A Kind Of Brothers? (AKOB?) b...

By serenapittino

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E poi arrivò quel momento, quello che avevo pregato tutto il tempo che non fosse stato ripreso. Sentii Zayn i... More

1 NEW BORN
2. HATE
3. WAKE UP
4. VIDEO
6. RICATTO
5. LO PSICOLOGO
7. IN YOUR MIND
8. COMPITI A CASA
9. PARCO GIOCHI
10. OCCHI
11. RISCHI
12. I WOULD
13. NEXT TO ME
14. BLACK HOLES AND REVELATIONS
15. SOME NIGHTS
16. CHANGES
17. WHAT DO YOU WANT?
18. NEW YEAR & DEJÀ VU
19. BLACKOUT
20. THE DEMONS FROM YOUR PAST
21. WHEN YOU'RE TOO IN LOVE TO LET IT GO
22. SENSI DI COLPA
23. VOICES & TEXTS
24. CAN I HAVE THIS DANCE?
25. BROKEN
26. CRY
27. PHOTOS
28. COMPLICAZIONI
29. GET IT RIGHT
30. SECRETS
31. VIDEO 2.0
33. DADDIES
34. THE LAST DANCE
35. THE CURE
36. FAR AWAY
37. THE QUEEN
38. UNDISCLOSED DESIRES
39. HOLMES CHAPEL
40. THANKS FOR CALLING
41. WATING FOR YOU
42. SHAKE IT OUT

32. HURT

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By serenapittino

Harry 

L'autobus rallentò, le ruote fischiarono appena, la frenata ci sbalzò verso dietro.
Poi tutto si fermò.
Il led sul tetto lampeggiava ozioso il nome della nostra destinazione.

Fermata 21, Evergreen Street.

Scesi, scansando una vecchia signora carica di buste, una studentessa con le cuffie alle orecchie e un bimbetto tutto preso dalla sua psp.
Camminai veloce lungo il viale alberato, il marciapiede a scorrermi sotto come un tappeto mobile, l'autobus che rombando riprendeva la sua corsa alle mie spalle.
Camminai veloce per non rischiare di cambiare idea, di risalirci e allontanarmi da lì il più possibile. 
Camminai senza badare alla sfilza di case ordinante, fresche, chiassose, tutte tremendamente simili.
Pur senza dedicare ad ognuna più di uno sguardo, non mi riuscì difficile fermarmi di fronte a quella che cercavo. 
Quella sulla cui cassetta delle lettere campeggiava il nome Tomlinson. 

Tre settimane. 
Esattamente tre settimane erano passate dall'ultima volta che ero stato lì. Eppure mi sembrò che quella casa appartenesse ad un'altra vita. 
Fu come ritrovarsi di fronte un vecchio compagno di studi. Sul suo viso riesci ancora ad intravedere qualcosa di quel sorriso che avete condiviso, ma dagli occhi e dai gesti traspare un senso inconfondibile di distacco, di perdita. La complicità è stata sostituita da un affetto scialbo, nostalgico, legato a quel pezzo di vita di cui lui porta il ricordo.
Così, per me, quella casa non aveva alcun valore, se non quello datogli dalla memoria.
Il fatto che questo straniamento fosse avvenuto in meno di un mese, mi metteva i brividi.
Ma c'era qualcosa che ancora di più mi terrorizzava.
Gli occhi di Louis, languidi e acquosi, e il suo viso rosso, accaldato dal sesso, rimasti impressi nella mia mente.

"Quindi è vero?" la voce ridotta ad un soffio, le labbra quasi immobili. "Li hai cancellati tutti, come mi avevi detto?"
Un sospiro, il cuore a battere a mille, la paura, l'imbarazzo, l'indecisione.
E poi quel "Sì" forte, chiaro, terribilmente falso...

Mentre attraversavo il giardino con il cuore in gola, ripensai anche ad altri occhi, ad un altro viso contrariato e deluso.
Quello di Niall.

Una stretta al petto, l'irrefrenabile voglia di piangere. 
Tutto quello che feci, invece, fu suonare il campanello.
Ad aprirmi si presentò Phoebe.
Il visino bianco latte si distese in un sorriso, mentre i suoi occhi si illuminavano ed "Harry!" esclamava raggiante. "Daisy corri, c'è Harry!"
Un secondo dopo era tra le mie braccia e la sorellina spuntava dal fondo del corridoio saltellando allegramente.
"Harry! Harry! Sei tornato!"

Le presi entrambe in braccio, come ero abituato a fare. Accettai di buon grado i loro baci, le voci stridule a perforarmi l'orecchio, la miriade di domande sconnesse che si inerpicavano l'una sull'altra.
"Sono venuto solo per salutarvi, principesse" riuscii ad articolare alla fine. 

"Come mai, Harreh?" la voce proveniente dalla cima delle scale mi raggelò. "Hai intenzione di partire, per caso?"
Louis era in uno stato pietoso, vestito esattamente come qualche sera prima in soffitta, una canna tenuta con nonchalance sull'orecchio, la barba incolta, i capelli sporchi appiattiti sulla fronte.
E la colpa era di Zayn.
Permisi all'odio che nutrivo per lui di fluirmi dentro, di crescere come una pianta velenosa, mentre adagiavo le bambine a terra per poi salire le scale con passo calmo.
"Credi davvero che liberarsi di me sia così facile?" risposi ad un Louis apatico, che già si incamminava in corridoio.
"No. Ma vorrei tanto lo fosse."

Lo seguii, prima che si barricasse in camera. Era diversa da come la ricordavo.
Più sporca, disordinata, cupa.
I resti delle cene di Lou giacevano su quello che era stato il mio letto. I vestiti sporchi sulla scrivania. Il laptop dalla luce fluorescente, tra le pieghe raggrinzite delle coperte.
"Pensavo volessi salutare le bambine, non me" mi apostrofò, prendendo posto di fronte al pc.
"Appunto. Con te ci devo parlare."
Lui sospirò, come se la sola idea lo stancasse.
"Scusa, ho da fare adesso."
Incollò gli occhi allo schermo, armeggiò con la tastiera un attimo. 
Poi lo sentii. 
Un insieme sconnesso di risatine, gemiti e ansiti risuonò dalle casse del laptop a tutto volume, fortissimo, insopportabile. Mi sembrò addirittura che i muri tremassero, che l'intera casa vibrasse al ritmo di quella malsana melodia.
Ma quando Louis sollevò lo sguardo, quando i suoi occhi congelarono i miei, capii di essere io a tremare, a fremere orrendamente, rischiando di cadere a pezzi.
A pezzi, come ai tempi in cui un altro suono aveva scandito la mia vita. Quello delle campane di una chiesa, un pomeriggio di Febbraio, in cui mi ero ritrovato a portare in spalla una delle due bare gemelle fino al cimitero di Holmes Chapel. 

