BORDERLINE - Ereri/Riren -

By Ackerbitch

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II COMPLETA II Eren Yeager, studente diciassettenne di quinta liceo, ha davvero toccato il fondo. Dopo anni d... More

INTRODUZIONE
I - 3 Dicembre, Giorno 1
II - 3 Dicembre, Giorno 1
III - 5 Dicembre, Giorno 3
IV - 9 Dicembre, Giorno 7
VI - 11 Dicembre, Giorno 9
VII - 12 Dicembre, Giorno 10
VIII - 15 Dicembre, Giorno 13
IX - 16 Dicembre, Giorno 14
X - 17 Dicembre, Giorno 15
XI - 23 Dicembre, Giorno 21
XII - 24 Dicembre, Giorno 22
XIII - 25 Dicembre, Giorno 23
XIV - 27 Dicembre, Giorno 25
XV - 29 Dicembre, Giorno 27
XVI - 30 Dicembre, Giorno 28
XVII - 31 Dicembre, Giorno 29
XVIII - 1 Gennaio, Giorno 30
XIX - 8 Gennaio, Giorno 37
XX - 13 Gennaio, Giorno 45
XXI - 17 Gennaio, Giorno 49
XXII - 2 Febbraio
XXIII - 14 Febbraio
XXIV - 30 Marzo
XXV - 1 Maggio
XXVI - 27 Giugno
XXVII - 18 Luglio
XXVIII - 21 Luglio
XXIX - 10 Agosto
XXX - 24 Ottobre
XXXI - 25 Dicembre
XXXII - 31 Dicembre
XXXIII - 20 Febbraio
Ringraziamenti

V - 10 Dicembre, Giorno 8

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By Ackerbitch

Cigarettes

Bring Me The Horizon - Can You Feel My Heart

LEVI

Busso piano alla porta del moccioso, passandomi una mano fra i capelli per scansare le ciocche corvine davanti agli occhi contornati da scuri cerchi neri. Soffrire di insonnia fa davvero schifo, e la costante tensione per i miei innumerevoli impegni di certo non aiuta.

Stando a quanto dice Erwin, Eren è di umore pessimo - più del solito, s'intende - da un paio di giorni. Talmente tanto rifiuta il contatto umano che anche i due psichiatri sembrano essersi rassegnati alla sua cocciutaggine e hanno quasi smesso di fargli pressione per tentare di farlo uscire da quelle quatto mura piene di scritte.

Non mi fa attendere molto prima che la sua figura si pari davanti a me, sovrastandomi in altezza con mio malcelato disappunto.

I suoi occhi, impossibilmente verdi ma spenti e opachi, s'incastrano nei i miei; la zazzera castana disordinata incornicia il volto stanco e provato di chi ha passato una notte senza sonno. Indossa una lunga felpa grigia con una fantasia geometrica, degli skinny jeans neri attillati e il suo classico paio di Vans dello stesso colore, consunte e scolorite e che hanno sicuramente visto giorni migliori. Non ha per niente una bella cera.

"Buongiorno."

Mi saluta timidamente, sfuggendo al mio sguardo mentre tenta vanamente di reprimere uno sbadiglio che fa schiudere le sue labbra rosee che copre prontamente con il dorso della mano. Probabilmente la sua nottata è stata più insonne della mia.

"Buongiorno a te."

Ricambio il suo saluto, intimandogli di seguirmi con un cenno del capo.

Usciamo dal reparto di neuropsichiatria in silenzio, lasciandoci alle spalle quei corridoi colorati e immergendoci in quelli tinti di bianco dall'aria sterile e asettica del reparto di neurologia. L'odore che impregna l'aria mi fa come sempre storcere il naso. Sa di disinfettante e di malattia, e nonostante sia un medico non ha mai smesso di nausearmi. Eren non ha mai smesso di torturarsi le mani durante tutto il tragitto, così decido di interrompere quel tedioso silenzio e cercare si iniziare una conversazione

"Sei teso, moccioso?"

La mia domanda pare riscuoterlo, e smette immediatamente di giocherellare con le sue dita affondando le mani nelle maniche della felpa e stringendone i bordi.

"Un po'."

"È per l'elettroencefalogramma o per altro? Bella felpa, comunque."

"Oh? G-Grazie...No, è per altro."

Annuisco piano, aspettandomi quella risposta.

"Se ne vuoi parlare sono qui."

