L'amore non mi basta

By jessyca_97

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Tutto e cambiato. Una nuova ma vecchia vita, nuova ma vecchia città, nuovo ma vecchio lavoro, nuove ma vecchi... More

Prologo
Because I love you
Jealousy
Primo appuntamento
Normalità
Innaugurazione
Papà
Memories
Home Sweet Home
Addio al nubilato parte 1
Addio al nubilato parte 2
Bacio velenoso
Pensavi di essere felice?
ATTENZIONE!
Vedere è difficile ma ascoltare lo è molto di piú
Le parole sono solo buone scuse o almeno dovrebbero esserlo
E fu la vigilia di Natale
In un'altra vita, forse
All'alba di un nuovo giorno
In questa o in un'altra vita
Sulle montagne russe
Negativo o positivo?
Passi
Mi fai sciogliere
Due
Amore leale
Drammi di famiglia
Strong emotions
Annuncio
X o Y?
Ispira. Espira
Breath
Giochiamo?
Aaliyah e Mikhail
Evans
Welcome home
Chi ha bisogno di un dottore?
If You Believe

I fattori di un problema

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By jessyca_97

Sono arrestata in un momento e non riesco andare avanti.
Vedo le persone attorno a me riuscirci e  vivere le proprie vite ma io sono rimasta la stupida ragazza incinta, la madre, la vedova, la vedova però quelle in fondo sono solo parole. Descrivono quello che rappresento per le persone che mi circondano chi sono in realtà quello lo posso fare solo io.
Non lascerò mai nessuno fare al mio posto ed è vero che Nathan si è rinchiuso nella sua torre d'avorio lontano dal mondo ma sono già stata sola, distrutta in un modo che alcuni non riuscivano a capire Eppure anche stavolta il modo in cui mi sento è diverso.
La persona che amo è qui. Posso toccarla, sentire il suono della sua voce, l'odore inebriante che lascia quando passa. Io tutto questo e mi sono bloccata punto a capo dentro i tubi mi operano. Se continuo con il mio cammino lui potrebbe non raggiungermi e questa distanza che c'è tra noi se crescerebbe soltanto ma se fosse lui ad andare avanti la condizione non cambierebbe di certo.  I fattori del problema Cambia nome risultato rimane identico.
L'amore da felicità e problemi allo stesso modo ed in alcuni momenti è così estenuante. Una continua lotta per la sopravvivenza ha detto una volta il mio professore di psicologia e non aveva torto.

