It cannot be all there | Buck...

By yozoranotenshi

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Dal capitolo 1: «Voglio che tu ti unisca agli Avengers, in caso di necessità, questo mondo ha bisogno di dife... More

Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Parte 2: Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46

Capitolo 8

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By yozoranotenshi

Iris si sentiva stanca come poche volte in vita sua e la testa le faceva un male tremendo. Cosa era successo? Non riusciva a metterlo a fuoco e dovette ragionarci su per un po', per poi ricordarsi la sensazione della braccia del soldato che la afferravano e dopo solo il buio. Fece un sorriso fiero, sebbene non avesse ancora aperto gli occhi: ce l'aveva fatta ancora una volta e non le importava del dolore e del fatto che fosse svenuta tra le sue braccia, perché lei aveva vinto e tutto quello valeva la vittoria.

«Sei sveglia?» Si sentì chiedere.

Annuì col capo, cercando di girarsi verso destra, dove aveva sentito provenire la voce, poi aprì pian piano gli occhi cercando di mettere a fuoco sia lui che il posto in cui si trovava: era in camera sua e il soldato era seduto su una sedia vicino al suo letto, con i gomiti sulle ginocchia e la testa appoggiata alle mani.

«Riesci a parlare?» continuò lui.

«Si...» rispose la corvina con una voce così flebile che pensava che lui nemmeno fosse riuscito a sentirla, ma per fortuna si sbagliava. La gola le bruciava tanto, così tentò di alzarsi per andare a prendere un po' d'acqua, facendo leva sulle braccia, ma non riuscì a fare poi molto.

«Aspetta. Ti do una mano io.» si offrì il moro.

«No...» si oppose lei, guardandolo dritto negli occhi. Non avrebbe accettato l'aiuto di qualcuno per mettersi seduta su un letto, non lei che era così potente. Eppure si sentiva così debole in quel momento che un aiuto sarebbe stato gradito, ma il suo orgoglio proprio non lo accettava. «Ce la faccio da sola.»

«No, non è vero. Tu mi hai aiutato, ed è per questo che stai così adesso, quindi fatti aiutare.» non spostò lo sguardo nemmeno per un secondo e quegli occhi così profondi le fecero ricordare l'uomo seduto su quella sedia ed il suo sguardo così diverso. Abbassò lo sguardo ed annuì impercettibilmente col capo. Magari, lui avrebbe potuto aiutarla. Solo un pochino.

Il moro l'aiutò a mettersi seduta e le appoggiò un altro cuscino dietro la schiena, in modo tale che non dovesse affaticarsi troppo.

«Mi prenderesti un po' d'acqua?» gli chiese e lui annuì, sparendo dietro la porta e tornando poco dopo con un bicchiere. Lo prese e bevve, di certo non era disperata al punto tale da doversi far aiutare anche per bere un po' d'acqua.

«Sapevi che sarebbe successo questo?» chiese lui, dopo un po' di silenzio. Evidentemente non era sicuro di voler fare quella domanda, forse temendo una reazione negativa dalla parte di lei.

«Avevo ipotizzato cose peggiori di questa. Sto meglio di quanto non stessi nella tua testa. Non ho mai sentito un dolore così straziante.»

«Forse non hai mai permesso a nessuno di ferirti così tanto. Cosa hai visto?»

«Non credo che vorresti sapere quello che ho visto. Ma ho sentito un sacco. Hai sopportato davvero tanto, Soldato, ma il tuo sguardo è diverso da quello che avevi un tempo.» lui sembrò bloccarsi un attimo, colpito da quelle parole.

«Vado a prepararti qualcosa da mangiare, riposati nel frattempo.»