Non voglio in alcun modo forzarlo a confidarmi quali pensieri annebbiano la sua mente, ma allo stesso tempo voglio che sappia e che sia ben consapevole che sarò disposto ad ascoltarlo quando vorrà e se mai dovesse sentire il bisogno di parlare con qualcuno. Mi ringrazia sottovoce, e torniamo a camminare in silenzio fra quei corridoi brulicanti di infermieri e camici bianchi fino a che non interrompo la nostra marcia davanti ad una delle tante porte in plastica bianca evidentemente ingrigita dal tempo degli ambulatori del reparto di neurologia. Una piccola targhetta dorata su cui sono finemente incise lettere in un corsivo elegante è ben visibile al centro.

Dott. Mike Zacharias - Specialista in Neurologia

Apro la porta dopo aver battuto due colpi con le nocche senza curarmi di aspettare una risposta dall'interno della stanza e lo invito ad entrare prima di me, richiudendola subito dopo con un tonfo sordo che risuona cupo nella stanza.

"Ooh, Levi! Non mi aspettavo di vederti qui, che sorpresa! Come va?"

Il biondo si alza dalla sedia togliendosi gli occhiali e riponendo ordinatamente dei fogli che teneva in mano sulla scrivania in vetro prima di dirigersi verso di me, dandomi una sonora pacca sulla spalla. Il suo studio è sempre impeccabilmente ordinato e pulito, cosa che mi ha sempre messo estremamente a mio agio. Il mio lato ossessivo-compulsino esulta alla vista dei pesanti tomi di medicina riposti per scala di colore sugli scaffali e del pavimento talmente lucido da potercisi specchiare.

"Tutto bene, grazie Mike. Lui è Eren, il paziente che Erwin ti ha affibbiato oggi."

Il dottore allunga la mano verso il castano con un sorriso stampato sul volto, che la stringe incerto mormorando timidamente qualcosa sottovoce che non riesco a cogliere.

"Vieni Eren, iniziamo pure. Levi, mettiti comodo, ti restituisco il ragazzo fra una mezz'ora."

Annuisco nella direzione di Mike prendendo posto su una delle comode poltroncine in pelle nera trapuntata all'interno della stanza, mentre il dottore prepara Eren per l'esame facendogli indossare la classica cuffia piena di elettrodi e fili e inondando i suoi capelli di gel. Tiro fuori il telefono, ignorando le numerose notifiche della quattr'occhi, non volendo minimamente sapere sotto quali video stupidi e decisamente demenziali mi ha taggato questa volta. Qualcuno mi ricordi per quale malato motivo le ho accettato l'amicizia sui social.

Approfitto del tempo morto per mettermi a studiare, accontentandomi del libro in digitale che tengo sul cellulare. I miei ritmi sono talmente serrati che mi ritrovo a dedicare tempo allo studio ogni qualvolta ho un attimo di tregua. È stressante, ma è assolutamente necessario per mantenere il ritmo sulla tabella di marcia.

Mi immergo in quella lezione di psichiatria sulle psicosi, bevendo avidamente di quelle parole che so già rimarranno bene impresse nella mia mente. Fortunatamente, per quanto riguarda lo studio ho davvero una memoria di ferro e riesco ad ottenere il massimo con il minimo sforzo. Isabel mi odia per questo.

Perso nel mio mondo, mi riscuoto soltanto quando sento una mano scuotermi appena la spalla, timorosa. Alzo lo sguardo per incontrare le gemme verdi di Eren che mi guardano dall'alto. Ritrae improvvisamente la mano non appena i nostri sguardi si incrociano, come scottato da quel contatto. Rivolge le sue iridi smeraldine altrove, continuando a togliere il gel dai capelli con l'aiuto di un pezzo di scottex.

"Noi abbiamo finito, puoi dire ad Erwin che gli farò avere i risultati via mail fra un paio di giorni."

"Grazie, Mike. Togliamo il disturbo allora, buon lavoro."

Mi dirigo verso la porta con Eren che mi segue a pochi passi di distanza e saluta mormorando timidamente un "arrivederci" al medico. Iniziamo a dirigerci verso il reparto facendo lo slalom fra gli infermieri che pullulano nei corridoi, e mentre camminiamo non posso fare a meno di notare quanto effettivamente il moccioso sia più alto di me di una buona quindicina di centimetri abbondanti nonostante sia più giovane di me di più di qualche anno.

Fanculo, è un fottuto gigante.

Non siamo nemmeno a metà strada quando sento il suo stomaco gorgogliare dalla fame, producendo un rumore sordo. Si porta immediatamente una mano sulla pancia, quasi come se fosse in imbarazzo e si prende il labbro inferiore fra i denti succhiandolo appena in un gesto veloce e inconsapevole.