«Sei silenziosa.» Batto un paio di volte le palpebre lasciando la presa sul mio labbro sanguinante osservando Charlie con un paio di plichi tra le braccia ed un sorriso finto sul viso che l'accompagna ormai da giorni. «Mi manca Tommy» increspa le labbra per qualche secondo sospirando «Potevi portarlo con te»
«Non c'è la faccio a fare tutto da sola» rispondo schietta prendendo posto sulla poltrona osservando le carte «E poi lui si diverte al nido. Ieri non voleva andare via.» La ragazza prende posto dinnanzi a me osservandomi attentamente ma anche innervosendomi, mi sta scrutando come fossi una specie rara o una bambina incapace di stare al mondo «Se hai bisogno di aiuto puoi sempre contare su di me»
«Lo so e grazie ma tu non te la cavi sopravvivi» alzo gli occhi al cielo sbuffando perché in fondi non posso darle neanche torto «Scusa anche tu la sfrontatezza ma sappiamo entrambe che ti senti in colpa per qualcosa che non potevi controllare» i suoi occhi si spalancano per un solo  secondo prima di tornare alle giuste dimensioni «Quello che sta male è Ash, non riesce a darsi pace e la cosa che lo fa infuriare molto di più è la mancanza di pentimento da parte di Christopher.»
La cosa non mi sorprende  per nulla. Quel ragazzo non ha nulla di normale e il fratello è quello che in fin dei conti deve mettere in ordine il casino che resta, io lo avrei già lasciato al suo destino parecchi anni fa anche de è difficile lasciar andare la persone a cui si vuole bene.  «Non dovrebbe farsi tutti questi problemi. Può controllare il suo essere e non quello degli altri» inizia a giocare nervosamentnr con una penna guardandosi in torno, sta evitando chiaramente il mio sguardo «Lui si sente sempre responsabile. Il padre è morto quando entrambi erano piccoli ed Adh aveva appena cinque anni, si è sentito in dovere do dovergli fare da padre ma Christopher non ha mai accettato questa cosa ed ancora oggi è il punto in cui discutono con maggior vigore» afferma seria bagnandosi le labbra con la punta della lingua per poi storcere la bocca «Lo odio»
«In realtà non dovresti. È sempre il fratello di Ash» il suo piccolo palmo viene sbattuto sul tavolo di vetro facendo tremare ogni cosa «Ha fatto tutto questo a te e Nathan. Non è giusto» tira sul col naso portando una mano a coprirsi gli occhi per poi Girardi «È tutta colpa mia» dice tra i singhiozzi facendomi tenerezza, non dovrebbe essere lei quella tra le lacrime ma lo fa per empatia e perché in fondo mi vuole bene, ci vogliamo bene a vicenda alla fine. Mi alzo dalla sefuw abbracciandola da dietro e cercando di non fare quelli che sta facendo lei, è stato difficile non farlo in questi lunghi dette giorni e non voglio crollare adeddo. «Non è colpa tua» le sussurro ad un oreccgui «Non è colpa di nessuno. Non piangere»
«Ma tu e Nathan...» con leggerezza le accarezzo i capelli lasciandole un bacio vbe la fa rilassare «I problemi tra me e Nathan li risolviamo noi. Voi siete soltanto il contorno di una questione molto più grande» la giro cosi da poterla guardare negli occhi «Quindi per favore non piangerr» passo i pollici sulle lacrime che ha versato sbavandole il trucco «Io sto bene» continuo sorridendo e sospirando a fondo. Annuisce passandosi entrambe le mani sugli occhi di solito luccicanti ma adesso cosi tristi per colpa mia sorridendo «Lo so che non è vero ma sei il capo e non devo mai ribattere.»
Di guarda un ultima volta in torno annuendo per poi scomparire lasciandomu sola con una nuvola scura sulla testa pronta a buttar giù il monfo intero.
Quanto sforzi inutili per far si che le cose andassero bene ma tutto quello che resta va sempre oltre il mio controllo ma adesso non posso e non voglio persarci, troppo lavoro da fare: conti da revisionare, persone da chiamare e gente da incontrare.

Prendo posto di nuovo sulla sedia leggendo velocemente i resoconti dell'ultimo mese. Non stiamo andando così male, abbiamo molte entrate ma riusciamo ad arrivare a fine mese per il rotto della cuffia e i soldi rimasti dall'assicurazione di Mike serviranno per i collage dei ragazzi ed il loro futuro. Ho bisogno di investitori, non voglio dover chiudere il mio sogno cosi presto.
Prendo il telefono che squilla sul tavolo notando il numero della scuola di Lexie.
«Pronto» rispondo continuando a battere sulla tastiera rispondendo alle varie e-mail «Signora Roudriguez sono Ellen Cullen la maestra di Lexie, sua figlia non sta molto bene. Riesce a venire?»
«Sarò lì il prima possibile» rispondo sentendo l'agitazione cresce ad una velocità inaudita dentro di me. Chiudo la chiamata afferrando la borsa e le chiavi della macchina.
Devo fate il prima possibile. La mia bambina sta male ed io sono lontana da lei incapace di darle una mano effettiva. Questo è decisamente il fondo del baratro o quasi.
«Charlie vado da Lexie pensa tu alla galleria» la ragazza esce dal suo ufficio con il volto pulito dal trucco «Va bene» risponde intontita ma la sua voce è giá troppo lontana.