Per questo arrivai fino al letto a grandi passi, inspirai profondamente e, esattamente come aveva fatto Louis Tomlinson otto mesi prima, sferrai un colpo contro il laptop.
Lo schermo si richiuse con uno scatto, il climax di gemiti venne smorzato, anche se l'eco riverberava ancora nella mia testa.
"Lou" ansimai, le unghie a graffiare la superficie nera del laptop, i nervi tesi allo spasmo. "Fammi spiegare."
"Quante?" mi interrupe lui, lapidario. "Quante altre copie ci sono?"
Feci per rispondere, scivolando seduto sul letto, ma lui scosse la testa, come pentito, mi zittì con un gesto sbrigativo della mano. "Ma che te lo chiedo a fare? La risposta, vera o no, sarà sempre la stessa."
Gli strisciai vicino, fino a sfiorare la mano adagiata tra le coperte.
"Volevi mettermi alla prova quella sera in soffitta, quindi?" chiesi come fossi io quello tradito. "Avevi già questo fottutissimo video!"
Lou scosse la testa con vigore, si alzò e "Non avevo un bel niente, Harry!" sbottò, prese a camminare veloce per la stanza. "Quella sera avrei voluto solo tornare a fidarmi di te, lasciarmi le parole di Zayn alle spalle."
Un nome, una scintilla, e la rabbia guizzò come una fiamma alimentata da rami secchi.
"E' stato lui, vero?" ringhiai, alzandomi a mia volta. "Lui e quel maledettissimo idiota di Liam Payne."
"No."
Louis si fermò, parlò con voce spezzata, quasi agonizzante. Ne ebbi paura.
"Sei stato tu, Harry. Se adesso sto così, la colpa non è di nessun altro."
Una stretta forte al petto mi bloccò il respiro, lasciandomi interdetto per un attimo. Ma il dolore acuto e brucente che ne scaturì poco dopo, come quello di un ferro caldo premuto sulla pelle, mi costrinse a muovermi.
Scattai verso di lui, lo afferrai dai polsi, mi abbassai per cercare i suoi occhi, pur sapendo quanto ciò che vi avrei letto potesse farmi male.
"Ce n'era un altro, è vero. Ma non l'avrei mai usato contro di te, sai che non l'avrei fatto."
Provò ad interrompermi spingendomi da parte, ma lo bloccai, inchiodandolo alla superficie liscia dell'armadio.
"...e se non te l'ho detto quella sera" continuai, "è stato perché ho avuto paura."
Lo sguardo di Louis non si addolcì, il suo volto rimase indecifrabile, freddo e duro come il granito. 
Ma quando "Ed è per la stessa paura" esclamò, la sua voce si era alzata di un'ottava, "che subito dopo sei corso da Liam per cancellarlo?"
Il fatto che sapesse anche quel particolare mi spiazzò.
Non avevo mai realmente odiato Liam Payne. All'inizio l'avevo trovavo irritante ed inutile. Poi penoso ed appena un accenno sfruttabile. Alla fine, per quanto odiassi ammetterlo, addirittura buono ed affidabile.
Adesso invece avrei tanto voluto che lui e Malik finissero in ospedale. E soprattutto, avrei voluto essere io a mandarceli.

"Perché non capisci?"
Lo urlai così forte che Lou provò di nuovo a ritrarsi. Battei un piede a terra, frustrato.
"Non potevo rischiare" sibilai tremante. "Non volevo che tu... mi odiassi ancora di più."
Louis sbuffò, sollevo il mento in un elegante gesto di disprezzo.
"Mi spiace, Harry, ma quello che hai ottenuto è esattamente il contrario."

Mi mancò di nuovo il fiato.
Louis si liberò dalla mia presa. Scivolò via, fissandomi inquieto, mentre mi piegavo su me stesso, una mano sul petto, l'altra tra i capelli, il mondo a vorticare attorno, a fondersi con i pensieri spezzati e confusi nella testa. 
Fu come trovarsi su una giostra ed accorgersi di quanto alta e pericolosa sia, solo una volta che si è messa in moto e non si ha alcuna possibilità di scendere.
E' allora che la paura prende forma, diventa compatta, quasi solida, la senti salire veloce dalle budella al petto. La senti soffocarti mentre passa per la gola. La senti ucciderti quando arriva dura come un blocco di marmo, alla testa.
Tutto quello che ti resta da fare, a quel punto, è urlare. 
E fu esattamente quello che feci quando, "Non è vero!" sputai in faccia al ragazzo teso di fronte a me. "Tu non mi odi, non puoi odiarmi. Non per questo...tu..."

"Lou?"
Dovetti sopprimere il disumano grido già fremente nel fondo della gola per voltarmi insieme a Louis verso la porta.
Lottie, occhi sgranati e bocca spalancata, ci fissava.
Avanzò di qualche passo e "Che succede?" soffiò, con l'aria di chi non aspetta altro che una risposta negativa.
Allora l'accozzaglia di urla e parole che avevo trattenuto, scattò come una molla.
"Succede quello che hai sempre sperato, tesoro." 
"Harry..." 
Lou fu in un attimo al mio fianco.
Ma continuai inarrestabile, fissandola inferocito. "So che preferiresti assistere, ma è meglio se ti levi dalle palle..." 
La mano di Louis si strinse sulla mia spalla, 
"...perché giuro su mia madre, al momento potrei prendere a pugni anche il tuo bel visino."
"Lottie, va' via!" 
Louis mi spinse in fondo alla stanza, mentre la sorella obbediva, arretrando fino a scomparire nel corridoio.
"Che cavolo ti prende, Harry?" sibilò lui al mio orecchio, velenoso. "Sai che lei non c'entra."
Una risata gorgogliante mi sfuggì dalle labbra. 
"Non è un po' troppo tardi per iniziare a fare il bravo fratello maggiore, Loulou?"
Mi fissò come se non avesse mai visto niente di più spregevole e penoso in vita sua.
"Forse è meglio che anche tu vada, Harry."
"Non abbiamo ancora finito."
"La finiremo quando sarai abbastanza lucido per chiedermi scusa" mormorò, "ed io avrò il tempo di pensare se sia giusto perdonarti."
"Io..." ansimai, mi avvicinai di nuovo, "io non ho fatto niente, Louis. Per cosa dovrei essere perdonato?"
"Quel video..."
"Quel fottuto video!" sillabai, cercai le sue mani, "l'avevo dimenticato!"
Louis rabbrividì.
"Dimenticato" ripeté, chiudendo gli occhi. "Sul serio? Allora dimenticherai anche il sottoscala. O il bacio dato a quella ragazza, la sera a casa Flatcher. O il ballo con Becca" deglutì, le mani strette come una tenaglie attorno alle mie. " Dimenticherai tutto, vero Harry? Perché per te non è importante. A te non ha fatto male."
Fui io a quel punto a volermi allontanare.
Alla rabbia quasi sfumata per Zayn, Liam e Lottie, si sostituì quella per me stesso. L'unica che non sarei mai stato in grado di affrontare. Quella che, tanto tempo prima, mi aveva costretto ad erigere un muro come difesa, per rimanerne immune. Ma adesso che quel muro non c'era più, niente le avrebbe impedito di distruggermi.

"Lou" sussurrai debolmente, "farò di tutto per rimettere le cose aposto, lo giuro."
Louis mi lasciò le mani, deluso.
"L'unica cosa che voglio tu faccia è ricordare che io ho rinunciato ai miei amici e alla mia famiglia per te" crollò su una sedia, sfinito. "Perché se dimentichi anche questo, non ci sarà più niente da rimettere a posto."
Non so se quelle parole fecero più male a me, impotente e sfibrato, o a lui, deluso ed amareggiato, che si era ritrovato costretto a pronunciarle.
"Possiamo... parlarne con più calma domani?"
Lui si passò una mano sulla fronte, il petto ad alzarsi ed abbassarsi velocissimo.
"Credo sia meglio pensarci un po' su... ognuno per conto proprio."