"Moccioso, hai fatto colazione stamattina?"

"Non ne ho avuto il tempo..."

Faccio immediatamente inversione di rotta, iniziando a camminare a grandi falcate e incitandolo a seguirmi, mentre tiro fuori il telefono dalla tasca dei miei jeans e compongo il numero di Erwin.

Sembra spaesato alla mia reazione, ma dopo qualche momento di esitazione comincia a muovere i primi passi verso di me, raggiungendomi quasi subito con quelle gambe fottutamente lunghe che si ritrova.

"Levi? Va tutto bene con Eren? È successo qualcosa?"

La sua voce dall'altro capo del telefono suona preoccupata e stanca.

"È tutto ok ed è sopravvissuto all'elettroencefalogramma. Saremo di ritorno fra un paio d'ore, il moccioso non ha fatto colazione stamattina e lo porto in un bar. Ne approfitto anche per fargli prendere una boccata d'aria, visto che non gli hai ancora dato permessi per uscire da quando è stato ricoverato. Lo stai facendo diventare una specie di suora di clausura."

Il moccioso mi guarda con un cipiglio interrogativo sul volto in un'espressione che è un misto di sorpresa e di incredulità, le labbra dischiuse in muta sorpresa sembrano voler dire qualcosa, ma lo zittisco prima che riesca a parlare.

"Chiudi la bocca, moccioso. Ci entrano le mosche."

Eren si ricompone immediatamente al mio commento e sento Erwin sospirare sonoramente, probabilmente rassegnato alla mia decisione.

"Solo stai attento, ok? Non è il momento migliore per Eren dopo quello che è successo...niente mi dice che non possa gettarsi sotto una macchina in corsa all'improvviso."

Roteo gli occhi al suo commento, grato del fatto che non possa vedere la mia espressione seccata in questo momento. Non che Erwin abbia tutti i torti, ma secondo me sta soltanto esagerando la questione. Si vede lontano un miglio che il moccioso ha davvero bisogno di fare qualcosa di diverso che non sia stare chiuso in stanza a rimuginare su ricordi di un passato ormai andato e a cullarsi in pensieri autodistruttivi.

"Non ti preoccupare, te lo riporto tutto intero."

Senza aggiungere altro, chiudo la chiamata e rivolgo il mio sguardo verso il moccioso che mi fissa con quelle sue iridi, più verdi dei prati d'estate, grandi di sorpresa.

"Beh? Non dirmi che non avevi voglia di un'ora d'aria ed una bella fetta di torta. Sicuramente non ne potrai più di quella robaccia che lì dentro si ostinano a chiamare cibo."

________

Lo osservo trattenendo a stento un sorriso sghembo mentre si avventa famelico sulla fetta di Sacher e beve avidamente il suo cappuccino maxi. Da come mangia, sicuramente non soffre di disturbi alimentari. Tiro mentalmente un sospiro di sollievo al pensiero.

Quando alza il braccio per portarsi la piccola forchetta alla bocca le maniche della sua felpa si abbassano di poco, lasciando scoperto un lembo di pelle del polso segnato da profonde ferite rosse e aperte dai bordi irregolari ed altre evidentemente meno recenti dal colore più tenue e sbiadito. Decine di familiari cicatrici regolari e sottili solcano e marcano la sua pelle imprimendo per sempre nel suo corpo la disperazione e la sofferenza che lo hanno portato a compiere gesti così crudeli contro sé stesso.

Mi porto la tazza di the nero fumante alle labbra sospirando, indeciso se azzardare ad iniziare una discussione sull'argomento quando la sua voce mi riscuote.

"Perché tieni la tazza in quel modo? Non è scomodo?"

"Non c'è un motivo, ho sempre tenuto le tazze così. Per me è scomodo come la tieni tu."

Il suo sguardo interrogativo passa dai miei occhi alla mia tazza, poi torna a mangiare gli ultimi pezzi di torta assaporandoli con un'espressione di puro godimento dipinta sul volto, sporcandosi le labbra e il mento di ganache al cioccolato.

"Tch, sei proprio un moccioso. Mangia in modo decente, sei tutto sporco."

Si porta immediatamente un fazzoletto a strofinare la bocca e mi rivolge uno sguardo che non riesco a decifrare.

"Perché mi chiami moccioso? Non sono un moccioso."

