ecco...Soffro di un disturbo di personalità. Si chiama disturbo borderline."

Il mio tono è basso e volutamente pacato, quasi come se dire quelle parole ad alta voce potesse risvegliare i demoni ora assopiti dentro di me e farli tornare all'attacco.

"Più o meno tutti siamo sulla stessa barca, tesoro. Quasi tutti qui abbiamo un disturbo di personalità."

Il tono di Ymir è provocatorio e mesto allo stesso tempo. Il silenzio che segue e che grava sulla stanza, caricandola di tensione, è tanto denso da rendere l'aria tesa ed elettrica assordante.

Mi lascio andare ad un sospiro, prima di iniziare a torturarmi le dita delle mani nervosamente e affondare il viso nella stoffa soffice e profumata della mia felpa verde più che posso.

"Penso tu ci sia già arrivato, ma soffro di anoressia." Commenta Historia, prendendo timidamente parola e spezzando quella bolla di tristezza e mestizia in un sussurro. Deve essersi accorta della mia tensione, decidendo di iniziare il suo racconto per rompere il ghiaccio e mettermi a mio agio. "È iniziato tutto quando avevo tredici anni, ma dopo la morte di mia sorella mi sono lasciata completamente andare. Ora sto combattendo però, per lei e per i miei genitori. Sono stanca di stare male. Ho fatto grossi progressi, sto davvero meglio e sono determinata a migliorare ancora di più. Glielo devo, Frieda non vorrebbe vedermi triste e abbattuta..."

"È forte, la mia Historia!"

Esordisce Ymir, attirando la bionda in un abbraccio e scompigliandole i lunghi capelli del colore dell'oro. Il sorriso sincero e colmo di emozioni che la bionda le rivolge mi scalda il cuore.

Solo ora mi accorgo del posto vuoto accanto alla castana.

"Gabi?"

Chiedo, incuriosito dall'assenza della più piccola del gruppo.

"La piccola stronzetta insolente è in permesso con gli assistenti sociali."

Sputa fuori Jean, velenoso. Alla vista del mio sguardo carico di domande Mikasa prende parola.

"I genitori di Gabi sono tossicodipendenti. Non hanno più la sua custodia da anni ormai e lei è stata affidata a diverse case famiglia. È qui perché soffre di disturbo da stress post-traumatico. Nella precedente casa famiglia che l'ha ospitata ha subito abusi che l'hanno segnata profondamente. Non è facile, ha solo dodici anni...La capisco davvero. Fortunatamente fra pochi mesi compirò diciotto anni e non dovrò più mettere piede in uno di quei postacci."

Prende un respiro profondo, passandosi nervosamente una mano fra le lunghe ciocche corvine e permettendomi di scorgere i tanti e sottili anellini in metallo lucido che le abbracciano le orecchie.

"I miei mi hanno abbandonata in orfanotrofio quando ero poco più che una neonata, mi sono sempre chiesta il perché. Ero sbagliata? Non voluta? Non amabile? Per anni questi pensieri mi hanno tormentato giorno e notte non lasciandomi un attimo di tregua. Solo durante i primi anni dell'adolescenza sono riuscita a risalire alla loro identità, venendo a conoscenza del fatto che avessero un debito con la mafia. Sono stati uccisi, trucidati nel peggiore modi. E proprio mentre scoprivo questo, la famiglia amabile in cui avevo trovato riparo e che aveva cancellato quegli orrendi interrogativi dalla mia mente con carezze e affetto iniziava a cadere a pezzi. Minacce di divorzio, urla e piatti spaccati a terra, il pianto della mia sorellina che si stringeva a me spaventata. E fidati, non c'è voluto molto prima che quel bastardo passasse alle mani contro di noi e contro sua moglie. Lo odio, lo odio con tutta me stessa; quell'uomo è stato la mia rovina. Ha schiacciato la mia autostima sotto la suola delle sue scarpe eleganti da impiegato di banca e cancellato la mia dignità a suon di pugni e percosse, riempito i miei pensieri col suono delle sue urla assordanti che parlavano d'odio puro. Ha distrutto tutto quello che ero, e il rancore che serbo nei suoi confronti è tanto violento da accecarmi e intorbidirmi la mente. È colpa sua, tutto questo è colpa sua."

Posso chiaramente leggere nei suoi occhi la sofferenza e la fatica che le costa richiamare alla mente certi ricordi, rispolverarli dal cassetto di quelle truci memorie che vorrebbe soltanto chiudere per sempre e gettarne via la chiave. Stringe i pugni fino a far diventare le nocche bianche, il viso distorto da un'espressione di rabbia che le infiamma lo sguardo grigio.

