Il Figlio Dei Miei Vicini

By xkinishinaix

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Non tutti siamo forti, non tutti riescono a trovare la soluzione e uscirne ancora in piedi e senza cicatrici... More

Prologo.
Secondo.
Terzo.
Quarto.
Quinto.
Sesto.
Settimo.
Ottavo.
Nono.
Decimo.
Undicesimo.
Dodicesimo.
Tredicesimo.
Quattorcidesimo.

Primo.

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By xkinishinaix

Stropiccio le palpebre con le dita e mi stiracchio protendendo le braccia verso il soffitto ad occhi chiusi. Prendo un respiro profondo a pieni polmoni, godendomi la pace dei primi secondi dal risveglio.
Una volta riaperti gli occhi il mio sguardo ricade sulla finestra.
Le tende sono ancora una accanto all'altra e non lasciano che qualcuno possa vedere la camera dall'esterno.
Ne scosto una rivelando una figura che si muove al di là del vetro della casa affianco. Il guardone.

Con uno scatto chiudo di nuovo le tende per non farmi cogliere sul fatto e mi vesto frettolosamente davanti alla specchiera con un maglione color bianco candido infilato in una gonna scozzese bordeaux che mi arriva a qualche centimentro sopra il ginocchio.

Sospiro nel momento in cui liscio gli indumenti con le mani e mi copro un po' di più, tirando in giù la gonna e le maniche del maglione.

Rialzo la montatura nera degli occhiali sul naso e mi assicuro per l'ultima volta di essere apposto girandomi di spalle senza smettere di guardarmi, per poi strisciare con le ciabatte sul pavimento liscio verso il bagno privato della mia stanza.
Sono fortunata ad averne uno tutto mio ora, era così irritante dover aspettare che anche gli altri finissero i loro comodi, e la maggior parte delle mattine erano lentissimi. Non c'era da meravigliarsi se poi, per colpa loro, arrivavo in ritardo a scuola.

Apro il getto d'acqua fresca e mi bagno il viso con essa, quindi lo rialzo e osservo le goccioline scendere dalle mie mani, lentamente, e mi asciugo con un panno. I miei capelli sono un disastro, perciò con la spazzola li sistemo come meglio posso e dopo aver finito scendo al piano inferiore, dove mia mamma mi dà il buongiorno con un soffice bacio sulla fronte.

"Dormito bene?"

"Sì, anche se non mi è piaciuto passare la notte al buio" rispondo mentre mi siedo tranquillamente davanti a lei a tavola.
Ho sempre temuto il buio, fin da quando ero piccola e guardavo i film dell'orrore con papà: ne ero così terrorizzata che impazzivo quando dovevo andare a dormire.

La donna aggrotta le sopracciglia.
"Potevi aprire le tende, no?"

Non posso di certo dirle "sai, un tizio ieri mi fissava in modo poco casto e ho deciso di non aprirle" o cose del genere, altrimenti andrebbe dai vicini armata di bombe a mano.

"Non ci avevo pensato" mento mentre infilo in bocca un pezzo di muffin ai lamponi.

"Ah" annuisce.

Cala il silenzio e si sente solo il ticchettio della sua forchetta sul piatto ogni qualvolta prende della torta dal piatto.

"Oddio devo andare a scuola!" Esclamo.

Mi ero dimenticata che oggi fosse il mio primo giorno, e non ero l'unica visto che anche mamma strabuzza gli occhi ed in fretta e furia si pulisce i lati della labbra col tovagliolo.

Cerco l'orologio e mi accorgo che manca solo un quarto d'ora all'inizio della prima lezione.

Mi getto sulla cartella e corro alla porta, davanti cui mia madre mi attende con le chiavi dell'auto in mano.

"Pronta?"

"Pronta, andiamo!" La incito salendo di corsa nella macchina.

Mette in moto e sfrecciamo verso la scuola, e grazie a Dio arriviamo giusto prima che la campanella suoni. Sfortunatamente sono comunque in ritardo dato che devo compilare alcuni documenti dalla bidella, sempre se riuscirò a trovarla.

