26. CRY

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Jay

"Jay? Ci sei ancora?"
Fissai l'orologio un altro paio di secondi prima di rispondere "Sì" alla cornetta del telefono. "Scusa Cassie, sono davvero distrutta."
"Lo immagino" fece lei sospirando. "I ragazzi sono tornati?"
Mi costrinsi ad ignorare il groppo che mi stringeva la gola e "No" mormorai.
L'occhio ricadde di nuovo sulle lancette dell'orologio.
Undici e mezza di sera.
Mio figlio e mio nipote erano usciti di casa alle otto e mezza per andare a scuola. Da allora non li avevo più visti.
Avevo ricevuto una telefonata dalla scuola, nel pomeriggio: Louis aveva saltato tutte le lezioni quella mattina.
L'avevo chiamato e non ero rimasta per niente sorpresa nello scoprire che aveva il telefono staccato.
Allora era stato il turno di Harry.
Lui aveva risposto alla prima chiamata.

"Z-zia?" aveva gracchiato. "Che succede?"
"Harry, sei con Lou?"
"No."
"Sai dov'è?"
"No."
"Per favore, Harry..."
"Lo troverò" mi aveva interrotto lui bruscamente. 
Mi ero ritrovata a mormorare un "Cercate di tornare per cena" prima di riagganciare.
Ma l'ora di cena era passata da un bel pezzo. Le bambine erano già tutte a letto ed io mi ritrovavo sul divano, gli occhi lucidi di un pianto rabbioso appena conclusosi, al telefono con l'unica amica disposta a sostenermi in quell'agonia.
"Se non tornano entro mezzanotte" sospirai, "chiamo la polizia."
Cassie sbuffò. "Non credo che la polizia si smuoverà per così poco, cara."
"Cosa dovrei fare allora? Andare a cercarli?" 
"Tesoro mi dispiace, davvero. So che sei preoccupata, ma scommetto che stanno bene e..."

"Mamma?" la figura sottile di Lottie apparve dal corridoio.
"Scusa un attimo, Cassie" sussurrai, mi schiarii la voce e "Perché sei ancora sveglia, amore?" domandai alla bambina che avanzava verso di me.
"Non riseco a dormire" si sedette sulla poltrona, fissò gli occhi fuori dalla finestra, come se anche lei fosse in attesa di qualcosa. "Tu perché sei sveglia?"
"Fa silenzio un secondo" la pregai, tornando a parlare con Cassie.
"Ho pensato ad una soluzione, Jay" trillò quella al mio orecchio. "Qualcosa che non ti costringa ad andare in giro per strada a mezzanotte."
"Sul serio?"
"Sì. Potrei parlare con Charles e chiedergli un appuntamento per Louis."
Scossi la testa. "Louis non è tipo da psicologo."
"Nessuno è tipo da psicologo, se non ha il coraggio di andarci almeno una volta" sbottò lei, "non costa niente provare."
Sopirai. "Ok, provaci pure. Ma probabilmente non ci verrà" l'orologio scoccò la mezzanotte. "Adesso ti lascio, non voglio che resti sveglia per me."
"Oh ma figurati..."
"Grazie Cassie. Buonanotte" tagliai corto, riagganciando. 
Magari aveva ragione, magari Louis non avrebbe rifiutato un incontro con il dottor Charles. Pensai che avere un'amica sposata con un psicologo fosse una vera fortuna.

"E' per Louis, quindi."
La voce fredda di Lottie mi fece rabbrividire. Mi ero completamente dimenticata che fosse ancora seduta lì, sulla poltrona.
"Sì" ammisi stancamente, "tuo fratello è un po' difficile da gestire in questo periodo."
"Immagino. Ma credevo che non ti importasse più nulla di lui."
Quelle parole mi stupirono. "Cosa... che stai dicendo?"
Lei scrollò le spalle. "Ti ho sentito parlare al telefono con papà l'altra sera."
Mi passai una mano sulla fronte.
Avevo detto tante cose che non pensavo, in quei giorni, a troppe persone. E subito dopo averlo fatto, quando la rabbia e la delusione si erano dissipate, me ne ero pentita.
Come avevo potuto urlare in faccia a mio figlio quelle parole?
Come avevo potuto chiamare suo padre in lacrime, pregandolo di portarlo lontano da me?
Mentre adesso, solo il pensiero di ciò che gli sarebbe potuto capitare se l'avessi mandato via, mi faceva tremare.
Era mio figlio e, nonostante tutto, non potevo far a meno di amarlo.
Sospirai.
"Si dicono tante cose quando si è arrabbiati, Lottie. Cose ingiuste di cui poi ci pentiamo." 
"Lo so" fece quella in un sussurro, "mi è capitato di farlo ultimamente."
La osservai rigirarsi il telefonino tra le mani e chiudere gli occhi.
Anche lei stava cambiando, in modo diverso da Lou. Sempre più taciturna e discreta, a volte assurdamente irritante, altre inspiegabilmente triste. Ero convinta che c'entrasse un ragazzo. 
"Vuoi una tazza di tè?" le chiesi quindi, preparandomi mentalmente ad affrontare una bella discussione madre figlia, quando una luce accecante invase il salotto.
La luce dei fari di una macchina.

A Kind Of Brothers? (AKOB?) by NowKissMeYouFoolWhere stories live. Discover now