Vittime. Lei e Gabi non sono nient'altro che vittime, ragazze a cui è stato tolto tutto, anche la cosa più pura e più naturale del mondo: la famiglia. Un groppo in gola mi sale al pensiero dei miei genitori, i miei angeli custodi. Loro mi sono sempre stati vicino, e non potrei mai immaginarmi senza le loro figure al mio fianco. E per quanto mi sforzi, non riesco a pensare ad una vita senza mia madre che mi sostiene e che mi cucina quei suoi biscotti di pasta frolla morbida e bagnati nel cioccolato che mi mettono sempre di buonumore, senza il suo sguardo colmo d'amore e d'orgoglio per un figlio che d'orgoglio proprio non ne merita. E senza mio padre, la mia guida, la mia stella polare, non saprei dove andare. Sarei perso come un marinaio in mare aperto su un misero vascello dagli strumenti rotti e dagli indicatori sballati, in una notte di burrascosa tempesta ammantata da nubi tetre e scure. Il racconto di Mikasa fa stringere il mio petto e un moto di gratitudine per i miei genitori mi accende di una nuova e inaspettata consapevolezza: sono davvero fortunato ad avere una famiglia al mio fianco che mi sostiene.

"Prima di perderci di nuovo in silenzi imbarazzanti, io la faccio breve: sono bipolare. E prima che si faccia notte, Marco soffre di disturbo evitante di personalità."

"Dannata gallina, così lo inibisci! Dagli almeno il tempo di parlare!" Il biondo fa schioccare sonoramente la lingua sul palato, mentre rivolge uno sguardo melenso al corvino che ricambia con un sorriso timido e appena accennato che gli incurva le labbra e fa arricciare il naso spruzzato di lentiggini. Torna a puntare i suoi occhi su Ymir, e se gli sguardi potessero uccidere la castana sarebbe ridotta ad un cumulo di cenere sotto quelle iridi brucianti.

"Ti ho mai detto quanto ti odio quando sei in piena fase maniacale?" Commenta velenoso.

"Perché? Mi preferisci in fase depressiva?"

Ymir mette su un'espressione provocatoria e di finta offesa.

"Sì, almeno non rompi i coglioni."

La castana replica con un gesto di stizza della mano e una smorfia a deformarle il volto, il naso arricciato e la bocca piegata in un'angolazione innaturale sotto lo sguardo riservato ma divertito di Marco. Quello scambio di battute mi ha lasciato perplesso però, e Ymir sembra accorgersene.

"Siamo stati ricoverati insieme qui più volte. Io sono al terzo ricovero, Jean è al secondo."

Il mio sguardo saetta veloce fra le loro figure, rimbalzando fra i volti intenti a fissarsi in cagnesco prima di rivolgere una domanda - la domanda - al biondo. È l'unico che si sé non ha ancora detto nulla.

"E tu perché sei qui?"

Improvvisamente i suoi occhi chiari sono fissi nei miei e sembrano scintillare di un'emozione a cui a primo impatto non riesco a dare un nome, ma che poi identifico come rabbia.

"Proprio tu mi fai questa domanda? Tu che hai messo piede in questa stanza per farti conoscere ma non hai saputo dire niente di nuovo? Rispondimi, e io risponderò a te. Perché sei qui?"

In qualche modo il suo tono è diverso da quello di sempre. Suona pericoloso, intimidatorio, e mi ritrovo a boccheggiare a quell'aggressione inaspettata.

"Ho tentato il suicidio."

Quelle parole scivolano sulla mia lingua con una scioltezza disarmante, e sento anche l'ultimo briciolo di sanità mentale abbandonarmi mentre confesso a quei ragazzi quell'orribile crimine contro me stesso.

"Un altro fottuto bastardo suicida."

Lascia andare una risatina sadica e dal suono quasi meccanico a quel commento, mentre io sento la rabbia montare e prendere completamente il possesso della mia mente fino a

tenderne le corde fragili e sottili a suo piacimento. Ho confessato loro la mia parte più buia e autodistruttiva per cercare aiuto, comprensione ed emozioni da condividere per aiutarci a vicenda a sradicare quei disturbi insediati nelle nostre anime, non per ricevere insulti.

"Questo non te lo permetto!" Mi alzo di scatto dalla sedia, sentendo la rabbia divamparmi dentro all'improvviso come una grossa lingua di fuoco, alimentata dalla benzina delle parole di Jean. Mi muovo in avanti nella sua direzione quasi inconsapevolmente, Mikasa tenta di bloccarmi stringendomi un polso con la sua mano piccola e fredda ma mi divincolo prontamente dalla sua presa.