Bucky svincolò agilmente il discorso. Non era pronto a parlarne, non era pronto ad affrontarlo ad alta voce, a guardare con gli occhi di un altro tutto quello che aveva subito. Non ci era riuscito pienamente neanche con Steve, eppure lui era suo amico da prima della Seconda Guerra Mondiale e lo aveva aiutato nonostante tutte le volte in cui aveva provato ad ucciderlo e in cui lo aveva ferito con le parole. Si rendeva conto che il suo silenzio fosse straziante per le persone che gli volevano bene, ma non era ancora in grado di abbandonarlo, e non credeva che Iris fosse tra le persone che gli volevano bene, anche se lo aveva aiutato. E lo aveva capito senza il bisogno che lui le spiegasse nulla. Il silenzio è tutto ciò che resta quando hai l'anima a pezzi, se hai la forza di parlarne vuol dire che o si sta ricomponendo o hai solo crepe.

Eppure aveva permesso ad Iris di entrare nella sua testa e di provare tutto il dolore che aveva provato lui e si era sentito per un attimo così leggero che pensò di essere tornato lo stesso di un tempo, ma quando l'aveva vista cadere col sangue che le usciva dal naso aveva capito che lui era cambiato per sempre e che per quanto le persone avessero cercato di aiutarlo, lui le avrebbe comunque fatte soffrire, anche controvoglia.

Perché, difficile da credersi, si stava affezionando a quella ragazza proprio perché la paragonava a se stesso.

Alla fine di questo vortice di pensieri, anche il piatto di pasta al pomodoro che stava cucinando era pronto, così tornò in camera della ragazza, e la trovò seduta con i piedi che penzolavano fuori dal letto e Rock al suo fianco, che la annusava preoccupato. Sembrava rinvigorita e quasi non sembrava possibile in così poco tempo.

«Ti senti meglio, adesso?»

«Si, abbastanza. Sono solo un po' indolenzita.»

«Sembra surreale, come hai fatto?»

«Mi sono beccata una freccia nella mano e dopo due secondi ero già a posto, una bella razione di sonniferi per Hulk mi ha fatto dormire per sole due ore e tu ti sorprendi per questo? Ho un processo di guarigione molto accelerato, la condizione è che non ci sia niente di esterno al mio corpo quando il processo inizia.»

«Capisco, ti lascio mangiare in pace, chiamami quando hai finito.» Si limitò a rispondere, in effetti la sua era una domanda un po' stupida. E uscì dalla stanza.

La ragazza mangiò il suo pasto avidamente, in fondo era ora di pranzo.

Pensò al moro, a quello che le stava facendo fare. Qualcosa di lui la attirava terribilmente, le faceva dimenticare la sua condizione e le faceva desiderare di essere migliore. Quell'uomo era affascinante in ogni suo aspetto ed avrebbe voluto imparare a comprenderlo, perché le ricordava molto se stessa, in un certo senso. Magari avrebbe potuto capire cosa voleva davvero, perché nonostante tutto ciò che aveva, le mancava proprio ciò che non era riuscita ad ottenere: l'affetto di qualcuno.

Gli era stato strappato così tanti anni prima da suo padre, che quasi non si ricordava cosa significasse provare affetto. Poi era arrivato suo fratello, e le aveva permesso di fuggire via e di rifarsi una vita, ma il tempo aveva portato via anche lui. E probabilmente sarebbe successo anche con Bucky, terminata quella settimana. Non lo aveva mai chiamato col suo nome, ora che ci pensava. Forse era troppo intimo, anche se lui gli aveva espressamente chiesto di farlo. Magari lo avrebbe assecondato, quando si sarebbe sentita abbastanza vicina a lui.

Quando ebbe quasi finito il suo telefono squillò: era Trevor.

«Iris, sono io. Ho un lavoro per stasera, ci sei?»

Non aveva voglia di uscire, ma non poteva di certo perdersi i lavori che Trevor le proponeva, erano troppo fruttuosi.

«Certo, dimmi tutto.»

«Devi andare alla base sud dell'Hydra. Vogliono armi.»

«Non possiamo rimandare? Non credo che al mio ospite faccia piacere questa visita di cortesia.»

