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Dottor Who è immaginazione al potere

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Dottor Who è immaginazione al potere
di SimoneFar

Si chiama sospensione dell'incredulità.
È una delle caratteristiche più trascurate dell'arte del narrare moderno, è quel silente patto tra narratore e spettatore per cui il primo può fare qualunque cosa, qualunque cosa, e il secondo è pronto a credergli, per il bene del racconto.

In un'epoca come la nostra, in cui la saccenza è il modo migliore per guadagnare like e l'internet ti permette di considerarti il super-esperto di qualsiasi materia dello scibile, sembra quasi una bestemmia permettere che un narratore la passi liscia e metta in scena qualcosa di poco plausibile. Per cosa poi? Per il bene della storia? E perché il pubblico dovrebbe avere responsabilità della storia? La storia deve riuscire a vincere nonostante il pubblico, perché il pubblico ha il sacrosanto diritto di sfidarla a essere perfetta. E se non lo è, che crolli. Poco importa quello che avrebbe potuto dare, poco importa il sogno che voleva rappresentare, se la storia non riesce ad arrivare in fondo sulle sue maledette gambe nessuno le darà una mano, nessuno le verrà incontro. Perché, noi, pubblico, dobbiamo affermare ogni giorno, in ogni momento, che siamo migliori di lei.

Ma facciamo un passo indietro e torniamo agli anni 60.

Il dopoguerra è ormai alle spalle, le ferite del conflitto mondiale si stanno rimarginando. Vero, la contrapposizione tra occidente e blocco sovietico getta la sua ombra su tutto, ma, nel contempo, la tecnologia galoppa e l'immaginazione della razza umana sta letteralmente esplodendo. Ci sono scoperte scientifiche quotidiane, la tecnologia militare, tristemente, continua a spingere tutti i settori della ricerca e il fall-out (no, non radioattivo) delle sue scoperte arriva nelle case delle persone. I signori del mondo, dai loro pulpiti, raccontano di conquista spaziale.
La fantascienza ruggisce in quegli anni. E ha così tante idee che non bastano i modi per raccontarle. Libri, immagini, quadri, disegni, cinema, invasioni della pop-art e, naturalmente, la lanterna magica che proprio in quegli anni si avvia all'egemonia sulla società moderna: la televisione.

Gli autori vogliono raccontare storie di fantascienza in televisione. Gli spettatori vogliono vedere storie di fantascienza in televisione. Ma gli autori non possono mostrare storie di fantascienza in televisione, non esiste la tecnologia per tenere in aria un'astronave grossa come un palazzo, non è possibile che un uomo abbia sei braccia e le muova contemporaneamente. La televisione non può mostrare ciò che esisterà solo nel futuro, ma la fantascienza è fatta di futuro. La fantascienza è qualcosa che non si può riprendere. Si potesse, non sarebbe più fantascienza.

A meno che non si arrivi a un accordo. Un accordo tra voi, lì, seduti sui vostri divani, che vi aspettate chissà cosa da quella scatola luminosa e noi, che siamo qui, con la testa che ci scoppia di storie che però appassiscono appena le appoggiamo su del legno, su del metallo o su della stupida gommapiuma. Un accordo semplice, per essere felici tutti: sospensione dell'incredulità.

Un magazzino abbandonato, della nebbia londinese e una scatola blu. Questo la televisione può mostrarlo. Ma la scatola blu è un'astronave, anzi no, è un TARDIS, una macchina che si può muovere dove vuole, nel tempo e nello spazio. Ma è solo una scatola! È piccolissima? È piccolissima, forse, ma it's bigger in the inside. Se riesci a farti aprire la porta, all'interno c'è un intero mondo fantascientifico e soprattutto lui, il dottore (dottore chi?) che è un anziano signore con cappello e sciarpa. Ma è solo un signore con cappello e sciarpa! No. È un alieno, ha centinaia d'anni, è stato scacciato dal suo pianeta e nonostante appaia stralunato e un po' fuori dal mondo comanda poteri incredibili.

Dottor Who è immaginazione al potere. Tutto quello che può essere scritto nella sceneggiatura di un episodio può essere realizzato perché, puntata dopo puntata, la serie riesce a instaurare questo patto di ferro col suo pubblico: vi porterò in luoghi incredibili, basta che lo crediate. Ponendo le basi di una delle più importanti scuole di fantascienza televisiva mondiali (assieme, ovviamente, a quella americana) la serie del Dottore dimostrerà, dal '63 in poi, come la magia del cinema sia gioco di prestigio: abilità del mago e compiacenza di un pubblico sedotto. In questo modo racconterà davvero la grande avventura del futuro, vivendo per un periodo lunghissimo, arrivando, quasi continuativamente, fino al 1989, anno in cui andò in onda la sua 26esima e ultima stagione.