"Buona fortuna pulcino" sorride quando ci fermiamo.

"Mamma..." la rimprovero per quel nomignolo "... è imbarazzante".

"Ma se non ci sente nessuno!" ride battendo una mano sulla mia spalla.

Mi saluta con affetto e scendo dalla vettura con l'agitazione di chi sta per mettersi in un casino.
Provo a tranquillizzarmi con un sospiro e stringo i pugni mentre entro in quella che sarà parte del mio nuovo inizio ad Oxford.

Fuori l'edificio è moderno e i muri sono stati dipinti di recente di bianco e bordeaux, mentre all'interno il pavimento è ricoperto da piastrelle lucide e pulite. "Mi piace" penso girando su me stessa per scrutare ciò che mi circonda, quando all'improvviso qualcuno mi colpisce con prepotenza la spalla, quindi mi volto per chiedere scusa nonostante non abbia fatto nulla di sbagliato, ma vedo soltanto una ragazza dai capelli scuri raccolti in uno chignon disordinato, indaffaratissima a raccogliere i suoi libri e quaderni caduti per terra.

"Perdonami perdonami, non intendevo venirti addosso!" Balbetta timida rialzandosi.

"Tranquilla"

Mi piego sulle ginocchia per prendere un block notes che si era scordata di mettere in cartella e glielo porgo gentilmente.

"Grazie" ringrazia caricandolo nello zaino.

"Non c'è di che" le sorrido.

"Sei nuova? Non ti ho mai vista qui" domanda squadrandomi curiosamente da testa a piedi, provocando in me una risata sommessa.

"Sì, Heather Richards" mi presento stringendole la mano.

"Piacere, Maggie Lindemann".

Mi stritola il busto con le braccia e finalmente mi lascia respirare dopo alcuni interminabili secondi.

"Potresti indicarmi per favore dove si trova la bidella? Non riesco ad orientarmi" accenno insicura.

"Certo! Effettivamente dovevo andare anch'io da lei" enuncia.

"Ottimo!"

Conosco già qualcuno; comincio a sentirmi più sollevata adesso che so di non essere l'unica imbranata.

Saliamo una scalinata e mi porta all'ufficio delle bidelle, dove una signora dal viso chiaro e segnato dall'età ci accoglie seria.

"Che ti serve stavolta, Maggie?" si acciglia da dietro un bancone mentre mastica una chewing gum rumorosamente.
Che antipatica.

"Sempre gentile, eh? Comunque mi servono due cartelloni gialli da... aspetta" comincia a parlare quando dalla tasca dei jeans sfila un bigliettino di carta "ah sì, un metro per cinquanta centimetri".

La bidella va nella stanzetta dove credo tengano il materiale per gli studenti e ritorna con due rotoli sotto un braccio, che appoggia sul bancone incurante del fatto che si sarebbero potuti rovinare.

"Lei ha bisogno di compilare i moduli per entrare" le dice riferendosi a me.

Sbuffa.

"Tieni" mi lancia un plico di fogli e segna cosa devo firmare o leggere, e una volta finito Maggie mi accompagna in classe.
Ho già perso minuti preziosi, e di sicuro mi prenderò una sgridata dal professore se non è uno di quelli che perdonano.

Prima di fare ingresso, Maggie mi ferma.

"Allora: devi sapere delle cose" si fa seria.

"Di che si tratta?"

"Sta' lontana da Wilkinson" consiglia.

Cosa? E chi sarebbe? Il cognome mi suona familiare, ma non riesco davvero a ricollegarlo ad alcun viso.
Mi limito ad annuire anche se non so a chi si stesse riferendo, quindi bussa alla porta e quando un professore canzona un "avanti" entriamo nella classe.

"Ancora in ritardo, Lindemann? Oggi niente nota solo perchè mi sento buono. Al suo posto!" La richiama mandandola ad un banco in seconda fila.

"E lei? Dev'essere la ragazza nuova".

E siamo a tre che mi definiscono con "la ragazza nuova".

"Richards?"

"Heather" continuo per lui.