"Louis?"
Per la seconda volta entrambi guardammo verso la porta.
Jay fece capolino dal corridoio, inquieta e guardinga, come pronta per una battaglia.
A quanto pare sua figlia non aveva perso tempo a dirle tutto stavolta.
"E' tutto apposto?"
Annuimmo entrambi; io mentre asciugavo gli accenni di lacrime agli angoli degli occhi; Louis mentre si sollevava tremante dalla sedia. 
Jay aggrottò la fronte, non fece altre domane al riguardo ma "Harry, rimani a cena?" chiese, circospetta.
"Harry se ne stava andando."
Louis mi fissò. Io ricambiai.
"Sì, stavo andando..."

Jay mi accompagnò alla porta. Lou si chiuse in stanza.
Fu l'ultima volta che vidi quella casa. 


Liam 

"I risultati dei test di astronomia, previsti per la prossima settimana..."
Il suono acuto e prolungato della campanella interruppe il professor Gray. Ma non si lasciò intimidire dal rumore di sedie spostate, dagli alunni in piedi, con i libri sottobraccio, pronti a scappare. "Vi verranno consegnati a fine mese!" continuò. "Se qualcuno di voi volesse recuperare..."
Ormai la classe era semivuota, la maggior parte dei ragazzi erano usciti chiacchierando e ridendo in corridoio. Il professore fissò me e gli ultimi tre rimasti come fossimo la sua unica ragione di vita. "Dite ai vostri compagni che l'ultimo recupero è previsto per gli inizi di giugno." 
Gli altri annuirono, io ficcai gli appunti in borsa e finalmente mi alzai, riflettendo vagamente sul fatto che non avrei dovuto informare di niente proprio nessuno. Non avere troppi amici aveva i suoi lati positivi.

Non averne nessuno è abbastanza patetico però, Leeyum.

Scacciai la voce che si aggirava nella mia testa, terribilmente simile a quella di Harry Styles, l'unico amico che avessi mai avuto e che, per quanto ne sapevo, mi avrebbe abbandonato molto presto.

"Payne?"
Il professor Gray mi richiamò quando passai di fronte alla cattedra. 
"Sì?"
"Mi sono permesso di controllare i tuoi voti in fisica e matematica l'altro giorno" iniziò, sfogliando distrattamente i suoi registri. "Ho dato un'occhiata alla tua media, ed è ottima, ma visibilmente più bassa rispetto agli anni passati. Non credo che ti permetterà di accedere alla borsa di studio."

Annuii prontamente all'uomo, ma in realtà recepii le sue parole con qualche secondo di ritardo. La mia mente riorganizzò l'idea a rallentatore, come volesse evitarmi il dolore di un colpo repentino, inaspettato. 
Da quanto tempo ormai non pensavo seriamente alla scuola, ai test, al college? Gli obbiettivi e gli scopi che il Liam Payne di un anno prima si era prefissato, negli ultimi mesi si erano trasformati in un misero contorno, un ammasso di regole e doveri freddi ed insipidi, senza più alcuna finalità, sfondo incolore di una vita frenetica, eccitante, terribilmente vera. 
L'amicizia con Harry. La storia con Niall. Il processo. Zayn.
Chi sarebbe riuscito a preoccuparsi della scuola, di fronte al repentino realizzarsi di un'esistenza finalmente autentica?

Eppure quando "Me l'aspettavo" risposi al professore, una nota di delusione colorò la mia voce.
"E' davvero un peccato" tornò ad infierire quello, alzandosi. "Hai per caso frequentato qualche corso extra scolastico? Potrebbe fruttarti qualche credito."
"No" sussurrai, chinando il capo, "non ho avuto...tempo."
Il professore sospirò. "Beh pazienza! Un ragazzo come te non avrà comunque problemi al college."
Sorrisi per il suo patetico tentativo di consolarmi, gli augurai una buona giornata e mi defilai in corridoio.

Il college. 
Non ero più neanche tanto sicuro di volerci andare. 
Camminai veloce tra gli armadietti, i muri tappezzati di volantini, il chiacchiericcio incessante degli studenti. Tutto questo non mi sarebbe certamente mancato. Ma il motivo per cui mi sentivo irrimediabilmente legato a quella città era lo stesso per cui adesso mi ritrovavo a fissare ansiosamente in cortile, sperando di intravedere un ragazzo abbronzato, dai capelli scuri e lo sguardo penetrante.
Lui non c'era. 
Non mi affannai nemmeno a cercarlo, quando entrai in mensa. 
Sedetti invece accanto all'unico viso che potessi considerare "amico" in quella confusione di maschere senza volto.

"Oh Liam!" 
Sammy mi rivolse un sorriso sincero, di quelli che ti sfuggono tra le labbra quando vedi qualcosa di piacevole e decisamente inaspettato; un germoglio verde sui rami rinsecchiti di un vecchio albero, per esempio. Ecco Sammy era una di quelle persone che ne sarebbe rimasta sempre affascinata, come una bambina che osserva il mondo per la prima volta. E per quanto la sua costante esuberanza non mi andasse a genio, lei mi piaceva. 
Uno come me, che aveva vissuto in secondo piano per tanto tempo, non avrebbe mai relegato qualcun altro sullo sfondo solo perché apparentemente strano. 

"Hey Sam" ricambiai il suo sorriso. "Come va?"
Mi pentii quasi subito dell'innocua domanda rivoltale. Non avevo calcolato che invece di un formale "Tutto bene, tu?" avrei ricevuto come risposta lamentele infinite per i test di storia, il resoconto del litigio con la sua best e la descrizione dettagliata del suo vestito per il ballo.
"...adesso che ci penso non ho nemmeno un cavaliere!" stava dicendo ora, grattandosi il mento con la forchetta di plastica. "E tu ed Harry sarete di sicuro impegnati, no? Dovrei chiederglielo quando...oh!"
La sua esclamazione mi convinse a seguire la direzione del suo sguardo e mentre "Eccolo, il nostro Styles!" trillava, vidi Harry avanzare tra la folla, vassoio semivuoto in mano, volto cereo, sguardo ombroso.
Mi preparai ad attutire anche il colpo che lui mi avrebbe inferto, forse peggiore di quello scagliato dal professore poco prima. Lo sentivo avvicinarsi come il sibilo sottile, assassino, di un proiettile. 
Ma per quanto mi fossi preparato, quando Harry, dopo avermi rivolto niente più di un misero sguardo, girò i tacchi e tornò indietro, mi sentii morire. Ero riuscito ad evitare il dolore immediato sì, ma il livido del colpo infertomi stava già iniziando a comparire. 
"Hum" borbottò Sammy osservandolo mentre si allontanava, "è successo per caso qualcosa tra voi?"
"Non ancora" ansimai, alzandomi tremante. "Ma probabilmente succederà."