«Sai come sono quelli, portalo al locale e lo terrò con me o lascialo a casa se ti fidi abbastanza.»

«Mi fido abbastanza, poi comunque non potresti fare nulla.» affermò convinta la corvina.

[...]

«Stasera resta pure qui, Soldato. Ho una cosa importante tra le mani.» spiegò Iris sperando che il soldato non facesse domande. Infatti non ne fece.

«Stai mentendo.» affermò.

«Cosa te lo fa credere?» ribatté lei.

«Se dovessi fare una cosa importante mi porteresti con te, sbaglio o sono il tuo ultimo gioiellino per incutere terrore a chiunque?» rispose lui, con una punta d'irritazione nella voce.

«Dove vuoi arrivare?»

«Devi fare qualcosa che non mi piace, ovviamente. Non sono uno stupido. Cosa vuoi fare?»

«Non sono tenuta a dirtelo!» si mise sulla difensiva lei.

«No, è vero. Ma io non posso impedirti di fare quello che vuoi, vorrei solo capire cosa devi fare di così importante.»

«Non dovrebbe interessarti ciò che faccio.»

«Mi interessa abbastanza. Allora?»

«Ho un affare con l'Hydra. Devo andare in una delle loro basi, non mi sembra il caso che tu venga con me.» il soldato a quelle parole si alzò di scatto, afferrando Iris per le spalle e inchiodandola vicino al muro.

«Stai parlando seriamente? L'Hydra? Hai solo la minima idea di quello che combinano quelli là?!» sbottò alterato.

«Lasciami, Soldato. So perfettamente cosa fanno, ma non è un mio problema. Io vendo armi, non mi occupo del loro utilizzo.» ribatté lei con un tono glaciale.

«Non puoi essere così impassibile davanti a tutto quello che fa quella gente! Non li puoi aiutare davvero! Credevo che un minimo di buonsenso lo avessi, cazzo!»

«Vendo armi e droga, non mi importa chi sia il cliente. Gli affari sono affari.»

«Sono loro.» disse il moro con tono rassegnato. Se lei avesse venduto delle armi a loro, che almeno si rendesse conto di quello che facevano. Perché, evidentemente, non se ne rendeva minimamente conto.

«Che significa?» chiese lei confusa.

«Tutto il male che hai sentito, non sono le battaglie, sono loro che me lo hanno fatto, per rendermi il Soldato D'Inverno. Lo sapevi già, no?» spiegò più chiaramente. «Dovrei credere che hai contribuito anche tu a quel dolore? Che, in un certo senso, lo hai supportato?»

«No. Assolutamente no. Io odio quello che ti hanno fatto, Soldato.»

Iris gli prese il braccio, quello destro, fatto di carne, vivo, e lo abbassò pian piano. Guardando il moro dritto negli occhi.

«Mi sono fidato di te. E invece tu aiutavi e aiuti quelli che mi hanno reso un mostro.»

«Ti ho aiutato ad uscirne definitivamente mettendomi anche a rischio, loro lo avrebbero fatto?» si avvicinò un po' di più a lui.

«Vorresti dire di essere diversa da loro?»

«Io lo sono, sono diversa da loro.» mise una mano sul suo petto, fissandolo dritto negli occhi. Lui la strinse, senza farle male.

«Allora dimostramelo.» la sfidò. Doveva avere una conferma, aveva già visto che sapeva ingannare le persone fin troppo bene.

«Non l'ho forse già dimostrato? Cosa altro dovrei fare?»

«Chiudi i contatti con loro. Non procurargli attrezzature significa indebolire loro e di conseguenza favorire la lotta contro la criminalità.»

«Anch'io faccio parte della criminalità, Soldato.»

«Ma l'hai detto anche tu, che sei diversa da loro. Lo sei davvero?»

«Lo sono davvero. Andiamo, abbiamo un cliente scomodo da eliminare.» interruppe il loro contatto, ed una strana sensazione di vuoto allo stomaco la fece fermare per un istante. Cos'era?

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