8. COMPITI A CASA

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Louis

Il rombo del motore della Mercedes sparì mentre mi chiudevo la porta alle spalle, in quell'umido sabato pomeriggio di inizio ottobre.
Ebbi appena il tempo di godermi il fresco dell'atrio, di realizzare che non c'era più Zayn a distrarmi, e che le mie preoccupazioni sarebbero tornate ben presto a tormentarmi,  poi la voce acuta di Daisy mi fece sobbalzare.
Entrai nel salone, scocciato.
"Tommo!" esclamò la piccola, correndomi incontro in lacrime.
Protese le braccia e si agganciò a me con una stretta ferrea. 
"Che c'è?" sbottai, dandole una veloce pacca sulla schiena.
"Niente."
Alzai lo sguardo.
A parlare era stata Lottie, distesa sul divano, il telecomando in mano e lo sguardo esasperato.
"Vuole vedere uno stupido cartone" mi spiegò, indicando con uno sguardo eloquente la più piccola.
Daisy si imbronciò, la sua stretta attorno alla mia vita aumentò.
Me la scrollai di dosso, il più gentilmente possibile e "Non puoi andare a vederlo sopra?" sospirai.
Lei scosse la testa. "C'è Fizzy lì."
Alzai gli occhi al cielo, mi avvicinai al divano.
"Sloggia" ordinai all'altra.
Lottie mi guardò indispettita. "No!" esclamò veemente.
"Tommo è più grande, devi ascoltarlo!" decretò pomposamente la piccola, credendo di avere ormai la vittoria in pugno.
"Ma io sono più grande di te e..."
Sospirai, chiusi un attimo gli occhi mentre il litigio tra le due raggiungeva proporzioni epiche, e mi massaggiai le tempie.
Avere quattro sorelle più piccole non era mai stato il mio sogno. Da bambini poteva anche essere divertente averle sempre in mezzo ai piedi, ma negli ultimi anni erano diventate poco più che sopportabili.
Erano quattro bombe pronte ad esplodere ed  io non ero in grado di disinnescarle.
"Sapete che vi dico?" urlai in fine, facendole tacere. "Stasera la tv è mia."
Afferrai il telecomando dalle mani di Lottie, la spinsi da parte e mi sedetti sul divano.
Ben presto le sue urla di protesta invasero la stanza, accompagnate dal pianto di Daisy.
"Uscite da qui!" gridai, alzando il volume al massimo.
La più grande batté i piedi a terra. "Vedrai quando torna mamma!" minacciò.
L'altra tirò su col naso prima di "Harry! Harry!" piagnucolare, guardando verso la porta.
Il mio cuore si fermò per un attimo.
Lui era fermo lì, poggiato allo stipite della porta, le braccia incrociate sul petto, la solita maglia bianca attillata, i capelli in disordine, e un sorriso mozzafiato.
Ebbi l'impulso di lanciargli il telecomando in faccia.
"Che succede, bellezza?" chiese dolce, abbassandosi per accogliere Daisy tra le braccia.
Non ebbi occasione di ascoltare le spiegazioni singhiozzanti di mia sorella, perché appena Harry distolse lo sguardo, uscii precipitosamente dalla stanza.
Non che mi importasse il fatto che le mie sorelle confidassero più in lui che in me, o che lo chiamassero in causa per difendersi dai miei dispetti; solo, non ne potevo più di averlo in mezzo alle palle.
Era ormai da due giorni che mi stava alle calcagna.
Quando aveva detto che "mi avrebbe studiato", non pensavo che dicesse sul serio. E sopratutto non immaginavo che la situazione sarebbe diventata tanto snervante.
Praticamente me lo ritrovavo sempre di fronte, era quasi un miracolo che non mi seguisse anche in bagno.
Questo non faceva che contribuire al mio stato d'ansia perenne.
Ogni volta che sentivo dei passi, che vedevo una porta aprirsi, o una luce accendersi, mi balzava il cuore in gola; avevo una paura assurda di restare da solo con lui. Le sue domande, i suoi commenti, anche le rare volte in cui non erano espressi con cattiveria, mi mettevano a disagio; ero convinto che lo facesse solo per torturarmi, per ribadire il suo controllo su di me, quindi qualsiasi cosa dicesse, per quanto potesse sembrare innocua o amichevole, minava il mio già precario equilibrio mentale.

