Psychotic [h.s.] (Italian tra...

Oleh TheCousinsGang

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"L'amavo non per il suo modo di ballare con i miei angeli, ma per come il suono del suo nome poteva mettere a... Lebih Banyak

Psychotic (Italian translation)
SONG - LIST
Capitolo 1
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Epilogo
Ringraziamenti
AVVISO
THE COUSINS' GANG POV

Capitolo 2

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Oleh TheCousinsGang

Era passata una settimana. Una settimana da quando Harry era arrivato in istituto. Non aveva fatto nulla di tutto ciò che avevo previsto. Aveva rispettato tutte le regole e fatto tutto ciò che avrebbe dovuto fare, senza causare tanti problemi. Molte persone avrebbero avuto un crollo mentale nella loro prima settimana, ma sapevo già che Harry non fosse come le altre persone.

Era molto diverso. Rispettava sempre le regole. Ciò sarebbe dovuto essere confortante, ma mi spaventava a morte. Ero abituata a pazienti che impazzivano, imprecavano, urlavano, ti attaccavano. Sapevo cosa fare e come reagire in quelle situazioni. Ma Harry sembrava essere troppo ubbidiente, seguendo e facendo tutto ciò che gli si chiedesse di fare. Le persone pazze non lo facevano. Loro si sarebbero irritate sapendo di finire imprigionate qui dentro e si sarebbero spaventate. Il comportamento di Harry dimostrava che non fosse spaventato o preoccupato di rimanere chiuso qui dentro per sempre. In lui c'era qualcosa. E questo mi terrificava.

Stavo pensando a tutto ciò mentre ero seduta nell'ufficio di infermeria. Sentii la porta scricchiolare, rivelando Lori, che aveva la posizione di "Capo infermiera", nonostante fosse l'unica vera infermiera a lavorare qui. Aveva lunghi capelli grigi, pelle pallida e circa sessant'anni.

"Hey, la signora Hellman, vorrebbe che tu consegnassi la colazione nella camera 419," disse lei.

Noi le chiamavano camere, ma in realtà somigliavano più a delle celle di prigione.

Annuii e mi alzai in modo riluttante, afferrando un vassoio di cibo ed iniziando a camminare verso le celle. Non riuscivo a ricordare chi ci fosse nella camera 419, ma ovviamente, lo avrei scoperto molto presto. Aprii la porta pesante della cella e vi entrai. Quello che vidi mi fece quasi cadere il cibo.

Questa era la cella di Harry.

Era seduto ai piedi del letto, gli avambracci appoggiati sulle sue cosce. Fissava il pavimento e sembrava come immerso nei suoi pensieri. Le sue maniche erano rimboccate, i suoi ricci scuri erano disordinati ed erano tirati indietro sulla testa. Lui mi sentì entrare e la sua testa scattò nella mia direzione.

"Ciao," Sorrise.

"Ciao," dissi a bassa voce. "Umm..." Non sapevo dove appoggiare il vassoio e mi sentivo imbarazzata ed intimidita, per cui rimasi lì in piedi.

"Qui," disse, alzandosi e venendo verso di me per prendere il cibo. Io feci istintivamente un passo indietro, e fu così che mi ritrovai contro il muro.

Lui ridacchiò profondamente per la mia reazione e si avvicinò ancor di più. Rimasi senza fiato per la sua vicinanza, il vassoio forniva solo dieci centimetri di spazio tra me e lui. Dovetti inclinare la testa all'indietro per vedere la sua altezza incombere su di me, i suoi occhi come pozzi di smeraldi profondi. C'era un sorriso intonacato sul suo volto mentre faceva scivolare fuori la sua lingua, trascinandola lentamente sulle sue labbra carnose per bagnarle.

"Non preoccuparti, non ti farò del male." Pronunciò le sue parole lentamente con voce profonda e roca. "Come ti chiami, amore?"

"Rose."

Si avvicinò. Un po' troppo. Rimasi colpita da come riuscisse a mantenere il suo profumo in questo posto ammuffito. Portò lentamente le sue labbra vicino al mio orecchio e riuscii sentire il suo respiro caldo scivolare sul mio collo. Rabbrividii.

"Io sono Harry," sussurrò senza fiato.

Io annuii soltanto. Il mio cuore correva a mille miglia al minuto. C'era il corpo di un assassino a pochi centimetri di distanza dal mio. Non riuscivo ad immaginare di cosa fosse capace. Ma per mia grande sorpresa, non fece nulla. Stava solo fermo lì.

"Potrei avere il mio cibo, adesso?" Domandò, con quel sorriso ancora presente sul suo viso.

Guardai in basso per realizzare che stessi ancora mantenendo il vassoio, così forte che le mie nocche erano diventate bianche.

"Ce-certo," balbettai, spingendo il vassoio contro di lui e scappando via.

Riuscii a sentire una profonda risatina provenire dalla cella, e corsi velocemente via, agitata. Ero scossa per averlo lasciato intimidirmi e per essere scappata via da lui. Ora lui pensava che io fossi debole e vulnerabile, e questo non era un atteggiamento corretto da assumere intorno ad uno spietato criminale.

