Il Figlio Dei Miei Vicini

By xkinishinaix

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Non tutti siamo forti, non tutti riescono a trovare la soluzione e uscirne ancora in piedi e senza cicatrici... More

Prologo.
Primo.
Secondo.
Terzo.
Quarto.
Quinto.
Settimo.
Ottavo.
Nono.
Decimo.
Undicesimo.
Dodicesimo.
Tredicesimo.
Quattorcidesimo.

Sesto.

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By xkinishinaix

Come sospettavo, mi sono beccata una sfuriata da parte di mia madre non appena ho messo piede dentro. Erano le dieci passate quando sono rientrata a casa, per di più con la giacca di Nate, senza cellulare, e quindi senza orologio da controllare.
Spero solo che il mio vicino di casa non abbia curiosato nella galleria o nei messaggi. Non che abbia qualcosa da nascondere, certo, ma ci sono foto di me che nessuno dovrebbe vedere.

Sto camminando nei corridoi della scuola. Avevo chiesto alla professoressa di poter uscire perchè non mi sentivo bene, ma la verità è che ho bisogno di respirare e stare un po' da sola.
Stamattina è stato strano non vedere Nate.
Non era in classe alla prima ora, e nemmeno alla seconda e alla terza. Ne manca solo una alla fine della giornata scolastica e lui non si è mai fatto vedere.
Art non sapeva nulla, Maggie e Sophy invece mi hanno soltanto chiesto di ieri sera.
Più di spiegargli che in realtà c'è stato più silenzio che dialogo, non potevo fare, e loro sembrano deluse da ciò. Cosa si aspettavano?

Lo ammetto, quando aveva provato a parlarmi pensavo che per una volta sarebbe cambiato, ma i suoi momenti "no" mi hanno fatto cambiare idea quasi subito. Non è facile capirlo, o capire anche solo perchè con me sia così scostante. Forse deve andare in questo modo inizialmente, magari cambierà qualcosa.
Dovrei dare tempo al tempo, no?

Rientro nell'aula e mi siedo al mio posto, dove ricomincio ad ascoltare la lezione. Non appena il mio sguardo ricade sul quaderno aperto, noto una scritta in matita.

"Nate mi ha appena mandato un messaggio. È ammalato, tutto qui ;) "

Mi volto e Art mi sorride.

"Grazie per avermelo detto, adesso posso morire con l'anima in pace" scherzo contraccambiando il sorriso.

Torno a concentrarmi sullo studio e prendo ancora appunti fino al suono della campanella tanto atteso. Atteso perchè mi manca il mio telefono.

Saluto con un paio di baci sulle guance Sophy e Maggie ed esco con la cartella sulle spalle, dirigendomi verso la casa di Nate.
Suono il campanello e aspetto con una certa impazienza che la signora Wilkinson venga ad aprirmi, ma sulla soglia compare il ragazzo moro, con un colorito spento in viso e due occhiaie ben evidenti sotto gli occhi.

"Ciao"

"Presumo tu sia qui per la giacca ed il telefono" sbadiglia dopo essersi appoggiato alla porta con una spalla. I suoi capelli sono spettinati come non li avevo mai visti, e indossa solo una canottiera grigia e dei pantaloni neri della tuta che gli arrivano fino alle caviglie.

"Già"

"Vieni dentro" dice sventolando la mano in aria, invitandomi ad entrare.

Faccio come ordinato e chiude la porta dietro di me, sbattendola.
Nate si sposta sul divano e ci si sdraia pacificamente, senza aprire bocca.

"Allora... tieni la tua roba" inizio il discorso tendendo il braccio in avanti con la giacca in mano.

"L'hai tenuta per tutto il mattino?"

Lo guardo chiudere gli occhi e tossire.
L'ho davvero tenuta per tutta la mattina? Non l'ho fatto intenzionalmente. Non me ne sono nemmeno accorta, è stato il primo giubbotto che mi è capitato a portata di mano prima di andare a scuola.
Sapeva ancora di sigaretta.
Poggio la cartella sul pavimento in pietra levigata e liscia.

"Lo prendo per un sì?"

