32. HURT

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Harry 

L'autobus rallentò, le ruote fischiarono appena, la frenata ci sbalzò verso dietro.
Poi tutto si fermò.
Il led sul tetto lampeggiava ozioso il nome della nostra destinazione.

Fermata 21, Evergreen Street.

Scesi, scansando una vecchia signora carica di buste, una studentessa con le cuffie alle orecchie e un bimbetto tutto preso dalla sua psp.
Camminai veloce lungo il viale alberato, il marciapiede a scorrermi sotto come un tappeto mobile, l'autobus che rombando riprendeva la sua corsa alle mie spalle.
Camminai veloce per non rischiare di cambiare idea, di risalirci e allontanarmi da lì il più possibile. 
Camminai senza badare alla sfilza di case ordinante, fresche, chiassose, tutte tremendamente simili.
Pur senza dedicare ad ognuna più di uno sguardo, non mi riuscì difficile fermarmi di fronte a quella che cercavo. 
Quella sulla cui cassetta delle lettere campeggiava il nome Tomlinson. 

Tre settimane. 
Esattamente tre settimane erano passate dall'ultima volta che ero stato lì. Eppure mi sembrò che quella casa appartenesse ad un'altra vita. 
Fu come ritrovarsi di fronte un vecchio compagno di studi. Sul suo viso riesci ancora ad intravedere qualcosa di quel sorriso che avete condiviso, ma dagli occhi e dai gesti traspare un senso inconfondibile di distacco, di perdita. La complicità è stata sostituita da un affetto scialbo, nostalgico, legato a quel pezzo di vita di cui lui porta il ricordo.
Così, per me, quella casa non aveva alcun valore, se non quello datogli dalla memoria.
Il fatto che questo straniamento fosse avvenuto in meno di un mese, mi metteva i brividi.
Ma c'era qualcosa che ancora di più mi terrorizzava.
Gli occhi di Louis, languidi e acquosi, e il suo viso rosso, accaldato dal sesso, rimasti impressi nella mia mente.

"Quindi è vero?" la voce ridotta ad un soffio, le labbra quasi immobili. "Li hai cancellati tutti, come mi avevi detto?"
Un sospiro, il cuore a battere a mille, la paura, l'imbarazzo, l'indecisione.
E poi quel "Sì" forte, chiaro, terribilmente falso...

Mentre attraversavo il giardino con il cuore in gola, ripensai anche ad altri occhi, ad un altro viso contrariato e deluso.
Quello di Niall.

Una stretta al petto, l'irrefrenabile voglia di piangere. 
Tutto quello che feci, invece, fu suonare il campanello.
Ad aprirmi si presentò Phoebe.
Il visino bianco latte si distese in un sorriso, mentre i suoi occhi si illuminavano ed "Harry!" esclamava raggiante. "Daisy corri, c'è Harry!"
Un secondo dopo era tra le mie braccia e la sorellina spuntava dal fondo del corridoio saltellando allegramente.
"Harry! Harry! Sei tornato!"

Le presi entrambe in braccio, come ero abituato a fare. Accettai di buon grado i loro baci, le voci stridule a perforarmi l'orecchio, la miriade di domande sconnesse che si inerpicavano l'una sull'altra.
"Sono venuto solo per salutarvi, principesse" riuscii ad articolare alla fine. 

"Come mai, Harreh?" la voce proveniente dalla cima delle scale mi raggelò. "Hai intenzione di partire, per caso?"
Louis era in uno stato pietoso, vestito esattamente come qualche sera prima in soffitta, una canna tenuta con nonchalance sull'orecchio, la barba incolta, i capelli sporchi appiattiti sulla fronte.
E la colpa era di Zayn.
Permisi all'odio che nutrivo per lui di fluirmi dentro, di crescere come una pianta velenosa, mentre adagiavo le bambine a terra per poi salire le scale con passo calmo.
"Credi davvero che liberarsi di me sia così facile?" risposi ad un Louis apatico, che già si incamminava in corridoio.
"No. Ma vorrei tanto lo fosse."

Lo seguii, prima che si barricasse in camera. Era diversa da come la ricordavo.
Più sporca, disordinata, cupa.
I resti delle cene di Lou giacevano su quello che era stato il mio letto. I vestiti sporchi sulla scrivania. Il laptop dalla luce fluorescente, tra le pieghe raggrinzite delle coperte.
"Pensavo volessi salutare le bambine, non me" mi apostrofò, prendendo posto di fronte al pc.
"Appunto. Con te ci devo parlare."
Lui sospirò, come se la sola idea lo stancasse.
"Scusa, ho da fare adesso."
Incollò gli occhi allo schermo, armeggiò con la tastiera un attimo. 
Poi lo sentii. 
Un insieme sconnesso di risatine, gemiti e ansiti risuonò dalle casse del laptop a tutto volume, fortissimo, insopportabile. Mi sembrò addirittura che i muri tremassero, che l'intera casa vibrasse al ritmo di quella malsana melodia.
Ma quando Louis sollevò lo sguardo, quando i suoi occhi congelarono i miei, capii di essere io a tremare, a fremere orrendamente, rischiando di cadere a pezzi.
A pezzi, come ai tempi in cui un altro suono aveva scandito la mia vita. Quello delle campane di una chiesa, un pomeriggio di Febbraio, in cui mi ero ritrovato a portare in spalla una delle due bare gemelle fino al cimitero di Holmes Chapel. 

A Kind Of Brothers? (AKOB?) by NowKissMeYouFoolWhere stories live. Discover now