"Liam?" mia madre mi intercettò mentre entravo in casa e mi fiondavo su per le scale. "Non dovevi rimanere a scuola per l'approfondimento..."
"Harry è tornato?" la interruppi senza mezzi termini.
Lei si adirò. "E' chiuso in camera sua, per quanto ne so."
Non ebbi tempo di ascoltare i suoi commenti acidi. Meno di un secondo dopo stavo già bussando alla porta in fondo al corridoio. 
Realizzai quanto fosse stupido aspettare il permesso, per entrare in una stanza di casa mia, da parte di una persona che avrebbe preferito uccidermi piuttosto che vedermi, mentre abbassavo fremente la maniglia. 
Inciampai non appena messo piede nella camera. 
"Che cavolo..." 
Mi poggiai al muro per mantenere l'equilibrio e fissai interdetto la valigia piena e rigorosamente chiusa trai miei piedi. 
"Cerca di non romperti l'osso del collo, Payne. Zayn potrebbe incolparmi anche di questo."
Harry era in piedi accanto al letto, gli occhiali ancora tra i capelli, la maglia bianca grondante di sudore. Ficcava alla rinfusa i vestiti ancora sporchi in valigia. 
"Harry cosa.." 
"Harry leva le tende, Leeyum" mi spiegò lui, mentre un sorriso tutto fuorché sincero gli tagliava il viso. "Vivere qui mi ha già stancato. Lo sai, sono uno spirito libero."
Ridacchiò come se la cosa fosse immensamente divertente. Poi afferrò la valigia, la trascinò accanto all'altra e "Ringrazia tua madre per la sua immensa gentilezza. Mi mancherà" decretò prima di uscire in corridoio.
Solo allora realizzai che faceva sul serio. 
Che era così fottutamente arrabbiato da non aver neanche la forza di urlarmi contro. Così ferito da non poter far a meno di nascondere il suo dolore dietro quella cinica facciata. Così assurdamente deluso che preferiva andarsene, piuttosto che vivere con me.

Lo afferrai dal polso, bloccandolo prima che scendesse le scale.
"Harry non fare l'idiota, ok? Dobbiamo parlare."
"Dobbiamo?" inarcò un sopracciglio, fissò disgustato la mia mano. "Ce n'è davvero bisogno? Sbaglio o tu non mi hai parlato del tuo bel complotto con Malik?" Rise di nuovo, ma stavolta nei suoi occhi non c'era traccia di ilarità. Solo furia, folle, incandescente. "Riflettendoci, era  proprio per quel video che lui ha iniziato a prendertelo in bocca. Magari adesso che ha raggiunto il suo scopo, ridurrà a brandelli anche te, come ha fatto con Louis."
"BASTA!" 
La mia voce vibrò come il suono di un tamburo giù per le scale, mentre lo strattonavo, portandomelo vicino.
Le valigie caddero a terra con un tonfo, il viso di Harry Styles si ritrovò a pochi centimetri dal mio. 
"Non sapevo cosa Zayn avesse intenzione di fare, ok?" sibilai. "Non sapevo che tu avessi mentito a Louis riguardo quel video e..."
Mi leccai le labbra, cercai affannosamente qualcos'altro che potesse giustificarmi, qualcosa però in cui anche io credessi.Perché sapevo quanto ciò cha avevo appena detto risultasse ridicolo, falso, terribilmente ipocrita.
"Non devi per forza far finta che ti dispiaccia, Leeyum" Harry si liberò dalla mia presa con una gomitata, "so che non è così. So che qualsiasi cosa accada, non preferirai mai me a Zayn. Lui è stato la tua prima scelta e lo sarà sempre."
Si chinò a riprendere le valigie. Scese le scale.
E nel guardarlo percorrere il corridoio e raggiungere la porta, capii ciò che stavo perdendo.
Harry Styles. Sarcastico, scontroso, irriverente, a volte incomprensibile, la prima tessera del domino che aveva spinto con forza e determinazione gli altri tasselli, definendo con colori brillanti un nuovo Liam Payne.
Un Liam Payne che, alla fine, non si era fatto scrupoli a tradirlo. 
Ma che non era ancora pronto a lasciarlo andare.
"Harry, ti prego" mi catapultai giù per le scale."Harry aspetta!"
Uscii in giardino, lui era già dalla parte opposta della strada. 
"HARRY!"
Continuò a camminare. Non rispose. 
Ed io continuai a seguirlo per un po', finché le mie urla non si trasformarono in sussurri, il dolore in lacrime. 

Lacrime che qualcuno, diretto verso casa mia in quel momento, notò.
"Liam?"
Sollevai lo sguardo sul passante dalla voce profonda e terribilmente familiare, il cuore in gola, un'improvvisa quanto assurda consapevolezza a squarciarmi il petto.

No. Non può essere.

Mi stropicciai gli occhi, scossi la testa confuso. Eppure il viso che mi ritrovai a guardare era lo stesso. Quello dell'uomo che adesso mi abbracciava forte. L'uomo che mi aveva abbandonato quattro anni prima.
Mio padre. 


Louis

"No, Lou, oggi non è possibile." 
Cassie riordinò le scartoffie sulla scrivania, bevve un sorso del caffè ormai freddo che ero stato io a portarle. "Jeff si è dato malato. Tate è già andato via e..."
"Si tratta solo di qualche ora" la pregai. "Niente di più."
"Se mi avessi avvisato ieri avrei chiesto ad Hank."
"Ieri non sapevo di averne bisogno." 
La donna sospirò. "Non posso aiutarti, mi spiace. La prossima volta che ti serve uscire prima ti prego di..."

Non ascoltai l'ultima parte della frase. Mi ero già fiondato in corridoio, premurandomi di sbattere forte la porta alle mie spalle.
Poco lontano, accanto alla macchinetta del caffè, Marley ridacchiò. "E' andata male, Tomlinson?"
Ignorai la domanda petulante, crollando su una delle seggiole li vicino.
"Mi sa che oggi Cas non era in vena di dispensare permessi straordinari" commentò Stan, irritante come al solito.
"Fottetevi" fu la mia laconica risposta.
Marley sbuffò. Stan invece sorrise in quel suo modo insopportabile e "Ti ci vuole un caffè per riprenderti, Lou" sentenziò, già con le monete in mano.
"Sarebbe meglio un bel tè" si intromise Marley. "Perfetto per il periodo mestruale."
"Sentite" quasi urlai per sovrastare le risate seguite a quella squallida battuta, "sarò costretto a passare le prossime tre ore qui dentro, con voi. Potreste almeno provare a non rompermi le palle?"
Stan si imbronciò. "Si può sapere che ti prende?"
"No, non puoi saperlo" tagliai corto, mentre Marley "Affari di cuore" sussurrava maliziosa.
Mi alzai, incapace di sopportare ancora la loro presenza. Ma quando mi allontanai, affacciandomi dall'angusta finestra in fondo al corridoio, le loro voci vennero sostituite nella mia testa dalle parole di mia madre. Ritornavano a galla come i resti di una vecchia nave, ogni qualvolta lasciavo la mente a briglia sciolta, permettendogli di vagare nelle torbide acque che in quei giorni avevano rischiato di sommergermi.
E nel risentirne l'eco in testa, pensai che forse sarebbe stato meglio continuare ad ascoltare quei due idioti parlare...