"Prendilo come un "sto ignorando la tua domanda in modo cortese"

Alza le palpebre e piega leggermente la testa di lato, appoggiandosi con i gomiti al divano.

"Sei sempre così scorbutica? Non ti ho chiesto nulla di male stavolta"

"Appunto, stavolta. Hai il mio cellulare o hai intezione di farmi stare qui per tanto? Avrei altro da fare" incrocio le braccia al petto con determinazione.
Ora non ho voglia dei suoi giochetti.

"La seconda opzione" mi prende in giro con un sorrisetto, per poi tornare nella posizione iniziale.

Sbuffo.
L'unica cosa che mi dà soddisfazione è sbuffare in questo momento.
Mi arrendo e mi prendo qualche minuto per osservare l'entrata.
La stanza, in cui si trovano due divani color latte, un tavolino ed una televisione posta su di esso, è di forma quadrata ed è spaziosa.
Alcuni muri sono di color argento e altri sono bianchi.
Senza ombra di dubbio, la signora Wilkinson ha buon gusto.
Alla mia sinistra c'è una porta aperta oltre la quale scorgo una penisola in legno e dietro di quest'ultima un camino in cui il fuoco è acceso, mentre davanti a me le scale, un'altra porta chiusa e quella alla mia destra anche.
Sembra accogliente, eppure l'elemento che crea contrasto in tutto questo è Nate.
Lui è sportivo, non direi mai che questo stile gli sta a genio.

"Vuoi sederti?"

"Va bene" annuisco continuando a guardare i particolari della camera. Sopra la tv, incorniciata di nero, si estende una mensola sopra la quale è presente una fila di cornici e fotografie.
In una c'è un neonato fra le braccia dei genitori, in un'altra due sposi, nella terza due bambini di circa sei o sette anni che si tengono la mano teneramente.
Affianco alle foto ci sono un elefantino intagliato nel legno e un paio di coppe. A malapena intravedo nella targhetta "Primo classificato nella categoria Juniores, Jake Wilkinson" e nell'altra invece "Secondo classificato, concorso regionale in scienze della terra, Nate Wilkinson".
Non pensavo avesse un fratello.
Probabilmente è all'università, sennò l'avrei già visto.
Sul tavolino, oltre alla televisione, sono presenti dei giornali di motocross e di sport estremi mischiati a riviste di cosmetica.

"Come sta Sophy?" Domanda attirando la mia attenzione.
Seduto sull'altro divano, guardo la sua espressione impassibile dopo aver pronunciato quella frase, anche se so che a lui importa veramente della mia amica.

"Tutto okay, credo. Ultimamente è un po' persa nei suoi pensieri, ma per il resto è la solita Sophy che conosci. Perchè?"

"Nulla, era tanto per chiedere" fa spallucce.
"Si è sentita la mia mancanza oggi, immagino

"Non più di tanto"

"Scommetto che tu l'hai sentita, più degli altri" mi punzecchia ridacchiando, ma tossisce subito dopo.

"Sai com'è, se senti di continuo una mosca ronzarti nell'orecchio e poi silenzio tombale noti la differenza"  ribatto.
Accavallo le gambe e lascio che la mia schiena aderisca allo schienale del divano.

"Ti piaccio infondo, ne sono certo"

"No, non mi fai alcun effetto. Assolutamente niente. Preferirei solo che le cose andassero bene, ma a quanto pare ti diverti a complicarmi l'esistenza. Ah, è da un quarto d'ora che sono qui. O mi dai il telefono o -"

Vengo interrotta.

"O cosa? Chiami la mamma? La polizia? Le forze armate?"

"O me ne vado. Facci quello che vuoi, hai rotto" tanto prima o poi cedi.

"Te ne andrai lo stesso, che io te lo dia o no" richiude gli occhi, con le mani dietro la testa e il viso rilassato.

"È ovvio, perchè dovrei restare?"

"Non lo so. Comunque il tuo culo è ancora sul mio divano e la tua lingua lunga ancora qui. E se continuassimo la conversazione, passerebbe più tempo di quello che pensi, senza nemmeno accorgertene"

"Stai dicendo che hai intenzione di tenermi in ostaggio per ore?"

Si piega di scatto mentre tutti i muscoli dell'addome si contraggono davanti ai miei occhi.
Non avevo notato quanto fossero definiti finchè non li ho visti in tensione.

