Stranger in Moscow

By dearangelharry

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Louis Tomlinson è un'uomo di ventiquattr'anni, il quale apparentemente ha tutto ciò che una persone della sua... More

Prologo
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Calitolo 21
Epilogo

Capitolo 9

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By dearangelharry

«Eccolo là.» dissi notando attraverso il finestrino della macchina un ragazzo moro seduto su una panchina di un parco del tutto isolato. Quel giorno mi sarei davvero divertito tanto. Infondo quelle persone meritano solo di soffrire.

«Vladimir, veniamo con te?» mi chiese Blake, uno dei miei amici, iniziando a sorridere perché anche lui, come me, vedeva la futura fine per quel ragazzo.

«No, andrò io inizialmente, ma voi state fuori dalla macchina così che quando vi chiamerò, potrete venire.»

«Va bene.»

Scesi dalla macchina con un sorriso del tutto recitato sulle mie labbra e pian piano mi avvicinai al ragazzo. Non appena mi vide, il suo sguardo si rabbuiò per un secondo, ma l'attimo dopo deve aver per forza collegato le cose perché un sorriso apparve sulle sue labbra.

«Ei.»

«Ciao, come ti chiami?» fu questa la prima cosa che gli dissi.

«Alexander.» rispose arrossendo quasi. Patetico, non potevo davvero credere che al mondo esistessero persone del genere.

«Pensi davvero che io sia come te?»

«Cosa intendi, scusa?»

«Che sia un fottuto frocio?»

«Ma-»

«Ma nulla. Dove cazzo hai la testa? Sei per caso stupido?»

«Perché mi parli in questo modo? Io non ti ho fatto niente.»

«Ti parlo così perché mi fai schifo. Sei un mostro e persone come te non dovrebbero nemmeno esistere a questo mondo.»

«Non ci posso credere che tu stia dicendo queste cose...» disse iniziando ad indietreggiare evidentemente impaurito da ciò che gli avrei potuto fare.

«Ragazzi, guardate, qua abbiamo un frocio.» dissi richiamando gli altri che in men che non si dica circondarono quel ragazzo intimidendolo sempre di più. Esso provò a scappare via, ma prima che potesse far qualsiasi cosa, lo presi per l'orlo della maglietta e lo spinsi conto la ringhiera dietro di lui. Notai che stava iniziando a piangere e non potei davvero trattenermi dallo sputargli in faccia, cosa che fece aumentare il suo pianto.
Blake e Jacob furono subito lì a tenerlo fermo tenendolo per le braccia, mentre io e gli altri miei due compagni iniziammo a picchiarlo come era giusto che fosse.

«L-lasciatemi stare, vi prego.»

«Ti ho detto che puoi parlare?» gli chiesi tirandogli i capelli. Lui scosse la testa negando e dopodiché gli tirai un calcio nello stomaco così forte che gli fece perdere la poca forza che aveva nelle gambe per potersi tenere in piedi. Cadde a terra, ma di certo non l'avrei lascito libero. Infatti il secondo dopo ordinai a Blake e a Jacob di fermargli le braccia standoci semplicemente sopra in piedi. Il ragazzo urlò in preda al dolore, ma non mi fece nessun effetto, anzi, mi fece davvero ridere. Continuai a dargli ripetuti calci, non solo al suo stomaco, ma anche al suo fiso. Continuai finché non notai una gran pozza di sangue attorno a noi e il ragazzo privo di sensi. Il suo viso era del tutto inguardabile.

«Mi fai schifo, spero che brucerai all'interno. O per lo meno, che dopo tutti questi colpi che ti abbiamo dato, tu riuscirai a tornare normale come lo eri una volta.»

Io e gli altri ci mettemmo a ridere, come facevamo al nostro solito ogni volta che picchiavano o facevamo del male a persone come loro. Infondo, avrei voluto ridurlo peggio, ma non ero mai arrivato ad uccidere una persona, forse negli anni a venire sarei anche arrivato a quel punto, ma per il momento non c'ero ancora arrivato. Quelle persone devono capire una volta per tutte che se continueranno ad essere così, bruceranno dritte all'inferno, perché non sono nient'altro che dei peccatori. Perciò l'unico modo per farglielo capire, è facendogli del male.