Non so bene chi sia stato a tirare il primo pugno, ma mi accorgo della rissa a cui abbiamo dato inizio quando sento il sangue caldo colarmi dal naso, infestarmi le narici col suo odore pungente e la bocca col suo sapore metallico. Jean ha un labbro spaccato da cui cola quel liquido cremisi che imbratta il pavimento in piccole gocce e si tiene una mano sulla bocca dello stomaco. Mi guarda con occhi taglienti e minacciosi, scuri e carichi di collera. Muove due lunghe falcate nella mia direzione, ma quando faccio per raggiungerlo una figura si frappone fra noi. Mikasa mi sbarra la strada, mentre Ymir tiene salde le mani di Jean dietro la sua schiena, impedendogli di muoversi. Quando tento di raggiungerlo aggirando la corvina, Mikasa mi prende per un braccio e me lo torce dietro la schiena, per poi iniziare a trascinarmi fuori dalla stanza. Ribatto velenoso agli insulti che Jean urla nella mia direzione mentre sono costretto a seguirla, e con mia sorpresa constato che è maledettamente forte per essere una ragazza.

"Dio mio, guarda come vi siete ridotti."
Mormora stizzita, mentre mi trascina all'interno della mia stanza contro il mio volere.

"Aspettami qui, torno subito. Non un solo passo fuori da questa porta se non vuoi che Erwin venga a sapere della rissa."

Non mi resta che annuire sconfitto mentre Mikasa lascia la stanza, e prima di sedermi sul letto tiro un pugno al muro nel vano tentativo di calmare la rabbia che sento ribollire dentro. Chi diamine crede di essere per parlarmi in quel modo? Cosa gli da il diritto di insultarmi e sputare veleno in quel modo? Stringo i denti dalla rabbia fino a sentire la mascella dolere a quei pensieri, da cui mi riscuoto soltanto quando nel mio campo visivo entra nuovamente la corvina. Fra le mani tiene delle garze e dell'acqua ossigenata.

"Vieni, ti disinfetto"

Versa il liquido trasparente sulle garze prima di iniziare a passarle sul mio naso pieno di escoriazioni dovute al pugno di Jean. Me la pagherà cara, il dannato. Sibilo dal dolore al contatto del disinfettante con le mie ferite aperte.

"Brucia?" 

"Un po'."

Mikasa sospira, smettendo di disinfettarmi per puntare i suoi occhi nei miei.
"Jean non l'ha fatto apposta, è solo molto sensibile riguardo determinati argomenti." Sento la rabbia montare di nuovo e scuotermi le viscere. Come sarebbe a dire?

"Che diamine significa che non lo ha fatto apposta!?" Sbotto, incapace di contenermi oltre. "Mi ha praticamente aggredito, ci siamo saltati addosso e siamo arrivati alle mani! Come può non aver fatto apposta una cosa del genere, me lo spieghi?!"

Mikasa sospira poggiando la garza sul comodino, prima di fissare di nuovo le sue iridi dalle mille sfumature di grigio scuro nelle mie.

"Fidati, Jean è più borderline di te. Ha tentato di togliersi la vita più volte, e credimi se ti dico che l'ultima volta c'è quasi riuscito, c'è mancato davvero poco e sarebbe morto. È qui dentro da quattro mesi ormai, davvero troppo tempo. Non riesce a riprendersi dall'ultimo tentativo di suicidio, e lo conosco abbastanza per dirti che il tuo ammettere quel gesto con tanta naturalezza l'ha sconvolto. Si nasconde dietro una maschera fatta di finta arroganza, insulti velenosi e sarcasmo pungente, ma è probabilmente una delle persone più emotivamente fragili che io conosca. Sotto la pessima impressione di sé che da c'è davvero un ragazzo con il cuore d'oro."

Solo ora che mi parla seduta sul mio letto affianco a me noto il sottile anellino di metallo che le abbraccia il labbro inferiore. Capisco il suo discorso e non nascondo la sorpresa nello scoprire che io e Jean combattiamo lo stesso nemico, ma allo stesso tempo non riesco a sopprimere il rancore, il risentimento e la voglia di vendetta che provo nei suoi confronti.

"Tenta di non essere impulsivo con lui quando lo vedrai la prossima volta. Non farti sopraffare dalle emozioni e mantieni il controllo."

Come se fosse facile. Poi la corvina continua.

"Hai fatto davvero un passo in avanti oggi a condividere la tua storia con noi, Eren. Ne siamo davvero felici."

"Ma io non ho detto niente, se non il nome del mio disturbo. Voi vi siete davvero raccontati e ve ne sono grato."

"Un passo alla volta, Eren. Non c'è altro che devi dire per ora se non te la senti."