"Lou?"
"Non scendo a cena. Te l'ho già detto."
"Non si tratta della cena, apri."
Sbuffando, abbandonai il mio giaciglio tra le coperte e corsi a girare la chiave nella serratura. 
Una volta dentro mia madre storse il naso, fissò critica il caos nella stanza e poi si passò la lingua sulle labbra, pronta ad iniziare la sua arringa.
Ma io fui più veloce.
"Vuoi sapere cos'è successo con Harry, vero?"
Rimase spiazzata dalla mia domanda così fredda e diretta.
Perfetto, volevo essere io ad avere il controllo della situazione.
"Ecco, io..." tentò, annuendo leggermente.
"Per quale motivo dovrei dirtelo?" 
"Tua sorella è corsa da me in lacrime. Ed io non posso ignorare..."
"Ah Lottie" ridacchiai, ma i miei occhi rimasero spenti, "sempre più emotiva, eh? Venire a lagnarsi da te è diventato il suo hobby preferito."
"Smettila, Lou!" sbottò lei, sedendosi ai piedi del letto. "Non sono qui per farmi prendere in giro."
Io scattai in piedi, come rischiassi di bruciarmi se le fossi rimasto troppo vicino. 
"Certo che no!" ringhiai, percorrendo a grandi passi la stanza. "Sei venuta solo a ricordarmi quanto i miei capricci stiano facendo soffrire la bambine, giusto?"
"Louis..."
"Potresti mandare loro dallo psicologo, già che ci sei. Avere un fratello gay dev'essere davvero devastante!"
Mia madre si alzò sospirando, tentò di poggiare le mani sulle mie spalle, mettendo fine al mio nervoso via vai. "Tommo calmati, per favore."
Ma come potevo calmarmi? 
Come potevo ignorare quel peso sul petto, soffocante come una coltre di fumo, che mi avvolgeva da quando lui se n'era andato?
Come potevo placare la tachicardia, il tremore alle gambe, il bisogno nevrotico e febbrile di muovermi, urlare?
Se avessi trattenuto ancora il corrodente dolore che in presenza di Harry non avevo mostrato, sarei impazzito. Ma non volevo nemmeno che mia madre mi vedesse così.

Per questo "Vai via" le intimai, soffocando un singhiozzo in fondo alla gola.
Lei non accennò a muoversi.
"So che non è stata colpa tua" mi rassicurò, conciliante. "Lottie piangeva a causa di Harry."
"Era solo arrabbiato" sputai, crollando sulla sedia lì accanto. "Non le avrebbe mai fatto davvero del male."
Realizzai di aver appena preso le parti della stessa persona che poco prima avevo respinto, quando mia madre inarcò un sopracciglio e "Avete litigato eppure ti ostini a difenderlo" osservò, sospettosa.
Non potei far a meno di sorridere al suo tono deluso prima.
"Lo difendo perché, al contrario di quanto speravi" sibilai sarcastico, "io ed Harry non abbiamo rotto."

Non ancora, almeno.

Ignorai la voce nella mia testa e fissai invece la donna a braccia conserte e labbra strette, in piedi di fronte a me. Non contraddisse la mia battuta. Non voleva mostrarsi ipocrita ancora una volta.
Le fui grato per questo. 
Quella mattina di qualche settimana prima in quella stessa stanza, piangendo tra le sue braccia, avevo creduto di aver trovato in lei un'alleata. Adesso la dura e cruda sincerità che i suoi occhi mostravano, per quanto dolorosa, mi avrebbe evitato un'altra cocente illusione. 
E non mi sorpresi nel sentire i suoi pensieri trasformarsi in parole qualche secondo dopo quando "Ti avevo avvertito, Lou" sospirò gravemente. "Avevo avvertito entrambi. Sapevate che questo vostro rapporto non era sano."
"E'" ribadii quasi ferocemente, per convincere sia me che lei. "Lo è ancora. Noi stiamo insieme."
Ma sta volta fu lei ad interrompermi, gli occhi ridotti a fessure luccicanti, le labbra sottili come la lama di un coltello.
"E per quanto ancora starete insieme?" mi sfidò, fredda. "Credi di poter portare avanti questa pagliacciata per sempre?"
Mi alzai allora, incapace di contenere la rabbia che si accaniva feroce nel mio petto. 
"Continuerò finché mi pare," ansimai, stringendo i pugni, "e se credi che sia solo un altro modo per ribellarmi o ricevere attenzioni, allora faresti meglio ad ignorarmi. L'hai fatto per il processo e la bocciatura, perché adesso dovrebbe essere diverso?"
Quelle parole colpirono nel segno. 
Mia madre si passò una mano tra i capelli, gli occhi velati, il respiro accelerato, in lotta per trattenere le lacrime.
Nel profondo, sapeva quanto avessi ragione. Come io sapevo che alla fine, per tutti quegli anni, avevo fatto tutto di proposito per deluderla. 
L'affetto che ci legava era sottile e sfilacciato come un filo di spago sul punto di essere reciso da una forbice. Era inutile continuare a fingere che ci fosse ancora amore, o una qualche parvenza di fiducia tra noi.
Eppure lei continuò a cercare di rafforzare quel filo ancora una volta quando, "Lou, non hai capito..." si ritrovò a sussurrare fiaccamente.
"No, sei tu che non capisci" sospirai, gettandomi di nuovo sul letto, "che se fosse solo un capriccio, se io non amassi davvero Harry...adesso non starei così male."


"Louis!"
La voce squillante di Marley mi fece accapponare la pelle.
"Ma non è il tuo amico quello?"
Mi trascinai fino alla finestra da cui lei era affacciata.
Una Mercedes rosso fiammante era parcheggiata proprio lì sotto. Appoggiato al cofano, intento a rollare una sigaretta, un ragazzo scuro, capelli neri, occhiali neri, maglietta nera. 
Sollevò lo sguardo non appena mi affacciai, quasi avesse percepito il miei occhi addosso. 
Mi salutò con un cenno veloce del capo.
Io sospirai. 
Non avevo voglia di stare con lui. Come mia madre, Zayn mi avrebbe ricordato quanto lui avesse ragione ed io torto, riguardo ad Harry. 
Ma sapevo anche che mi avrebbe offerto dell'erba, qualche battuta dal sapore dolceamaro e, soprattutto, il suo silenzio. 

"Conosci gente davvero interessante, Tomlinson."

Sospirai.
Silenzio. Il commento di Stan mi fece capire quanto in quel momento ne avessi bisogno. 
Così mi infilai la giacca, ignorai le loro domande ed uscii dallo stabile, senza uno straccio di permesso che mi consentisse di farlo.
Dieci minuti dopo ero in macchina con Zayn Malik.
Un'ora dopo il direttore Hank comunicò a Cassie che sarei stato licenziato.

Niall  

Dove sei Nialler?
Lessi ancora una volta il messaggio di Zayn, sfiorai i tasti indeciso. Alla fine spensi il telefono, me lo ficcai in tasca, feci scorrere lo sguardo sulla pinetina ombrosa. Riconobbi le altalene arrugginite, la casetta di legno mutilata, le panchine piegate come plastilina molle.
Ero nel posto giusto.
Ne ebbi la certezza quando intravidi Harry. Mi aspettava accovacciato tra le radici nodose dello stesso albero sotto cui ci eravamo seduti poco tempo prima.