Il parcheggio della scuola è completamente vuoto se non per una jeep che conosco molto bene ed un homo in divisa mimetica che cammina verso l'entrata con una sigaretta in mano.
Non pensavo di rivederlo in questa situazione e cosi presto. È sceso dalla sua torre d'avoria per la figlia, almeno in qualcosa è cambiato, adesso scaletebbe montagne per la sua bambina.
Scendo anch'io dall'auto correndo verso l'entrata rischiando un paio di volte di cadere ma soprattutto attirando la sua attenzione.
Il tempo sembra fermarsi appena ci guardiamo negli occhi e non perché lo vogliamo entrambi ma per il semplice motivo che non ci vediamo fa troppo tempo e le parole vorrebbero uscire veloce anche se molto probabilmente non avrebbero alcun senso se non per me.
«Ciao» dico cercando di non far tremare la mia voce, di sembrare una persona tutta d'un pezzo, di superarlo senza inebriarmi del suo odore, senza concedergli la debolezza che sento ogni qual volta che lui mi è vicino «Ciao.» La sua voce è stanca e roca, con la coda dell'occhionlo vedo buttar via il mozzicone di sigaretta e seguirmi dentro con le mani nelle tasche e lo sguardo dritto davanti a se «Pensavo avessero chiamato solo me» continua, il suo dei stivali è l'unico rumore concreto che riesco a sentire anche se nelle aule il chiacchiericcio dei bambini è forte. «Sono sua madre è normale che mi chiamino»
«Non stavo di certo dicendo il contrario ma...»
«Immagino quello che stavi per dire ma è meglio lasciar stare, questo non è di certo ne il momento e neanche il luogo.» Entrambi restiamo in silenzio percorrendo gli ultimi metri che ci separano dalla porta della vicepreside e da cui viene il pianto disperato della mia bambina. Apro di scatto la porta e con gli occhi scandaglio la stanza trovandola a piangere tra le braccia della sua maestra senza riuscire a fermarsi.
«Tesoro» dico avvicinandomi a lei e prendendola tra le braccia con calma, osservando il suo viso rigato dalle lacrima, gli occhi rossi e le labbra che tremano quando cerca di parlare «M-ma-mma l-lu-i è m-mor-rto» osservo la ragazza dietro di lei che chiude gli occhi sospirando «Chi tesoro?» si passa una mano sugli occhi anche se le lacrime non smettono di scendere «B-bun-ny è-è mo-orto co-me p-papá.»
Alzo gli occhi al cielo stringendola forte al petto osservando prima la maestra e poi Nathan ancora sull'uscio con una mano sugli occhi e le spalle ricurve. Sembrava avesse superato il lutto ma forse non lo supererà mai così in fretta da poter andare avanti, è ancora così piccola e si adesso a Natale fa da padre ma per tutta la vita un uomo si è preso cura di lei per poi lasciarla sola in balia di sé più puri sentimenti.
«Tesoro mio» la stringo forte al petto cercando di calmarla in qualche modo ma la cosa sembra cosi difficile, non piangeva cosi tanto dal funerale di Mike, pensavo di non doverla più vedere cosi distrutta che adesso la sua vita sarebbe stata felice.
«I-io g-gli vol-volevo bene»
«Lo so tesoro. Lo so.»