Mi passo nervosamente una mano nei capelli e porto quasi inconsapevolmente il labbro inferiore fra i denti, torturandolo piano con piccoli morsi. In realtà c'è molto altro che vorrei dire, molto altro che vorrei urlare al mondo. E per qualche motivo parlarne con Mikasa ora non mi sembra una cattiva idea.

"Ho paura che la malattia mi definisca come persona, ho paura che senza la malattia Eren Yeager non esista più, svanisca semplicemente nel nulla. Ma allo stesso tempo sento che quel nome non mi appartiene, che i miei pensieri lo hanno ingoiato, logorato e cancellato dalla mia anima. Ho paura di sparire senza i miei demoni, ma voglio cacciarli via ed estirparli come se fossero la peggiore delle erbacce. Ho paura di sparire, ma allo stesso tempo vorrei davvero sparire...Non so nemmeno se ha senso per te o per qualcuno quello che dico."

Quando mi volto nella sua direzione, trovo che gli occhi di Mikasa siano più eloquenti di qualunque discorso. Sì, lei mi capisce, e lo fa alla perfezione. Lo leggo nelle emozioni che quelle iridi riflettono.

"Combatti. Non svanirai nel nulla insieme al tuo disturbo se un giorno riuscirai a stare meglio. Ti sembra di esserne dipendente, ma quella della malattia è una droga pericolosa. Dicono che si è persone completamente diverse una volta che se ne esce, persone migliori. Mi domando se anche a noi un giorno sarà dato provare la stessa sensazione in prima persona e non solo attraverso quei racconti così disgustosamente pieni di speranza che le altre persone, quelle forti, ci propinano per invogliarci a lottare."

La sua espressione non cambia mentre pronuncia quelle parole con sguardo fisso in un punto davanti a sé, oltre le inferriate della finestra.

Sì, Mikasa, me lo chiedo anche io che sapore e che colore abbiano la felicità e la libertà. 

_______________________________________

SPAZIO AUTRICE

Finalmente anche gli altri ragazzi hanno avuto modo di dire la loro e di farsi conoscere tramite le loro esperienze, che ne pensate?

E sembra essersi mosso qualcosa dentro di Levi, supposizioni?

Detto questo, vi lascio ad una breve lezione di psichiatria spicciola sui disturbi degli altri ragazzi, ci vediamo domenica prossima!💖✨

Disturbo bipolare: Chi ne è affetto tende ad alternare fasi depressive seguite da fasi ipomaniacali o maniacali. Le fasi depressive nel disturbo bipolare si caratterizzano per un umore molto basso, una sensazione che niente sia più in grado di dare piacere e una generale tristezza per la maggior parte del giorno Le fasi maniacali nel bipolarismo, in alcuni casi, vengono generalmente descritte come l'esatto contrario di quelle depressive. Ovvero, caratterizzate da un umore alquanto elevato, dalla sensazione di onnipotenza e da un eccessivo ottimismo. Talvolta il passaggio di fase nel bipolarismo è lento e subdolo, mentre altre volte può essere brusco e improvviso.

Anoressia nervosa: La caratteristica principale di questo disturbo è il rifiuto del cibo. Il termine anoressia (letteralmente mancanza di appetito) non risulta corretto per descrivere un disturbo in cui l'appetito è nella maggioranza dei casi conservato. Piuttosto ciò che caratterizza la persona anoressica è il terrore di ingrassare e la necessità di controllare l'alimentazione alla ricerca della magrezza.Nei soggetti con sintomi di anoressia nervosa i livelli di autostima sono fortemente influenzati dalla forma fisica e dal peso corporeo. La perdita di peso viene considerata come una straordinaria conquista ed un segno di ferrea autodisciplina, mentre l'incremento ponderale viene esperito come una inaccettabile perdita delle capacità di controllo.

Disturbo evitante di personalità: Le persone con disturbo evitante di personalità vivono generalmente isolate, spettatrici di un mondo al quale vorrebbero prendere parte ma per loro troppo spaventoso. Tendono, infatti, a pensare di non essere brave abbastanza, di poter essere rifiutate o ferite, di non piacere agli altri, di essere poco attraenti e socialmente inadeguate. Questi pensieri conducono a elevati stati di ansia nelle situazioni sociali, quali lavoro, amici, relazioni intime, che tendono accuratamente a evitare per paura di essere ridicolizzati, criticati e rifiutati. La condizione preminente è il "disagio e l'ansia sociale" e una marcata tendenza a svolgere una vita routinaria che ponga questi soggetti al riparo dai potenziali rischi costituiti dalla novità. Per poter vivere sensazioni positive e gratificanti, anche se momentanee, gli evitanti coltivano interessi e attività solitarie.

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