"Non ha importanza. Ti porto quel cellulare del cazzo e finita lì" si innervosisce e mi lascia sola, sparendo in una delle stanze dalle porte chiuse, e ne esce pochi secondi dopo con il mio amato telefono in mano. Ma perchè arrabbiarsi e scattare così? Non gli ho detto nulla di offensivo stavolta, ero solo curiosa. Non ho fatto apposta. Vederlo teso come una corda di violino mi spaventa quasi.

Lancia il cellulare sul divano e mi guarda mentre me lo rimetto nella tasca dei pantaloni. Si dirige verso l'entrata di casa sua e sentendomi in colpa cerco di fermarlo dall'aprire la porta.

"Aspetta Nate"

Appena la mia mano gli sfiora il braccio, si blocca e mi prende il polso. Mi lamento per il dolore che mi procura la sua stretta, ma nonostante veda la mia espressione dolorante, non alleggerisce la presa.

"Spero per te che sia la febbre a farti agire, e non il tuo cervello pacato! Cosa ti passa per la testa? Solo perchè ho chiesto una domanda in più, te la sei presa come se avessi detto la peggiore delle offese!"

"Vattene e basta se hai tutta questa fretta, vattene come te ne sei andata ieri!"

"Con piacere"

Lo spingo con tutta la forza che ho in corpo, prendo lo zaino da terra ed esco velocemente.
Tiro la porta dietro di me così in fretta che dopo aver sbattuto contro la serratura, si apre di nuovo.
Corro verso casa e dopo aver prelevato le chiavi dalla tasca dei jeans, entro.
Mi lascio scivolare sulla superficie piatta e alta fino al pavimento, sfinita.
Le lacrime scendono lungo le mie guance, mi bagnano le labbra, il petto, e non provo neanche ad asciugarle. Fa male non poter cambiare il nostro rapporto, vedere che non riesco a far quadrare le cose.
Sono stufa di quel ragazzo. In tre giorni mi ha fatto impazzire come mai nessuno altro e mi fa venir voglia di evitarlo a tutti i costi, desiderare che non mi parli, che non mi guardi, che non respiri il mio stesso ossigeno!

Mi dirigo in camera mia e mi lancio sul letto a pancia in giù, stringendo il cuscino e urlandoci contro. I miei capelli ricadono ovunque sul materasso, la mia maglia si è sollevata leggermente sui miei fianchi e i miei occhiali sono appannati per il pianto e il calore che emanano i miei zigomi.
Batto i pugni sulle coperte e mi lascio andare, passando così minuti che diventano interminabili, come se le riserve di gocce salate dentro di me non avessero una fine.

Una vibrazione sul fianco attira la mia attenzione.
Estraggo il cellulare dalla tasca e tampono le palpebre con le maniche della maglia per schiarirmi la vista, quindi leggo il contenuto del testo.

Da "numero sconosciuto":
Hey, sono Art. Spero non ti dispiaccia che io abbia il tuo numero (se vuoi sfogare la tua ira, la colpevole è Maggie). Come stai?

Ridacchio per la frase tra parentesi e gli rispondo prontamente con un "potrebbe andare meglio, e tu?".

"Non c'é male, che succede?"

Sospiro.

"Hai da fare?"

"Tra cinque minuti mi libero, vuoi uscire per parlarne? (Anche se in realtà immagino già quale sia il problema)"

È così evidente il fatto che io e il mio vicino di casa non andiamo d'accordo?

"A casa mia, ti aspetto"

Compongo l'ultimo messaggio e tento di sistemarmi - o meglio, nascondere le tracce di pianto - pettinandomi i capelli e coprendo il contorno occhi con del trucco.
Mi guardo allo specchio, stiro con le mani la maglietta e alzo i pantaloni, giusto in tempo per udire bussare.

Scendo ed invito dentro Arthur, che non appena apro mi regala un sorriso caloroso e dolce.

"Dimmi tutto, non sembri molto sù di morale" si preoccupa.

