Terzo.

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Secondo giorno di scuola, seconda volta in cui cercherò di comprendere come funziona qui dentro, dove si trovano i luoghi che frequenterò più spesso, come arrivare alla classe senza dimenticarmi da che parte girare quando mi ritrovo alla fine del corridoio d'entrata.
Avevo previsto che non sarei riuscita a capire subito la piantina dell'edificio scolastico, ma di certo non mi aspettavo che sarei stata così persa.
Spingo verso il basso la maniglia della porta e faccio il mio ingresso in tutta tranquillità - oggi non sono in ritardo, ho giocato d'anticipo - e mi blocco sui miei piedi quando vedo arrivare Nate.
E sta venendo verso di me.

"Richards! Tutto okay?" domanda con un sorrisetto strano. Non ho la forza di chiedermi cosa gli passi per la testa.

"Alla grande, a te invece?" ricambio il saluto. Se è davvero solo di buon umore, tanto vale approfittarne.
Incrocia le braccia e si appoggia alla colonna della scuola guardandomi dall'alto al basso.

"C'è qualcosa che non va?" chiedo controllando di non avere i pantaloni blu sporchi di marmellata di mirtilli, altrimenti non saprei come fare a rimediare dato che la camicietta bianca non sarebbe abbastanza lunga per coprire il danno.

"Assolutamente nulla. Mi stavo solo ponendo una domanda" scrolla le spalle.

Lo guardo con aria interrogativa, già pronta a una presa in giro.

"Cosa?" lo incito a proseguire.

"Nessuna gonna scozzese oggi?" ridacchia provocandomi un po' di tristezza. Sapevo che c'era qualcosa sotto.

"No" rispondo prima di allontanarmi mentre la sua risata mi deride.

Ho riflettuto ieri sera dopo essermi stesa sul mio letto.
Sul trasferimento, su di me, sulle prese in giro di Nate. Molto probabilmente è semplicemente un idiota e non dovrei farmene una questione personale, ma non posso fare a meno di chiedermi se ci sto mettendo del mio nel farmi prendere in giro.

Sento dei passi dietro di me, e pensando che sia lui mi volto di scatto pronta a chiedergli che problema abbia, ma invece di scorgere i suoi corti capelli scuri vedo quelli lunghi e castani di Maggie.

"Oh, ciao" le dico senza entusiasmo.

"Ciao nuova arrivata!" esclama, ignorando il mio tono. Non sono nemmeno le otto del mattino, dove la trova la voglia di essere così allegra?

"Potresti chiamarmi solo Heath?"

"D'accordo, solo Heath" allunga la lettera e in modo scherzoso.
Rimango seria ma un secondo dopo - per non farla intristire - fingo un sorrisetto.

"Andiamo? Vorrei essere puntuale per la lezione"
Prego mentalmente che si muova e che non mi faccia fare la stessa fine di ieri con una delle sue commissioni.

Annuisce energica e mi afferra la mano per poi trascinarmi di corsa davanti alla porta dell'aula dove si terrà la prima ora di letteratura inglese.
Appoggio la schiena al muro mentre calmo il fiatone e una volta stabilito un respiro regolare decido di entrare. Giuro che apprezzo la sua vitalità in fondo, ma fare movimento di prima mattina mi snerva.
Comunque, amo essere in orario.
Vado a sedermi al posto assegnatomi il giorno precedente poggiando i libri e l'astuccio sul banco pulito e liscio, sospirando quando il mio sguardo ricade sull'orologio appeso dietro la cattedra.
Mancano dieci minuti all'inizio.
Meglio di così non potrebbe andare, e non lo dico in modo sarcastico.
Afferro dalla cartella il mio quaderno più piccolo, quello in cui di solito scrivo qualsiasi cosa mi passi per la testa quando non ho impegni, e finisco col fare qualche scarabocchio qua e là. Spesso scrivo poesie.
Sono contenta di aver trovato un passatempo che mi faccia smettere di pensare anche solo per alcuni minuti: quando scrivo chiudo gli occhi, appoggio il mento sulla mano e lascio che la testa produca qualcosa. Di solito le parole escono da sè e riesco a distrarmi dal resto, anche se pensare che qualcuno le legga mi imbarazza.
Quando sto per finire di disegnare l'ultimo petalo di un girasole, una gomma sulla schiena mi fa girare.

Il Figlio Dei Miei Vicini Where stories live. Discover now