"Beh Richards - marca di nuovo sul cognome, facendomi ribollire il sangue nelle vene per il nervoso - si sieda vicino a Lindemann".

"Va bene" sussurro per mascherare il nervosismo mentre tutti mi guardano in silenzio.

Percorro il corridoietto fra le file di banchi sotto gli occhi dei miei compagni e mi siedo.
Vorrei sparire, odio avere tanta attenzione su di me. Immagino di avere le guance bollenti.

"Psst" qualcuno mi chiama dai posti della fila a lato della mia.

Mi giro da quella parte e mi accorgo con gioia che sono capitata nella stessa aula del guardone. Com'è che si chiamava? Ah già, Nate Wilkinson! Ecco di chi era quel cognome.

"Ciao" agito una mano nella sua direzione, e in risposta odo una risata.

Infastidita, ascolto la lezione ignorandolo più che posso quando prova a distrarmi.
Non voglio perdermi delle lezioni il primo giorno di scuola.
Stranamente dopo circa cinque minuti tace e passano indisturbate quattro ore.

"Occhialona! Bello essere nella mia stessa classe, vero? Dovresti sentirti lusingata" ammicca Nate avvicinandosi a me mentre mi alzo dalla sedia, e Maggie fa "no" con il capo.

"Ehm...devo uscire" rispondo frettolosamente mentre la castana rimane a guardarmi la schiena. Mi dispiace lasciarla con lui, domani inventerò una scusa per averla piantato in asso così.

"Occhialona" sapevo che facevo schifo con gli occhiali, "molte grazie per avermelo ricordato".
Prima che mi possa fermare, scappo all'esterno e mi rifugio per piangere, sola, dietro una siepe che circonda l'edificio.
Fa così male quando mi vengono detti in faccia quei nomignoli stupidi, quelle offese inutili. La gente non si stanca mai di continuare a buttarmi giù così? Ne ho le tasche piene di cosa provo ogni volta che mi viene affibiato un "quattr'occhi, occhialona, sfigata" e vorrei davvero tanto far sentire agli altri come si soffre.

Lascio che gli ultimi singhiozzi mi aiutino a sfogarmi e asciugo le lacrime con il dorso della mano.

Con gli occhi ancora gonfi per il pianto, esco allo scoperto e torno sulla strada di casa, percorrendola a testa bassa e le cuffiette nelle orecchie mentre Fools di Troye Sivan mi ricorda la mia infanzia, la mia vecchia casa.

Sono fatta così. Nutro da molto il desiderio di cambiare, e adesso che ne ho la possibilità, la spreco miseramente perchè un idiota mi ha lanciato una frecciatina.
Nemmeno in una giornata di sole come questa - che in Inghilterra sono rare, e di sicuro domani diluvierà - riesco a stare serena.

"Hey" mormoro rincasando.

"Ciao" arriva solare e sorridente dalla cucina mia madre.
Nel momento in cui si accorge che ho pianto, si rabbuia.

"Per cosa stavolta?" Chiede premurosa.
Sa che piango spesso, che sono una di quelle deboli; finora solo lei mi è rimasta vicino sul serio e mi ha rincuorata.

Guardo verso l'alto per non riniziare a piangere e rispondo: "il solito".

Mi abbraccia teneramente e mi accoccolo al suo petto.

"Suvvia tesoro, non devi ascoltarli...sei bellissima e lo sai. Insomma, guardati" mi accarezza la nuca.

Non rispondo.
Mi lascio solo andare, ancora.

Odio tutto questo.

"Speravo solo che al primo giorno potesse davvero essere come nei film, che fosse non dico perfetto ma almeno buono. Non pensavo che sarei finita di nuovo con il piangere, mi dispiace mamma"

"Di cosa ti dispiaci? So che ci stai provando, Heath. Essere sensibili non è un delitto, ma devi farti la corazza, e quella arriva con il tempo e con esperienze come quelle che stai vivendo. Andrà meglio"

"È quello che continuo a dirmi ma-

"E sii paziente"

"Ci proverò".

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