-

Quel pomeriggio si gelava dal freddo. Non che fosse una novità, ma sembrava che quel giorno lo fosse molto di più rispetto agli altri. Mia stava riposando nella sua cameretta, mentre io ed Eleanor eravamo sdraiati nel letto della nostra camera matrimoniale. Avevo la schiena appoggiata alla testiera del letto, posizione che mi ricordava il momento in cui ero stato con Harry, con un braccio cingevo i fianchi magri di Eleanor, mentre quest'ultima aveva la testa appoggiata al mio petto. Le stavo accarezzano delicatamente i capelli e nel frattempo stavo pensando e ripensando ad una soluzione per la mia vita che in quel momento era davvero incasinata più di ogni altra cosa.

«Eleanor.»

«Dimmi, amore.»

«Credo che ho bisogno di un po' tempo per pensare.»

«Mi stai lasciando?» chiese alzandosi improvvisamente dalla posizione in cui era per mettersi seduta sul letto. I suoi occhi mi guardavano pieni di rabbia.

«Cosa? No, non era quello che intendevo. Intendo dire che vorrei tornare a Londra per un po' e pensare alla mia vita. Starmene per un po' da solo.»

«Ma tu hai me e hai tua figlia. Dovresti essere gia felice così come sei.»

«Tutti hanno bisogno di pensare nella vita.»

«Non ti capisco, davvero.»

«So solo che mi sento come se tutto ciò che ho ora, è sempre stato ciò che ho sempre voluto, ma mai quel qualcosa di cui avrò bisogno.»

«Louis, non fare lo sciocco. Tu non hai bisogno di nessun tempo. Forse sarà la stanchezza a farti parlare in questo modo.»

«No Eleanor. È possibile che non riesci mai a capirmi?»

«Ci provo, ma non è colpa mia se non ce la faccio.»

«Sei mia moglie, se non te, chi meglio dovrebbe capirmi.»

«Finiscila, Louis.»

«È assurdo.»

«Okay, sai cosa? Se vuoi andartene, vattene, parti e vai nella tua amata Londra. Ma quando ritorni, se la tua testa non torna come quella di una volta, saranno guai seri. Non credo di poter passare la mia vita con un uomo così confuso e pieno di stupide pretese.»

«Scusa? Oddio, meglio che faccia i bagagli e vada a prenotare il primo volo. Credo che un po' di distanza ci farà bene ad entrambi.» mi alzai dal letto dicendo quelle parole, dopodiché sbattei la porta alle mie spalle con tutte le intenzioni di andar al piano di sotto, accendere il computer e prenotare il primo volo per Londra. Non mi importava del costo, non mi importava delle ore di volo, volevo soltanto trovarmi lontano il più possibile da quella città, quel luogo che ultimamente mi stava facendo sentire più soffocato che mai. Ma se dovevo essere sincero, non sapevo se fossero le persone a farmi sentire così, o il luogo in generale.

«Cosa dirai a Mia?» sobbalzai nel sentire la sua voce alle mie spalle.

«Le dirò semplicemente che devo andar via per un po'.»

«Adesso che mi ci fai pensare, il tuo concetto di "andar via per un po'" in cosa consiste?» si mise seduta sul divano accanto a me, mentre io stavo controllando i possibili voli.

«Non lo so.»

«Louis, se vuoi lasciarmi e scappare, fallo pure, ma dimmi almeno la verità, non inventar cazzate come prima in quanto hai bisogno di andar via. E per di più, anche se sono la madre di Mia, quella bambina non mi sopporta, non lo fa e basta, ma seppur mi addolora, voglio che tu la prenda con sé.»

«Innanzi tutto non ti sto lasciando. Sto solo dicendo che voglio del tempo per me stesso. E seconda cosa. Mia è tua figlia, l'hai portata tu dentro al corpo per nove mesi ed è solo colpa tua se non sei mai riuscita a farti amare da lei. Ma credo che questo sia un tuo di problema, perché farti amare, non è una cosa semplice per te a quanto pare.»

«Cosa vorresti insinuare?» disse alzando la voce così tanto, che la domanda venne fuori come un urlo di rabbia. In men che non si dica, Mia scese le scale del tutto assonnata, ma con un viso leggermente spaventato per quello che stava accadendo. La tensione in quella stanza era davvero alta.

«Papà?» presi Mia in braccio tenendola stretta a me, ma a quanto pareva non voleva calmarsi. Così l'unica soluzione che mi venne in mente fu una sola.

«Aspettami qua, non voglio che Mia assista alle nostre sceneggiate.»

«Non portare Mia da quel fro-» non le diedi nemmeno il tempo di completare la frase che la porta di casa venne subito chiusa alle mie spalle. Mi diressi a passo svelto verso la casa di Harry, l'unica persona di cui mi fidavo a questo mondo, l'unica persona che ne sapeva davvero qualcosa sull'amore e della vita.