Nell'avvicinarmi un brusio sconnesso e sottile mi accolse. Ci misi un po' a capire che proveniva dalla sua bocca. 
Parlava, ma non con me. E neanche al telefono.
Allungai il collo, cercando oltre il tronco dell'albero un'altra figura, ma quando gli fui di fronte realizzai che era solo.
La cosa mi mise i brividi.
"Quindi forse dovrei..." stava dicendo, ma poi si accorse di me e si interrupe bruscamente. 
Un leggero rossore gli tinse le guance mentre "Niall" sussurrava, sollevando lo sguardo. "Ti capita mai di parlare con tua madre?"
Scivolai seduto accanto a lui, nonostante la domanda insensata e gli occhi verdi venati di rosso mi spaventassero.
"Qualche volta, quando mi chiama e fa finta che gli importi qualcosa di me."
Harry annuì, si scrollò i capelli dalla fronte. "E la vedi anche?"
Ci pensai su. "L'ho vista l'ultima volta l'anno scorso, dopo il primo processo."
"Io non la vedo" intervenne, repentino, come a volersi difendere. "Non sono ancora sceso così in basso. Ma ci parlo sempre. Quando sto male, anche più volte al giorno."
"E cos'è che dice?" mormorai, nonostante ogni atomo del mio corpo mi urlasse di non chiederlo.
Harry sospirò, un tanfo malsano di fumo ed alcool giunse alle mie narici.
"Dice troppe cose. Non riesco più a capire se siano consigli o rimproveri." Tossì forte, affondò la testa tra le mani aperte a coppa. "Ma credo che adesso sia arrabbiata" ansimò, roco. "Credo che anche lei mi odi." 
Aggrottai la fronte. "Anche?"
Lui tremò, poi annuì.
"Anche. Come Zayn. Come Louis. Come te."
La mia inquietudine a quelle parole perse consistenza, si sfilacciò come la trama di un vecchio arazzo, i cui fili si intrecciarono a comporre un nuovo sentimento.
Compassione.

"Scusami, Nialler."
Harry colmò il mio silenzio riflessivo con voce imbarazzata. 
"Avevo giurato che sarei riuscito a parlarti da lucido, ma non sono bravo a mantenere le promesse."
"Neanche io lo sono" gli concessi, pensando a tutto il dolore che avevo procurato a Liam, a Zayn, a me stesso, pur essendomi sempre proposto il contrario. "Ma questo non ha mai portato te ad odiarmi, giusto?"
Harry capì dove volevo arrivare e sorrise amaramente. "Quindi non mi odi, Nialler? Non sei deluso per quello che hai scoperto?"
"Sì, lo sono" gli sfilai di mano la cartina che era già pronto a riempire, la sminuzzai in pezzi piccolissimi. "Ma da me stesso. Perché ho preferito crearmi un Harry tutto mio in testa, invece di provare a capire quello vero."
Il riccio scosse la testa, prese ad armeggiare con le tasche, cavandone fuori una semplice sigaretta. 
"Niall, Niall! Saresti capace di difendere anche il diavolo, per poi prenderti tutte le sue colpe."
Ridacchiai, ripensando a quel pomeriggio con Liam e "Sono troppo buono, vero?" chiesi, scettico.
"O forse è chi ti sta attorno ad essere troppo cattivo."
"Questo non è un buon motivo per allontanarmene."
Harry sospirò, assottigliò lo sguardo.
"Sei mai stato ubriaco, Niall?"
Un'altra domanda apparentemente insensata. A quanto pare io ed Harry ci assomigliavamo più di quanto avessi mai creduto.
Scossi il capo mentre lui riprendeva a parlare senza attendere una risposta.
"All'inizio è stupendo, eccitante, ti senti il padrone del mondo. Ma a fine serata, l'unica cosa che riesci a fare, è vomitare"  sospirò. "Io sono come l'ultimissima bottiglia di superalcolico rimasta. Se ti allontani da me, magari riuscirai ad evitarti il dolore della sbornia."
Sbuffai, tentando di ribellarmi alla tetra consapevolezza che le sue parole avevano risvegliato.
"Stai dicendo che non dovremmo più essere amici?"
Lo chiesi come un bambino all'asilo, inquieto e timido, sull'orlo delle lacrime. Harry sorrise per la tenerezza e l'innocua innocenza di quella domanda.
"Esatto, Nialler. Non hai più bisogno di me, ormai."
"Forse hai ragione" tremolai, strisciandogli più vicino. "Ma hai dimenticato un dettaglio essenziale: sei tu adesso, ad aver bisogno di me."
Il sorriso di Harry si allargò. "Sicuro di voler rischiare, rimanendomi accanto?"
Inspirai profondamente. "Una volta un amico mi ha detto che non c'è niente di sbagliato nel voler la felicità di chi si ama. E per questo, sono disposto a rischiare."

La sentii, allora, la delusione che scemava, inutile ed insulsa, nulla più di un'effimera onda sulla superficie piatta del mare, per essere sostituita subito dopo da un affetto sproporzionato. Un affetto paurosamente simile a quello che da sempre mi legava a Zayn.
Vidi riflessa la sincerità e la passione profonda delle mie parole negli occhi dal verde esotico di Harry, e il cuore prese a battere più forte.
Erano vicini, terribilmente vicini. Così tanto che le pagliuzze dorate attorno all'iride parvero accecarmi, che mi sembrò di affogare nelle lacrime luccicanti tra le sue ciglia. 
E in un battito repentino di quelle ciglia, un mare di brividi mi scosse e il fiato si bloccò, sospeso tra le labbra secche e sfibrate.
Le stesse labbra su cui ora si infrangeva il respiro caldo e lento di Harry Styles.
Chiusi gli occhi, deglutii. Perché adesso mi rendevo conto che, come gli occhi, anche la sua bocca era decisamente troppo vicina.

Harry si mosse come a rallentatore. Si chinò sui di me, sospirò piano e poi...poggiò la testa sulla mia spalla.
Ricominciai a respirare solo in quel momento, quando le sue labbra si strinsero attorno ad una sigaretta. 
"Forse è ora che ti racconti di quel video" gracchiò.

Non parlò per molto. Io rimasi in silenzio tutto il tempo, anche quando smise di agitarsi tra le mie braccia, finì di fumare l'ultima sigaretta e la brezza leggera della sera si trasformò nell'aria pungente e penetrante della notte.
Non dissi che lo capivo, che lo biasimavo, non mi azzardai nemmeno a commentare.
Semplicemente lo guardai finché non si fu addormentato, spalle contro l'albero, testa adagiata sul mio petto, mani strette tra le mie.

Solo molte ore dopo, alle prime luci dell'alba, chiuso nella mia camera con una pillola a scivolarmi giù per la gola, riuscii a smettere di pensare ai suoi occhi.
Alle sue labbra. 

Zayn

"Quattro anni, hai detto?"
Liam, alle mie spalle, emise un borbottio d'assenso. 
Aspirai dalla sigaretta, ciccai fuori dalla finestra e "E' un bel po' di tempo" commentai, quasi imbarazzato. "Ti ha detto perché è tornato?"
"Diploma" rispose lui, atono.
Sospirai, gettando il mozzicone ancora acceso fuori e finalmente mi voltai.
Il mio ragazzo era seduto sul suo enorme, ordinatissimo letto, gambe incrociate, schiena curva, libro tra le mani. Anche da quella distanza avrei potuto giurare che stesse leggendo la stessa identica pagina da mezz'ora. 
"Ti va di parlarne?" 
Quelle parole parvero strane a lui quanto a me. Non ero mai stato tipo da chiacchierate cuore a cuore, o dispensatore di consigli e buoni propositi. 
Esclusi mio fratello ed il mio migliore amico, non avevo mai permesso a nessuno di addentrarsi a fondo nel mio essere, di sfondare le barriere di arroganza ed ambiguità, per poter arrivare al mio cuore. Liam ci era riuscito già da un po' e adesso non potevo più fingere che lui, tutto ciò che diceva, provava, o anche solo pensava, non mi importasse.
Sapevo che aveva voglia di parlare del padre, che quel suo silenzio non era altro che una misera facciata pronta a sgretolarsi. Ma per crearmi un varco avrei dovuto mostrargli quanta voglia avessi io di ascoltarlo.