Ero un po' turbata quando entrai nell'ufficio di infermeria. La seducente e minacciosa presenza di Harry era ancora presente nella mia testa. Come aveva potuto la Signora Hellman ordinarmi di andare in quella camera senza protezione, senza guardie e senza che il ragazzo fosse imprigionato con delle manette? Avrebbe potuto aggredirmi o violentarmi o scappare fuori dalla stanza in qualsiasi momento ed io sarei rimasta lì, senza alcun aiuto.

Camminai verso l'ufficio di Lori e la trovai intenta ad aiutare una paziente schizofrenica di nome Darla che aveva affogato il proprio bambino.

"Hey, stai bene? Sembra quasi che tu abbia visto un fantasma." Notò.

"No, sto bene," mentii. In quel momento non volevo stare intorno ai pazienti, avevo solo bisogno di chiarirmi le idee.

"Ho bisogno di andare al bagno," dissi, prima di uscire di corsa fuori dalla stanza.

"Okay, ma corri subito qui. Dobbiamo fare un check-up oggi," mi disse.

Gemetti. Facevamo il check-up una volta al mese dove ci accertavamo della salute fisica dei pazienti. Non di quella mentale, anche se mi interessava di più. Quella però, era compito dello psicologo.

Passai un po' di tempo in bagno ad aggiustare i miei ondulati capelli neri, e la mia divisa. Una volta finito, tornai in ufficio.

"Hey ti sei appena persa il nuovo ragazzo, Harry." Mi disse Lori una volta tornata.

"Non posso dire di esserne dispiaciuta." Risposi.

"Perché? Lui non ti piace?"

"Oltre al fatto che ha spellato tre donne? Mi spaventa a morte."

"Oh, capisco. Spaventa un po' anche me, ma a questo punto, tutti i pazienti lo fanno."

"Veramente? Sembri sempre così a tuo agio con loro."

"Sì, questo perché ci ho fatto l'abitudine. Dopo averli conosciuti meglio realizzi che non sono poi così diversi dalle persone sane di mente. Sono solo persi nelle loro stesse menti." Poi, abbassando la voce disse, "La metà di loro non dovrebbe neanche essere rinchiusa in questa prigione."

"In che senso?" Domandai. Erano tutti dei criminali. Meritavano sicuramente di essere rinchiusi qui.

"Non importa, dimentica quello che ho detto."

Avrei voluto farle altre domande, ma decisi di non andare oltre. Lavorai con Lori per qualche altra ora, passandole oggetti e prendendo annotazioni. Tutto stava procedendo per il meglio.

Dopo aver visitato metà dei pazienti, Lori si girò verso di me.

"Okay, è ora della nostra pausa pranzo." Sospirò uscendo fuori dalla stanza.

Non avevo molta fame, ma per nulla al mondo sarei rimasta seduta in quell'ufficio ancora per un'ora. Così pensai di fare una piccola esplorazione. Conoscevo quasi tutti i posti, o almeno quelli che avrei dovuto necessariamente conoscere per il mio lavoro, come la caffetteria, l'ala degli alloggi dei pazienti o il salotto dei dipendenti, ma questo era davvero tutto. E come si poteva vedere dall'esterno, questo posto era enorme. Probabilmente avevo visto solo la metà dell'edificio. Non potevo fare a meno di domandarmi cosa ci fosse negli altri corridoi.

I miei passi echeggiarono sul pavimento in cemento mentre camminavo lungo un corridoio senza sapere dove portasse. Mentre camminavo notai quanto vecchio fosse questo istituto. Era stato costruito quarant'anni fa, nel 1912, ma sembrava molto più antico.

Il corridoio aveva un aspetto abbastanza misterioso. Faceva freddo ed era buio. Nonostante la presenza di centinaia di pazienti e dello staff intorno a me, mi sentivo sola. Continuai comunque a camminare attraverso i muri di pietra e, dopo circa cinque minuti, giunsi davanti ad una grande porta. Era in metallo e sembrava l'entrata di un altro intero istituto. Udii grida soffocate provenire dall'altro lato della porta. Guardai verso l'alto e notai sopra la cornice una scritta in grigio che diceva:

Reparto C.

Una parte di me era curiosa di conoscere gli orrori che si nascondevano dietro quella porta, ma l'altra parte di me non avrebbe mai voluto scoprirli.

Così decisi di continuare a camminare e giunsi casualmente davanti ad un'altra porta. Questa entrata non era così grande, anzi, era un po' più appartata. Non c'era nessuna scritta ad indicare cosa fosse, ma volevo scoprirlo, così girai la maniglia e vi entrai.

Era tutto sottosopra. Archivi e fogli di carta erano sparpagliati sul pavimento. C'erano degli schemi attaccati sulle pareti e vasi su degli scaffali e...cosa cavolo c'era in quei vasi? Non ne avevo la più pallida idea. C'era del liquido vecchio e opaco. I miei occhi ritornarono sugli schemi. Sembravano diverse parti del corpo umano. Perlopiù del cervello e altre del cuore e dei nervi, da quello che vedevo. Su uno di essi c'era scarabocchiato qualcosa.

Test #309.

Paziente numero 20.

Lila Darson.

Che diavolo? Camminai tra i numerosi fogli cercando di esaminare altri progetti per scoprire qualcosa riguardo questa faccenda ma sentii la porta aprirsi con uno scricchiolio. Mi fermai immediatamente. Sapevo che non sarei dovuta venire qui, e probabilmente lo sapeva anche chi stava aprendo la porta.

"Cosa diavolo stai facendo qui?"

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