"Già... non esattamente"

Ci sediamo sul divano e mi preparo mentalmente.
Riavvolgo il nastro dentro di me e gli racconto per filo e per segno ciò che è successo nella casa affianco alla mia.
Art non si perde nulla di quello che racconto, e per la prima volta da quando sono arrivata mi sento capita.

"Conosco Nate, ma questa mi è nuova. Non l'ho mai visto comportarsi in questo modo con qualcuno, di cui sa poco soprattutto. Sei la prima persona che tratta come se non avesse alcuna sensibilità, ed è proprio questo che non mi torna. So che lui sembra uno stronzo" alzo il sopracciglio e si corregge, "okay, è uno stronzo delle volte"

Alzo anche l'altro sopracciglio e ridacchia.

"Va bene, è uno stronzo, lo so. Ma in fondo in fondo, da qualche parte nel suo cuore, non fa così schifo.
Anzi, comprende ciò che una persona nasconde meglio di chiunque altro. Sto dicendo la verità"

"E allora perchè continuare a fermirmi? Non ne trae nulla"

Il biondo sbuffa e si tortura le dita intrecciandole e rilassandole continuamente.

"Forse si annoia"

"Certo, tutti ci annoiamo ogni tanto, ma non complico la vita a qualcuno solo per divertirmi"

"Nessuno lo fa, tranne lui. Mi dispiace, ci parlerò"

No, no, no e no.

"Arthur lascia perdere, non importa. Me la so cavare da sola quando si tratta di risolvere le cose, grazie comunque per essere venuto a confortarmi. Lo apprezzo più di quanto potresti immaginare" lo ringrazio.

Mi osserva come se stessi scherzando, ma sono totalmente seria. Sono sempre riuscita a fare pace con la gente con cui ho litigato in precedenza se era quello che volevo, ma onestamente non so se desidero sul serio andare d'accordo con Nate. D'altro canto, non posso sapere se tra noi potrebbe mai esserci del feeling, e se cercando di essere sua amica lui farà lo stesso.
Mi ha deluso spesso per averlo conosciuto solo tre giorni fa, le mie speranze sono poche ormai e non riesco ad immaginare nemmeno un sorriso sincero da parte sua.
Sarebbe surreale, bello ma surreale.

"Ne sei sicura? Potrei farlo ragionare"

"Sì, penso che evitarlo sarebbe la soluzione migliore, non credi?"

Lo vedo insicuro, ma annuisce.
Forse solo per compiacermi nonostante non condivida la mia idea.

"Vuoi rimanere per cena?" propongo.

"Oh... scusami, ma stasera non posso davvero. Che ne dici di un pranzo insieme, domani?"

Gli sorrido e accetto felice la sua proposta, per poi cominciare a parlare di noi. Mi parla della sua passione per il basket, della sua gatta bianca dagli occhi verdi, e di tutto ciò che gli piace.
Sottolinea il fatto che ama la pizza e io non posso fare a meno di ridere vedendo la sua espressione sognante. Ridiamo, scherziamo, ed io mi sento sempre meglio. È un ragazzo veramente divertente e simpatico, non credo potrei mai pensare altrimenti.
Il problema subentra quando arriva il mio turno di parlare di me, e non ho molto da dire.

"Non c'è molto da sapere. Mangio quello che il mio stomaco mi permette di mangiare, ma hai ragione, la pizza è la pizza. E riguardo le attività fisiche, ho solo praticato equitazione, non sono una tipa sportiva, devo ammetterlo"

"Pur sempre meglio di nulla, no?"

"Immagino di sì" ridacchio.

Arthur dà una veloce occhiata all'ora sul suo telefono e si alza dal divano.

"Heath, devo andare, sono in ritardo e i miei potrebbero tirarmi qualche piatto se non mi muovo" dice dispiaciuto.

"A domani allora, corri" rido accompagnandolo alla porta.

Prima di uscire, però, mi sorride un'ultima volta.

"Spero di averti aiutato, stai meglio? So di non aver fatto molto, mi dispiace"

"Non ti scusare, anche solo parlare del problema aiuta. Grazie per essere venuto, qualcun altro non lo avrebbe fatto"

"Non c'è di che, ciao Heather" mi saluta, mentre lo seguo con lo sguardo sventolando la mano prima di vederlo scomparire in fondo alla mia via.

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