Lexie si è addormentata con le lacrime agli occhi tra le mie braccia nel frattempo che la vullavo sotto lo sguardo di Nathan e quello della signora Cullen entrambi in un rigoroso silenzio. La nostra situazione non è per niente normale ed anche la maestra deve essersene resa conto da in pò.
«Io non voglio intromettermi nella vostra vita familiare» inizia porgendo i una tazza di caffè per poi sedersi davanti a noi «Ma Lecie parlava di un padre» accarezzo la testa della bambina per poi guardare Nathan che se ne sta accanto alla finestra ed osserva fuori con occhi tristi « Nathan è il padre biologico di Lexie e per via di alcune circostanze se ne è andato prima che lei nascesse ed io ho sposato un uomo, Mike, che l'ha cresciuta ed è venuto a mancare alcuni mesi fa.» È stata la semplificazione più corta fella mia vita che io abbia mai fatto ma se avessi dovuto raccontare tutta la storia von i relativo dettagli una giornata non sarebbe bastata.
«Capisco. Lei ha risentito della morte di Bunny rivivendo quella del padre» commenta lei estorcendo un pò la bocca « Non avete mai pensato ad uno psicologo infantile che l'aiutasse ad esprimere quello che è successo?» domanda puntando il suo sguardo su l'uomo che finalmente prende la parola.
«Non ha mai mostrato atteggiamenti che funzionassero da campanello dall'allarme. È sempre stata allegra, una bambina vivace»
«Voi conoscete vostra figlia meglio di me ne sono certa» commenta alzandosi e bevendo del caffè « Però credo che qualcosa abbia disturbato nuovamente la sua vita»
«Da circa una settimana non la vedo e sento» continua il ragazzo passandosi una mano sul volto ed osservando la bambina che continua a dormire pacificamente «Può essere stata questa la causa scatenante?» domanda avvicinandosi finalmente a noi poggiando le mani sulle mie spalle «Non sono una persona specializzata in questo preciso campo» mette le mani avanti «Ma credo di si, sopratutto se si era abituata ad averla sempre intorno. Ha avuto paura di perdere anche lei»
«Capisco» sposta le mani tornando verso la finestra ed incrociando le braccia la petto «Provate a far tornare la sua routine. Forse tornerà a stare bene» annuisco alzandomi dalla sedia stringendole la mano a fatica «Grazie per quello che ha fatto» le dico uscendo dalla porta tenendo la bambina stretta a me percorrendo velocemente i corridoi della scuola «Angie aspettami.»
Come se potessi fermarmi veramente. Di certo non voglio parlare e sicuramente non adesso, se veramente la colpa di questa crisi e sua per adesso è meglio che stia lontano da me. Capisco il fatti che mi possa pure odiare ma in un settimana non le ha mai fatto una sola telefonata per sapere come stava o farle sentire almeno la sua voce, si è presentato adesso per non fare completamente nulla in fondo.
«ANGIE» urla ancora Nathan correndo mi dietro «ASPETTAMI PER L'AMOR DEL CIELO» apro la portiera dell'auto sistemando la bambina nel sedile posteriore chiudendolo dietro di me, almeno adesso posso davvero parlargli o meglio urlarghi contro «Cosa vuoi?» rispondo buttando la borsa per poi passarli una mano tra i capelli cercando di calamrmi «Parlarti, non si è capito?»
«Sentimi non sono in vena quindi ti prego fammi andare avanti via e fai il padre perchè anche se per adesso io e te siamo in rotta lei rimane sempre tua figlia ed ha bisogno di te, ne avrà bisogno sempre»
«Lo so, io amo Lexie e non avrei dovuto lasciarla»
«Almeno ne sei consapevole» borbotto guardando l'orologio «Adesso devo andare»
«Aspetta dov'è Tommy?» entro in auto «Non è una cosa che ti riguarda adesso.»