Per questo rimasi deluso quando lui "Sto studiando, Zay" sospirò, tornando a fissare il libro, piccato.
Sbuffai, raggiungendolo sul letto. 
Mi sedetti di fronte a lui, nella sua stessa identica posizione. Lo osservai in silenzio mentre voltava pagine, sottolineava parole per me incomprensibili, si grattava la testa con la matita.
Riuscii ad ottenere la reazione a metà tra il divertito e l'irritato che desideravo, quando finalmente sollevò lo sguardo ed incontrò i miei occhi, poco distanti dai suoi.
"Devi stare per forza così vicino?"
"E tu devi per forza far finta di studiare?"
"I test sono tra meno di una settimana" sbuffò, per poi iniziare a mordicchiare nervosamente la matita.
"Amore" intonai, "mi prendi per il culo? Sappiamo tutti e due che quello che dovrebbe preoccuparsi per i test qui, sono io."
Il cuore esultò nel mio petto quando sul suo viso si dipinse il primo vero sorriso di quel pomeriggio.
"Devo prendere il massimo, Zay," mi spiegò poi, serissimo. "Lui ha sempre voluto che andassi al college."
Gli sfilai via la matita di bocca, la ficcai tra le mie di labbra. 
"Tu invece, Payne? Cos'è che vuoi?"
"In questo momento niente" chiuse gli occhi, poggiò delicato la fronte sulla mia, "a parte te."
Rabbrividii, mentre la sua mano scivolava dolce verso la mia bocca e la liberava dalla matita stretta tra i denti, preparandola a ricevere il suo bacio. Sorrisi prima di accogliere la sua lingua tra le labbra, avvolgerla con la mia, succhiarla dolcemente. 
Fu un bacio breve e terribilmente intenso. Nel suo respiro sottile, nei mugolii appena accennati, percepii quanto vere fossero le sue parole. Mi voleva davvero in quel momento, perché ero l'unica cosa che potesse avere. Ero stato io stesso a sbarrare la strada a tutte le altre opzioni, portandolo a tradire mio fratello, ad ignorare sua madre, ad allontanare Harry.

Harry. 

Il telefono di Liam vibrò in quel preciso istante. Si staccò da me alla velocità della luce, lo afferrò frenetico, sperando di leggere sul display il nome che così tanto odiavo. Ma quando lo gettò tra le coperte ed abbandonò la testa sulla mano, capii che era stato deluso.
Provai un'orrenda, insopportabile morsa allo stomaco nel vederlo ridotto così.
Non so se fosse l'assenza di Harry o la consapevolezza di non essersi pentito per averlo tradito, a farlo soffrire di più. Perché ero certo, anzi sicurissimo, che non considerasse sbagliato l'avermi aiutato. Ed io, in fin dei conti, non lo avevo costretto a darmi quel video. 
Avevamo agito insieme, come marionette legate agli stessi fili, ma con scopi totalmente diversi. Al contrario di me, lui sapeva quanto quel gesto di devozione e fiducia nei miei confronti, gli sarebbe costato.
Per questo non potevo far a meno di ammirarlo adesso, mentre si mordeva le labbra e sospirava, silenzioso e discreto nel vivere quel dolore che per amor mio aveva deciso di sopportare.
"Tornerà, vedrai" mi ritrovai a dire, per quanto strano fosse consolarlo riguardo Harry Styles. "Non può credere davvero di poter vivere in mezzo alla strada, anche se forse se lo meriterebbe."
Liam annuì distrattamente, poi abbozzò un sorriso. 
"Quando mi ha visto piangere per lui, mio padre ha pensato fosse il mio ragazzo."
Sbuffai, cingendogli il collo e strofinando giocosamente il naso contro il suo.
"Ricordati di dire a tuo padre che in fatto di ragazzi, hai gusti decisamente migliori" soffiai tra le sue labbra, prima di baciarlo.
Lui soffocò una risata nella mia bocca, mentre si stendeva supino sul letto, assecondando le spinte lente e lascive del mio corpo. Scalciai via con un colpo secco del piede i libri, avvolsi le gambe attorno al suo bacino, le braccia sulla schiena e lo baciai ancora a lungo, assaporando la tensione e l'ansia che man mano abbandonavano le sue membra, rendendole deboli e malleabili sotto le mie dita, pronte per essere graffiate, morse, spaccate a mio piacimento.
"Sono sicuro" ansimò, quando finalmente mi decisi ad abbandonare la sua bocca ed iniziai a dedicarmi al collo, "che tu gli piaceresti."
"Stiamo parlando di Payne senior, giusto?" sussurrai, mordicchiandogli piano le clavicole.
Lui sussultò, cercò i miei occhi e "Sì" rispose, una volta che mi fui sollevato e li ebbe trovati, lucidi, grandi, terribilmente vogliosi. 
Gli sfilai la maglietta con nonchalance, cercando di limitare la foga che l'erezione nascente tra le mie gambe mi imponeva di usare.
Liam si fece comandare dalle mie mani, come sempre. Poi mi spogliò, lasciandomi baci umidi e leggeri sul petto, giocherellando con la peluria attorno all'ombelico. Gemetti di piacere quando finalmente si decise ad abbassarmi i boxer e circondò il mio membro con le labbra. La sua bocca era calda, attenta, delicata. Rispetto alle prime volte, appena un accenno più sicura, ma non abbastanza da permettergli di non guardarmi negli occhi, alla ricerca ossessiva della mia approvazione, mentre se lo spingeva fino in fondo alla gola e succhiava in modo estremamente controllato. Era incredibile come in suono sporco ed osceno di un cazzo ficcato in gola riuscisse ad apparire così innocuo, tenero, quasi dolce, se la gola in questione era quella di Liam Payne.
"Amo quando mi guardi così" gorgogliai, spingendo piano il bacino contro le sue labbra.
Si liberò la bocca per sorridere. "Così?"
"Come se fossi il tuo Dio." 
Liam accarezzò la mia eccitazione con la lingua. "Io ti guardo sempre così, Zaynie."
"Ma quando me lo prendi in bocca" tentai di spiegare, come fosse un concetto d'importanza vitale, affondando le dita trai suoi capelli ispidi, "è come se tu stessi pregando, capisci? Come se fossi in ginocchio a supplic-"
Il mio monologo si concluse con un'imprecazione, perché adesso la lingua di Liam si addentrava tra le mie natiche, ispezionando con cura il contorno del buchetto strettissimo.
"Allora" se ne uscì, risollevandosi poco dopo con un sorriso, "posso fare una richiesta al mio signore?"
La malizia con qui lo disse mi impedì di trattenere il desiderio arrogante e prepotente che all'inizio avevo ricacciato.
Mi sollevai, lo afferrai saldamente dalle spalle ed un attimo dopo si ritrovò schiacciato con  faccia e ventre contro le lenzuola, le natiche sode ormai libere dai boxer imprigionate tra le mie mani. 
"Se la richiesta riguarda ancora la questione attivo o passivo, vorrei ricordarti che ne abbiamo già parlato" cantilenai, penetrandolo subito dopo con l'indice, senza alcun preavviso. "Solo io posso stare sopra, Leeyum." 
Aggiunsi un secondo dito, beandomi del calore della sua carne, mentre la mia erezione, a contatto con la sua coscia, fremeva.
Lui mugolò, strinse le coperte tra le mani. 
"Stronzo" ansimò, si mise a quattro zampe, liberando l'eccitazione prima bloccata  tra l'addome e il materasso. "Stavo per chiederti se avessi voglia di incontrarlo."
"Il soggetto è sempre mr. Payne?"
"Può darsi."
"E vuoi che risponda alla tua domanda" sbuffai, inspirai, sostituii le dita con la punta calda ed umida della mia erezione, "proprio adesso?"
"Io non...ah" chiuse gli occhi e strinse i denti, inarcò la schiena come un gatto mentre lo penetravo. "Non credo sia necessario."
Gli afferrai i fianchi allora, sogghignai trionfante e "Perfetto" esultai, prima di spingermi dentro con un colpo di reni.
Liam urlò, sbatté i piedi sul materasso, rispose ai miei affondi facendo leva con le braccia. 
Guidai i movimenti dei suo fianchi tenendoli ben stretti tra le mani tutto il tempo, osservando estasiato i muscoli delle spalle che guizzavano, le ossa della spina dorsale a fremere sotto la pelle punteggiata di nei, il sudore a colare dal collo fino alle mie dita, affondate nelle fosse di venere.
Baciai quelle spalle, le morsi, le leccai. Inspirai il profumo inebriante tra la nuca ed il collo, sussurrando il suo nome. Lo baciai, costringendolo a torcere il collo all'inverosimile. Mi godetti il luccichio eccitato dei suoi occhi, un attimo prima di venire imprecando dentro di lui. Lui continuò a masturbarsi, ridendo, mentre uscivo dal suo corpo e lo ribaltavo con la schiena sul materasso. 
Mi fissò grato quando scacciai le sue dita dalla sua erezione e le sostituii con le mie.
"Dì che mi ami, Payne" ordinai.
Lui rise di nuovo, il volto imperlato di sudore, gli occhi socchiusi, le labbra umide.
"Te l'avrò già detto un milione di volte, Zayn."
Anche io sorrisi, aumentando il ritmo del polso. "Ma se lo dici mentre ti faccio una sega..."
"...è come se ti pregassi?" concluse , affogando l'ultima sillaba in gemito.
Venne sporcandomi le mani e il petto mentre "Esatto" mormoravo.