Gonfia le guance in modo infantile ed incrocia le braccia. Sembra aver recuperato del buon umore, anche se quel velo di tristezza e malessere non abbandona le sue pozze smeraldine e indugia severo e incorruttibile su di esse. Spero davvero che questo momento di calma duri il più a lungo possibile, se lo merita davvero.

"Si che lo sei."

"No invece!"

Ribatte, indispettito. A questo punto decido di stare al suo gioco.

"Quanti anni hai?"

"Diciassette"

"Appunto, sei un moccioso."

Constato, con voce piatta e atona, cosa che sembra infastidirlo ancora di più. Cerco di sopprimere il sorriso che sento formarsi piano sulle mie labbra, piegandone gli angoli all'insù.

"E tu quanti anni hai?

"Ventiquattro." La mia risposta non tarda ad arrivare

"Non sei tanto più grande di me!"

"Lo sono quanto basta per non essere considerato un moccioso."

Ribatto, poggiando la tazza ormai vuota sul piattino e godendomi l'espressione imbronciata del castano, questa volta facendomi sfuggire un ghigno soddisfatto.

"Finisci pure il tuo cappuccino, vado a pagare. E se ti muovi di qui, sei un moccioso morto."

Con la stessa espressione imbronciata e le guance gonfie annuisce, mentre si porta la tazza alle labbra prendendone generose sorsate. Lo tengo d'occhio per tutto il tempo, fino a quando non torno al nostro tavolo e indosso il pesante cappotto nero. Anche Eren si alza ed indossa il suo parka verde militare, e fa per dirigersi verso la cassa.

"Che fai?"

Mi rivolge uno sguardo interrogativo, come se non si aspettasse una domanda del genere.

"Vado a pagare le mie cose."

"Ho già pagato io. Andiamo."

Mi dirigo verso la porta del locale e mi raggiunge, iniziando a camminare al mio fianco a passo lento e cadenzato, facendo rotta verso l'ospedale. La temperatura fredda di dicembre si insinua sotto il tessuto pesante del cappotto e mi fa rabbrividire, mentre i nostri respiri producono evanescenti nuvolette di condensa nell'aria. Ma a me non dispiace, ho sempre amato il freddo e la sensazione pungente che lascia sulla mia pelle quando la carezza.

"Allora quanto ti devo?"

"Nulla, ti ho già detto che ho pagato io."

Tenta di protestare, ma insisto sul fatto che non mi deve assolutamente dei soldi.

"Allora la prossima volta offro io."

Arrossisce immediatamente dopo averlo detto, forse rendendosi conto del fatto di aver implicato che avremmo fatto di nuovo colazione insieme. Non che l'idea mi dispiaccia, mi piace la sua compagnia e c'è qualcosa di terribilmente e profondamente nostalgico in lui. E inizio a realizzare che non so se la cosa mi faccia piacere o mi terrorizzi a morte.

Tiro fuori dalla tasca dei jeans il pacchetto di Marlboro Light e il mio accendino, interrompendo all'improvviso il flusso dei miei pensieri e poggiando delicatamente il filtro della sigaretta fra le mie labbra.

"Fumi?"

Chiedo al moccioso, che annuisce in risposta. Gli passo il pacchetto di sigarette, da cui ne prende timidamente una tenendola fra indice e medio, ringraziando mentre se la porta alle labbra imitando il mio gesto. Gli cedo anche l'accendino.

"Figurati. Scommetto che Erwin non vi lascia nemmeno fumare in reparto."

Si lascia andare ad una piccola risatina, buttando fuori il fumo. Il modo in cui lascia le sue labbra rosee e leggermente screpolate a causa dell'aria gelida è quasi ipnotico.

"Diciamo che è molto severo a riguardo, ma che ci lascia fumare a volte dalla finestra della sala comune anche se è comunque meglio non farsi beccare. E le sigarette le tengono per noi gli infermieri, dobbiamo chiedere a loro se vogliamo fumare."

"Darei di matto al posto vostro."

Confesso, lasciando andare il fumo a mia volta, beandomi della familiare e piacevole sensazione di bruciore che la nicotina lascia nei miei polmoni e nella mia gola.

"Non fumo molto in realtà, quindi non mi pesa troppo."