Quando ero bambina non riuscivo a capire per quale motivo mia madre fosse così apprensiva nei miei confronti, non voleva mai dirmi cosa succedeva ed io lo odiavo ma adesso riesco a capire come si sentisse. Una madre vuole proteggere i propri figli da quello che li potrebbe ferire.
«Angie» alzo lo sguardo dalla padella osservando mia madre che mi osserva von attenzione e mi mette anche in soggezione, ha sempre da ridire «Cosa c'è?»
«Capisco perché ci hai chiamato. Non sembra neanche la mia nipotina»
«È tutta colpa di Nathan. Spero tu lo abbia capito» afferra un grembiule per poi iniziare a pelare le patate con molta forza «In realtà no. Non mi hai detto nulla. Hai soltanto avviato la chiamata dicendomi 'Ho bisogno di te e papà. Potete venire?'»
«Quando si parla di Nathan tu mi dai sempre contro. Non voglio che sia cosi anche adesso» rimane con l'utensile in mano e gli occhi sgranati.
Come se questa sia una grande novità per lei.
Negli ultimi anni abbiamo discusso soltanto quando parlavamo di lui.
«So di essere una donna opprimente Angie ma quello che ho fatto è sempre stato per il tuo bene e quello di Lexie o almeno pensavo di farlo non credevo che sarebbe successo tutto questo.»
Ho aspettato queste parole per così tanto tempo, non credevo che sentirle mi avrebbe resa cosí leggere e felice soltanto per un paio di secondi per poi sparire in una nuvola di fumo ma almeno lo ha fatto, ha detto che avevo ragione.
«Però avete in comune molto di più di quello che volete dare a vedere» alzo gli occhi al cielo per poi sbuffare «MAMMA!» ferma le mie parole abbracciando mi forte «Scusa tesoro però neanche lui ha detto alla madre perché è tornato a vivere nella depandance dopo le serate passate a casa tua a dormire. Eravate come dei novelli sposi»
«È inutile che usi questi stupidi mezzucci. Non ti dirò perchè abbiamo litigato o lo andrai a dire a sua madre e alla fine lo saprà il mondo intero» si acciglia un momento per poi scrollare le spalle e sorridere «Va bene, non insisterò ma sappi che è vero. Voglio bene a quel ragazzo nonostante tutto quello che è successo in passato ma se osa farti nuovamente del male gli staccherò le palle con un colpo secco» sbarro gli occhi cercando di non sorridere a quello che ha detto, la pudica donna che ogni domenica va in chiesa è scomparsa e questa cosa mo diverte.
«Mamma sembri davvero una dura in questo momento»
«Sei mia figlia Angie, Lexie e Tommy sono i miei nipoti e voi avete sofferto già abbastanza per la morte di Mike e non c'è alcun bisogno che ti dica cosa succedere se tuo padre e tuo fratello venissero a sapere che per colpa sua Lexie sta in quel modo»
«Sono abbastanza adulta per mettere in ordine i miei disastri.»
Non voglio davvero dover mettere i manifesti sulla mia relazione sentimentale perché i commenti inizierebbero per non finire mai più ed il non voglio condizionare le loro vita con i miei problemi ancora una volta, facendo esplodere una nuova bomba. Si impara dai propri errori in fondo.
«Mamma.»
Lexie entra in cucina con il mio telefono attaccato al volto e sta sorridendo riempiendomi il cuore di felicitá «È Charlie.»
È davvero strano che mi chiami a quest'ora. Dovrebbe essere a cena con Ash o farci l'amore in questo preciso momento almeno loro che possono sfogarsi in questo modo.
«Cosa succede?» rispondo assaggiando il pollo alle spezie ormai cotto «Ho ricevuto una telefonata da parte di uno degli assistenti di Aleksey Pavlov, il magnate russo, e mo ha chiesto un incontro con te questa sera prima che riparta per Mosca.»
Direi che sono scioccata  e poco. Quell'uomo guadagna milioni con la vendita di petrolio e compra e vende arte perché ne è appassionato ed affascinato ma non capisco come sia arrivato a me e alla mia galleria.
«Vuole incontrare me?» domando sbalordita.
«Puoi scommetterci e credo, anzi sono molto sicura voglia investire nella galleria. Credo tu debba andare»
«Si. Andrò. Dove dobbiamo incontrarci?»
«Tra un'ora circa al 'Golf Royal'. Non fare tardi.»
«Puoi scommetterci. Ti aggiornò a dopo.»
Questa cosa è davvero straordinaria. Quell'uomo è una leggenda nel mio campo, per avere dieci minuti del suo tempo si devono aspettare mesi ed io avrò addirittura una cena con lui. Ho fatto colpo su di lui con quello che si vede o gli piace come gestiscono la galleria e i miei artisti ma la cosa ma la cosa mi sembra molto improbabile.
«Mamma io devo andare» dico osservando prima lei e poi la bambina che ci osserva attentamente «Lavoro?»
«Un probabile investitore per la galleria, è molto influente. Devo incontrarlo sta sera»
«Tranquilla. Penseremo io e tuo padre ai bambini.»