Liam sospirò e "Ti amo" mugolò sfinito, attirandomi a sé per baciarmi.
Accarezzai appena la sua lingua, prima di crollare al suo fianco e "Vuoi davvero che lo incontri?" chiedere dal nulla. "Tuo padre?'"
Lui prese ad accarezzarmi i capelli. "Solo se lo vuoi anche tu."
Ci pensai su un attimo.
No, non volevo. Non avevo mai avuto un padre, non sarei certo stato in grado di confrontarmi con quello di qualcun altro. Ma adesso che Harry non c'era più, Liam si sarebbe ritrovato ad affrontare il ritorno dell'uomo che l'aveva abbandonato da solo. E questo non potevo permetterlo.
Perciò "Sì" sussurrai, abbracciandolo mentre un sorriso così bello da illuminare il mondo intero si apriva sul suo viso.
"Grazie" sbiascicò, la voce ancora roca per l'orgasmo.
Allungò di nuovo il collo per baciarmi quando un "LIAM!" da far accapponare la pelle rimbombò forte nel corridoio. "Cerca almeno di non urlare mentre tu e il tuo amico copulate!"
Lui arrossì fino alla punta dei capelli, io alzai gli occhi al cielo, mentre i borbottii di sua madre si affievolivano. Ma alla fine entrambi scoppiammo a ridere.
"Senza offesa, spero proprio che tuo padre non le somigli."

Jay

"...quindi ho pensato fosse giusto informarla, dato che è l'unica sua parente in città."
Sospirai, sistemandomi meglio il telefono tra guancia e collo. "La ringrazio, signora Payne. Per questo e per tutto quello che ha fatto per Harry fin'ora."
"Non avrei mai potuto cacciarlo a calci fuori di casa, anche se avrei voluto."
Il tono beffardo di quella frase mi irritò, forse perché quella che aveva cacciato Harry via di casa ero stata io.
"Sa per caso dov'è adesso?" chiesi, sperando di finire in fretta quella conversazione.
La donna sospirò. "In un qualche motel, se non sbaglio. Ma non ho tempo di pensare ai senzatetto, il mio ex è appena tornato in città."
"Certo, capisco" tagliai corto, mentre la porta di casa si apriva e Louis faceva il suo ingresso trionfale. "Adesso però devo andare, mi scusi."
Attaccai. La mia preoccupazione per Harry non era neanche lontanamente paragonabile a quella per il ragazzo dagli occhi rossi, lo sguardo vuoto e le guance chiazzate che stava seduto sul divano. 
Mio figlio. 
Ero stata io a ridurlo in quello stato.
"Ti ha chiamato Cassie, vero?" mi apostrofò, non appena misi piede in stanza. "Spero di sì perché sarebbe una scocciatura..."
"Dirmi che sei stato licenziato?" conclusi, stringendomi le mani in grembo. 
Lui ridacchiò, cavò fuori dalla tasca una cartina, dall'altra del tabacco. "Sì, proprio quello." 
"Perché è successo Lou?"
"Perché volevo che succedesse."
Feci per sedermi accanto a lui, ma distogliendo per un attimo gli occhi dal suo drum mi rivolse uno sguardo così carico d'odio, che mi sentii congelare. 
Quegli occhi avrebbero potuto uccidermi. 
Mi spaventarono a morte. 

"Hai saputo che Harry è scappato?" azzardai.
"Il mio migliore amico sta insieme al suo. Quindi sì lo so" gracchiò, indifferente. "Che poi ora che ci penso...nessuno dei due potrebbe essere definito migliore amico."
Storse il muso, come se l'idea gli causasse un dolore fisico insopportabile. Harry non era l'unico con cui aveva avuto problemi, a quanto pare.
"Sai dov'è, per caso?" chiesi cauta.
Scosse la testa, accese il drum. "Non far finta che ti interessi."
"E a te non interessa?" 
Sorrise, ma i suoi occhi rimasero freddi come pietre tombali. "Mi interessa più della mia stessa vita, ma non per questo andrò a cercarlo."
Nel guardarlo, allora, la pena si andò a mischiare alla paura nel mio cuore. Senza che me ne accorgessi, le lacrime iniziarono a rigarmi le guance.
Lui lo notò. 
Si alzò allora, mi venne incontro barcollando.
 "E' triste avere un figlio come me, vero?" sibilò, si passò nervoso la lingua sulle labbra. "Ma piangere non serve a niente. A me non è servito."
Scomparve su per le scale come uno spettro. Non lo seguii né lo richiamai indietro. Sapevo che guardarlo ancora negli occhi mi avrebbe fatto crollare e non volevo farlo di fronte a lui. 
Capii però che aveva ragione. 
Piangere non avrebbe risolto le cose. Dovevo agire.
Per questo afferrai il telefono, digitai l'ennesimo numero di quella giornata e attesi. 
Non dovetti aspettare più di uno squillo.
"Jay, tesoro! Qual buon vento?"
La voce melliflua del mio ex marito superava a malapena il frastuono delle affollate strade notturne di Chicago.
Presi un bel respiro, mi asciugai le lacrime.
"Devo parlarti. Si tratta di Lou."

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