Dottor Who ha potuto fare tutto quello che ha fatto solo perché il pubblico degli anni 60 era più facile da abbindolare con luci e colori e si lasciava ipnotizzare dal buffo effetto di un faro rifratto in un vetro deformato? Era più buono il pubblico degli anni 60? O esiste davvero il potere della sospensione dell'incredulità? Quasi fosse qualcosa di palpabile, quasi come se fosse una quarta, una quinta, una sesta o più precisamente una settima dimensione capace di mostrare le cose diverse da quelle che sono?

Sempre in quel lontano 1963, nel quinto episodio di quella prima serie, Terry Nation (uno scrittore che ricorrerà molto in quegli anni, quando si tratterà di momenti storici) introdusse l'arcinemico del dottore: i Dalek. Anche in questo caso dovette attenersi alle possibilità dell'epoca e alla potente sospensione dell'incredulità. Creò i Dalek, quindi, come delle specie di torrette semoventi (con dei buffi problemi con le scale) armate di un bizzarro fucile e di uno... sturalavandini (difficile definirlo altrimenti). È veramente difficile, vedendoli di sfuggita, considerarli la più terribile razza dell'universo. In loro aiuto veniva solo la voce metallica e graffiata, dall'inquietante cadenza meccanica, nonché una commistione di spietatezza, sadismo e humor nero com'era difficile trovare altrove. Questo bastò. Questo bastò perché nell'aura data dalla sospensione dell'incredulità questo era ciò che contava. I Dalek erano un temibile impero che aveva in spregio la vita di tutte le creature che non erano Dalek. Erano macchine di sterminio. Così le videro gli spettatori del 1963. Nessuno notò lo sturalavandini.

Saltiamo avanti al 2005. Per una serie di favorevoli congiunture, la BBC teletrasporta Russell T. Davies in Galles e gli dice di ridare vita alla serie fermatasi nel 1989. No, non di farne un reboot. I reboot sono buoni per gli incapaci. Doveva girare una ventisettesima serie. Usando un nono (poi con i numeri ci aggiustiamo dopo) dottore. Riproponendo l'universo che per così tanto tempo aveva riempito i palinsesti televisivi britannici.
Russell T. Davies accetta, il suo nono dottore ha la faccia insospettabilmente giovane di Christopher Eccleston e un accento del nord (un mucchio di pianeti hanno un nord), la sua companion è la fidanzatina dei sobborghi Billie Piper. Il sesto episodio si intitola semplicemente «Dalek».

Russell T. Davies, forse temendo di essere bruciato su un rogo dargli ortodossi della BBC, non li ha cambiati di una virgola: stesso goffo corpaccione, comodo per nasconderci un attore. Stessi fanali sopra la testa che si illuminano quando l'essere parla. Stesso occhio telescopico. E lo sturalavandini.
Sul serio, vi assicuro, abbiamo questo ragazzotto dal sorriso luciferino che affronta un gabbiotto di compensato armato di sturalavandini.

Non mi piace fare classifiche, ma probabilmente è uno dei momenti di maggior tensione drammatica di tutto il 2005, televisivamente parlando.

La sospensione dell'incredulità funziona ancora, basta crederci tutti. Basta scrivere una storia che possieda il respiro della grande avventura, basta infondere nei personaggi del cuore, basta avere dei dialoghi che grondino coraggio. Ok, mettiamoci anche un Eccleston pronto a dare una ciclopica prestazione. E allora ecco che un mostro prodotto negli anni 60 per una sbiadita pellicola in bianco e nero e che non poteva che far intuire, anche in modo un po' goffo, la potenza di una razza aliena spietata, riesce a risorgere nella resa digitale hi-tech del 2005, più di 40 anni dopo, trascinandosi dietro tutta la carica drammatica, tutta la potenza narrativa propria di quegli anni lontana.

Trascinandosi dietro, ancora intatta, la promessa sottoscritta in un tempo tanto lontano: ti porterò il luoghi meravigliosi, se avrai la forza di credere di me.

E voi fan storici di Dottor Who, cosa ne pensate dell'evoluzione della serie?
Se, invece, vi siete avvicinati di recente alla saga, pensate di potervi gustare allo stesso modo le serie più datate?

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