Il 'Gold Royal' è un bellissimo ristorante sulla costa. L'esterno è contornato da un patto verde perfettamente decorato e lici che decorano l'intero stabile. Le persone entrano e ne escono con un sorriso di appagamento. Davanti alla porta un ragazzo molto giovane a cui lascio le chiavi dell'auto e che mi lascia in bigliettino giallo. Osservo un paio di volte quello che mo circonda stringendomi nel mio giubbotto di pelle nero ed osservando per un paio di volte il mio tubino rosso che mi circonda i fianchi e mettendo in mostra le gambe, mi sento leggermente a disagio ma è meglio andare. Non voglio arrivare tardi e sembrare non interessata a questo incontro.
Sospiro mandando giù un grumo di bile ed entrando nella struttura cercando di mantenere il mio contegno ma la cosa è impossibile: lunghi lampadari di vetro soffiato scendono dal tetto rendendo l'ambiente accogliente e dai toni caldi, le pareti sono di legno scuro perfettamente intagliato, nell'aria volteggia il suono dei violini dell'orchestra, le tovaglie di raso nere in contrasto con il marmo bianco e le candele accese su ogni tavolo.
Raggiungo l'uomo dietro al bancone assorto ad osservare il libro delle prenotazioni.
«Buona sera» inizia togliendo gli occhiali poggiati sulla punta del naso «Ha una prenotazione?» domanda osservando il mio abbigliamento con un sguardo super critico.
«Sono aspettata dal signor Aleksey Pavlov.» L'uomo rimette sulla punta del naso gli occhiali controllando con velocità la lista delle prenotazioni «La signorina Angie Rodriguez?» domanda osservandomi ancora «Si» rispondo secca.
«Perfetto» con un cenno della mano richiama un cameriere che si avvicina «Dal signor Pavlov» dice secco non degnandolo di uno sguardo.