Uscii in giardino, respirai l'aria fresca della sera. Il sole stava già tramontando, i raggi rossi tra le foglie creavano un mosaico cangiante di luci sul prato, il frinire delle cicale faceva da sordido sottofondo ai miei passi leggeri lungo il vialetto.
Mi sedetti sul vecchio dondolo, sotto l'unico albero rimasto nel nostro giardino, e mi accesi una sigaretta.
Mi aspettava una serata da schifo.
Zayn aveva una cena di famiglia, l'unica cosa che avrebbe potuto tenerlo lontano da me in quel momento; nessuno sarebbe riuscito a convincerlo a disertare, nemmeno io. Era una questione di dovere, per lui.
Sperai che Harry andasse dal caro vecchio Payne, e mi lasciasse un po' di tregua.
Non ero psicologicamente pronto per una serata in sua compagnia...
"Tua madre sa che fumi?"
Sobbalzai, al suono di quella voce rauca.
Harry era a meno di un metro da me, le mani affondate nelle tasche, le spalle curve, intento a passeggiare con disinvoltura sull'erba.
Chiusi gli occhi e sospirai, tentando di controllare il respiro.
Possibile che la sua sola presenza potesse farmi quell'effetto?
Tirai un'altra boccata e "Certo che lo sa" sbottai, socchiudendo gli occhi.
Continuò ad andare avanti indietro, guardandosi i piedi. "Quindi non è un problema se lo faccio anche io?"
"Non credo."
Si fermò di fronte a me a gambe larghe, si scrollò i ricci dalla fronte con un gesto secco.
"Posso?" chiese, quasi umilmente, indicando il pacchetto che fuoriusciva dalla mia tasca.
Annuii rassegnato, glielo lanciai.
Quanto potevo odiare quei suoi insulsi tentativi di sembrare amichevole?
Si sedette accanto a me, con la sigaretta tra le labbra, mentre cavavo fuori dalla tasca l'accendino.
Ma lui non accennò a prenderlo.
Anzi si sporse verso le mie mani con sguardo eloquente e fare impaziente.
Voleva che gliel'accendessi io.
Sentii il cuore battere dolorosamente nel petto quando accostai le dita alle sue labbra. Sperai che non notasse il tremore della mano.
Con quell'unico, semplice gesto, Harry era riuscito ad ammaliarmi ed umiliarmi ancora una volta.
O forse ero io che ormai interpretavo ogni sua azione come qualcosa di ostile?
Il riccio aspirò soddisfatto, si appoggiò alla spalliera a braccia larghe, puntò i piedi a terra, e iniziò a farci dondolare lentamente.
"Non esci stasera?"
"No."
"Zayn ti ha mollato?"
Sollevai i piedi e mi lasciai trasportare da quel lento oscillare, sperando di rilassarmi.
"No. E tu invece? Payne ti ha mollato?" 
Lui sorrise, soffiandomi il fumo in faccia. "Preferisco stare qui con te."
Tentai di elaborare una risposta sagace ma le sue labbra a cuore, schiuse a pochi centimetri dalle mie, mi distrassero.
Distolsi velocemente lo sguardo, mentre reclinava la testa all'indietro e si portava di nuovo la sigaretta alla bocca. Era uno spettacolo davvero troppo invitante per me.
"Chi altro sa di te e Zayn, a parte me?" chiese con semplicità disarmante.
Quelle sue domande così dirette mi facevano sentire come sotto interrogatorio. Eppure il più delle volte, per quanto odiassi parlare con lui, mi ritrovavo a rispondere con altrettanta diretta sincerità.
"Solo tu, se non l'hai detto a nessun altro." 
"Traquillo LouLou, il tuo segreto è al sicuro."
Lo disse senza sorridere, senza guardarmi. Il suo tono non era sarcastico, né sprezzante. E per un istante, io gli credetti.
Non risposi, gettai il mozzicone a terra, preso dai miei pensieri.
"Da quanto state insieme?"
Sollevai lo sguardo. Adesso Harry mi fissava e sembrava sinceramente curioso.
"Che?" chiesi stranito e imbarazzato dal suo improvviso interesse.
Lui si schiarì la voce. "Tu e Zayn intendo. Da quanto state insieme?"
Scoppiai istintivamente a ridere. Pensare a me e Zayn come ad una coppia era allucinante.
"Non stiamo insieme." 
Harry inarcò un sopracciglio. "Sul serio, se adesso ti metti a negare è davvero patetico." 
"Non sto negando" dissi gelido "Noi siamo amici. E ogni tanto ci divertiamo, tutto qui."
Stavolta fu il suo turno di ridere. "Quindi fammi capire: siete migliori amici, ma quando vi va scopate?"
Scrollai le spalle. "Che c'è di strano?"
"Non c'è il pericolo che uno di voi..." iniziò, agitando le mani. "si innamori, ecco?"
Scossi la testa, sorridendo mestamente al ricordo dei tempi in cui quella era la mia preoccupazione maggiore.
"Ci siamo già passati" sussurrai, più a me stesso che a lui.
Ma il riccio si protese verso di me.
"Cioè?" domandò, gli occhi verdi luccicanti d'interesse.
Io sospirai, indeciso.
Ero pronto a raccontare la mia vita ad un ragazzo che finora aveva fatto di tutto per rovinarla? Potevo confidarmi, sapendo che lui avrebbe potuto usare tutte quelle informazioni contro di me?
Forse sì. 
Perché in fondo, iniziavo a fidarmi di lui.



A Kind Of Brothers? (AKOB?) by NowKissMeYouFoolWhere stories live. Discover now