Ribatte, con una scrollata di spalle e prendendo un altro tiro dalla sigaretta. I suoi occhi sono fissi sulla strada davanti a noi e in qualche modo sembrano più sereni, meno adombrati da quel velo di angoscia e più brillanti. Il suo incarnato sembra aver riacquistato un po' di quello che deve essere il suo colore originale e i capelli gli ricadono come sempre sulla fronte in ciocche disordinate, mossi dal vento freddo che li scompiglia ancora di più. Nonostante le occhiaie che gli marcano il viso tradiscano la sua stanchezza, sembra davvero tranquillo. Quest'ora d'aria gli ha fatto decisamente bene e ha sollevato il suo umore a terra.

"Erwin non ti ha ancora dato permessi per vedere i tuoi, eh?"

Scuote la testa, allontanandosi di poco per gettare il mozzicone di sigaretta nel cestino all'ingresso dell'ospedale. Imito la sua azione, liberando i miei polmoni dall'ultima nuvola di nicotina che si disperde nell'aria diradandosi piano. Il tragitto mi è sembrato stranamente breve con le sue chiacchiere a tenermi compagnia e a velocizzare lo scorrere inesorabile del tempo.

"Forse per la prossima settimana, ha detto...Pensa che per me sia meglio stare in reparto e non uscire per ora, viste le circostanze..."

"Beh, pensa male." Lo interrompo, secco. Il suo sguardo curioso incontra il mio, e per un attimo verde e grigio sembrano fondersi in un'armonia unica di colori. "Direi proprio che ti ha fatto bene uscire un po', no?"

Annuisce energicamente alla mia domanda, e mi rivolge un sorriso vero che arriva ai suoi occhi e li illumina di una luce meravigliosa che mi lascia senza fiato, facendoli brillare in tutte le loro preziose sfumature di smeraldo, oro e blu.

"Grazie, Levi."

"Non c'è di che moccioso. Quando vorrai un'ora d'aria, basta chiedere. Ci parlo io con Capitan America."

Gli faccio cenno di seguirmi e alle mie orecchie giunge il suono della sua ristata sommessa. Ci dirigiamo in reparto in silenzio, ma non è uno di quei silenzi sgradevoli e opprimenti e carichi di tensione. È un silenzio dal sapore dolce di pace e tranquillità. Non appena veniamo circondati da quelle mura arcobaleno vengo raggiunto da Pieck, un'altra delle specializzande di Erwin. Non ho un vero e proprio rapporto con lei, dato che non abbiamo mai fatto discorsi che andassero oltre a semplici frasi di circostanza o che non riguardassero l'università. È una persona estremamente calma, silenziosa e riservata e apprezzo molto questo lato del suo carattere. I lunghi capelli castani le ricadono morbidi e lisci fino a metà schiena e i suoi occhi scuri e profondi infondono serenità.

Si presenta al moccioso al mio fianco da cui ottiene una stretta di mano, prima di rivolgersi a me.

"Erwin mi ha detto che puoi già andare, sono qui per darti il cambio. Non rimane molto da fare oggi se non addobbare il reparto con le decorazioni natalizie, ma a questo posso pensare io con l'aiuto dei ragazzi."

A quel commento Eren accanto a me sembra irrigidirsi e abbassa lo sguardo, colmo di qualcosa a cui non riesco a dare un nome. Prima che possa chiedergli cosa c'è che non va Mikasa si para davanti a noi tenendo fra le braccia due scatoloni colmi di decorazioni natalizie di tutti i tipi.

"Eren! Ti va di aiutarci? Io e gli altri stiamo per iniziare a decorare."

Alza gli occhi sulla corvina alla sua domanda, guardando esitante nella mia direzione prima di affondare la mano in uno degli scatoloni e rigirarsi fra le mani una ghirlanda natalizia ornata da un grosso fiocco rosso, un solco profondo si fa largo fra le sue sopracciglia folte.

"Va bene. Allora ci vediamo, Levi..."

Quelle iridi dalle mille sfumature di verde si piantano nelle mie, e alla vista di quell'espressione indecifrabile qualcosa dentro di me scatta. Anziché fare rotta verso la porta principale, mi avvicino anche io ad uno degli scatoloni estraendone una grossa pallina rossa e lucida.

"Allora, dove lo montiamo l'albero?"

E a quella mia frase potrei giurare di aver visto per la seconda volta in questa giornata una scintilla divampare chiaramente in quelle iridi di smeraldo.

_______________________________________

SPAZIO AUTRICE

I nostri amati ragazzi hanno passato una bella mattinata insieme! Levi è riuscito a strappare un sorriso ad Eren, e spero di esserci riuscita anche io con questo capitolo. ❤️

Eren sembra più tranquillo, ma questa serenità durerà ancora per molto?

A domenica prossima! ✨

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