Nell'angolo più oscuro del locale in un tavolo per due un uomo, il cui viso è illuminato in parte dalla luminosità di una candela, sorseggia del vino rosso guardando lo schermo del suo telefono. Passa una mano tra i folti capelli neri per poi dare un'occhiata all'orologio tamburellando con le dita sul tavolo. Il cameriere mi lascia a metà strada quando inizio a dirigermi verso di lui senza aspettarlo.
«Buona sera» dico attirando il suo sguardo verde su di me osservandomi con minuziosità, resta seduto per un paio di secondi per poi alzarsi mostrando la sua statura imponente stretta in un vestito nero, l'occhiello è il fazzoletto rosso nel taschino. Le foto che ho visto sono nulla in confronto, è davvero un bell'uomo.
«Buona sera signora Rodriguez.»
Stringo la mano che mi porge continuando ad osservare i suoi occhi, sono magnetici, il naso dritto alla greca e le labbra carnose contornate dalla leggera barba di un giorno. «È un piacere conoscerla» dico riprendendomi per poi fare un sorriso appena accennato «Anche mio.»
Lascia la presa aiutandomi a sfilare il giubbino, le mani sfiorano un paio di volte le spalle lasciate scoperte per poi poggiarlo delicatamente sulla sedia e spostare quest'ultima facendomi prendere posto e sedendosi nuovamente dinnanzi a me facendo segno ad un cameriere di raggiungerci. Nel frattempo mi osserva sorridendo mostrando la dentatura bianca e mettendomi in soggezione «Mi dispiace averle dato questo appuntamento a quest'ora tarda ma domani partirò per Mosca ed ero impaziente di incontrarla»
«Non è stato un problema e se devo essere sincera anch'io volevo conoscerla. Da quello che si dice lei possiede una grande quantità di opere inestimabili» rispondo cercando di mantenermi tranquilla e professionale.
Accanto al tavolo arriva il cameriere di prima e sta volta un sorriso adorna il suo volto e gli occhi sono puntati sul suo taquino «Cosa posso fare per lei?» recita alzando lo sguardo ed incontrando quello dell'uomo che mi accompagna ma quest'ultimo non lo sta osservando piú, è già su di me «Cosa vuole bere?»
«Quello che beve lei andrà bene» rispondo incrociando le mani sul tavolo per poi sorridere «Una bottiglia di Chateau Bordeaux» assegna l'ordinazione e poi scappa via lasciandoci nuovamente soli.
«Può darmi del tu se vuole» dico io «Per quanto io sappia ci togliamo solo un paio di anni» abbassa lo sguardo nascondendo un sorriso «E tu puoi fare lo stesso.»
Il cameriere torna interrompendoci nuovamente stappando la bottiglia con maestria versandola nei nostri bicchieri «Siete pronti ad ordinare signori?»
La domanda mi spiazza, non ho neanche dato uno sguardo veloce al menù.
«Non ancora» risponde svelto Aleksey ed ecco che siamo di nuovo soli.
«Posso farti una domanda?» annuisce bevendo un sorso del vino gustandoselo con calma «Tutte quelle che vuoi.»
Nei suoi occhi vedo un lampo che li attraversa ma forse è solo il vino che sta bevendo. Faccio anch'io la medesima cosa gustandone la consistenza fruttata «Come ha saputo dell'esistenza della mia galleria?»
Non risponde subito, beve un'altra sorso di vino per poi passarsi la punta della lingua sulle labbra «Nel mondo dell'arte si parlava di uno ragazza intraprendere che aveva appena aperto una nuova galleria d'arte e che gli artisti sono i migliori esponenti di quest'anno. Hai catturato la mia attenzione»
«Non pensavo di aver fatto scalpore»
«Le cose nuove fanno sempre scalpore» risponde duro passandosi una mano sul mento «Ma ci sono cose che vanno e vengono ed io vorrei che la vita della tua galleria sia lunga.»
La conversazione va sicuramente verso la direzione giusta.
«Per questo vorrei investire nella sua galleria se me lo permette»
«Per me sarebbe un onore ma ci sarebbero delle cose di cui dovrebbe discutere»
«Ne sono consapevole ma non c'è alcun bisogno che ne parliamo adesso. La serata è ancora lunga e qui fanno dell'ottimo cibo»
«Sai come tentare una donna» sorride storcendo leggermente le labbra «Sono un homo di mondo.»
Apro la bocca pronta a rispondere quando il telefono nella mia pochette inizia a suonare «Scusami» rispondo prendendolo e notando il nome di mia madre «Ma devo rispondere è mia madre e sta badando ai miei figli»
«Tranquilla. Io sarò ancora qui quando tornerai.»
Con garbo sposto la sedia, tolgo il tovagliolo da sopra le gambe rispondendo al telefono e percorrendo la distanza che mi divide dall'uscita.
«Mamma cosa succede?»
Lei non mi chiama mai se sa che sono impegnata, deve essere successo qualcosa di grave.
«È venuto a casa, ha giocato con i bambini per poi chiedermi dove ti fosti. Gli ho detto che eri ad una cena di lavoro con un cliente e non mi ha creduto, credo stia venendo lì» e proprio in quel momento la jeep si ferma davanti al locale e un Nathan furioso ne esce, gli occhi sono fuori dalle orbite e la pelle del viso rossa.
«Ci penso io tu stai tranquilla.»
Chiudo la chiamata andando in contro a lui cercando di non cadere.
«A cena con un'altro uomo?» domando alzando la voce quel tanto che basta da far voltare un paio di coppie che entrano.
«Sono qui per lavoro Nathan, per favore non iniziare»
«PER QUALE MOTIVO? PERCHÈ LUI PUÒ SENTIRCI?»
«No. Perchè ti stai rendendo ridicolo quindi faresti meglio a tornare a casa»
«Si, io torno a casa ma sappi una cosa» continua avvicinandosi intimitendomi «Io avevo bisogno di spazio e tu stai facendo questo a noi un'altra volta» mando giù la bile scuotendo la testa «Tu non hai capito assolutamente nulla. Fai quello che vuoi di tutto questo, di noi. Hai trovato la tua nuova scusa e la stai usando per fuggire.»

Alla fine di tutto noi non siamo altro che persone, i fattori di un problema a cui non troveremo mai soluzione ma la stupida rimando sempre io in questa storia o forse lo diamo entrambi perché ci abbiamo riprovato, perchè questa volta io lo amo e il cuore sta per rompersi, io sto per crollare ed invece non posso fare altro che tenere i cocci insieme con della colla ma in fondo nessuno capisce come stai, basta che raddrizzi la schiena e sorridi.
«Stai bene?» domanda Pavlov quando ritorno al tavolo bevendo il vino che è rimasto «Si.»

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una storia sulla ship migliore di questa edizione, sarah x liljolie. non credo abbia bisogno di una descrizione, le conoscete fin troppo bene