Nonostante il nostro distaccamento, era come se ogni strada di portasse sempre e solo a lui.

Bussai ripetutamente alla porta, finché un Harry appena svegliato e con il pigiama, non venne ad aprirmi. Se prima il suo sguardo era del tutto assonnato, vedendomi , in tre secondi si svegliò del tutto.

«Louis?»

«Harry, scusa se ti disturbo ma-»

«No tranquillo, tu non disturbi mai.» rispose nel modo più dolce che poteva esserci, in esso non c'era nessuna malizia o allusioni, niente di niente se non pura gentilezza.

«Grazie, è una storia lunga, ma potresti per piacere tenere Mia con te per qualche ora?»

«Certo, dalla pure a me.» disse allungando entrambe le braccia verso di me. Le diedi mia figlia in braccio e da qual momento, come ogni volta, mi sentì più al sicuro di averla data in mano sua.

«Grazie.» gli sorrisi. «Mia?»

«Sì?»

«Ti voglio bene, amore, sempre.» le dissi dandole un bacio tra i capelli e accarezzandole una guancia.

«Anch'io papà, anch'io.» sorrise felice.

Ringraziai la sua ingenuità nel non capire cosa stesse accadendo. Forse dopo quel momento, non l'avrei più vista per alcuni giorni, ma preferivo non dirglielo così, non mi avrebbe mai lasciato partire.

«Ora vado, grazie ancora Harry.»

«Figurati.»

Una volta che la porta venne chiusa, corsi verso casa mia aprendo la mia di porta. La discussione sarebbe andata avanti per molto, ne ero certo.

«Dov'è Mia?» chiese, portando entrambe le mani lungo i suoi fichi, in tono più arrabbiato che mai, per di più guardandomi anche male.

«Con Harry. Ma non è questa l'ora di parlarne.»

«Lo sarà invece, se non ora, dopo lo sarà.»

«Tornando al discorso precedente, stavo solo dicendo che con il tuo comportamento, non è semplice capirti.»

«Si che lo è invece. Sono una persona di bell'aspetto e simpatica, a chi importa del resto?»

«A me! A me, cazzo! Non ci hai mai pensato?! Io non sono come te, perché tu sei una di quelle classiche persone che si limitano solo all'aspetto esteriore, quello interiore a momenti non sa manco che esiste.»

«Smettila con queste cazzate. Nessuno a questo mondo importa del proprio aspetto interiore. E io credo che non sia importante.»

«E ti stai ancora chiedendo perché Mia non vuole stare con te?» questa risposta sembrò lasciarla destabilizzata per alcuni minuti. Era ovvio che lei non avrebbe mai capito nulla. Infatti, non fece altro che cambiare discorso. Ovviante non le conveniva parlare di quell'argomento.

«Comunque sia, non voglio che Mia stia con quel frocio!»

«Non chiamarlo così e poi che problemi hai contro di lui?»

«Può influenzare nostra figlia!»

«Ma cosa stai dicendo? Ti prego dimmi che non intendi quello a cui sto pensando io.»

«Louis, la sua è una malattia, tutti quelli come lui lo sono! Come puoi essere così cieco?»

«Perciò se Mia un giorno venisse da te e ti dicesse che si è innamorata di una ragazza?»

«Non esiste, non accadrà mai.»

«Tu metti caso che accada.»

«Sono due donne, non esiste amore tra di loro.»

«L'amore non ha genere.»

«Non le concepisco queste cose. Per me sono un peccato troppo grande che la persona sta commettendo.»

«È pur sempre tua figlia, dovresti amarla incondizionatamente da chi ama o da com'è.»

«Non posso, mi dispiace.»

«Non posso credere di aver sposato una persona come te.» dette quelle parole, forse persino a detta mia, un po' troppo forti, tutto ciò che accadde, non lo avrei mai immaginato. Eleanor mi spinse malamente contro la parete del muro e il secondo dopo mi diede uno schiaffo in pieno viso.

«Sei tu ad esser cambiato, tu non sei più la persona che eri quando ti ho conosciuto!» lacrime silenziose bagnavano il suo viso, la mano giaceva lungo i fianchi e la sua voce riecheggiava ancora tra le pareti di quella casa.

«Quando ci siamo incontrati la prima volta, quando ti ho rivolto per la prima volta la parola, avevo diciotto fottuti anni. Ero un ragazzo, ovvio che in dieci anni una persona cambia e matura. Non ci pensi mai a questo?»

«Sì.»

«Non puoi pretendere che torni quello di una volta. Non puoi pretendere di andare in discoteca ogni sera, di dormir fuori in mezzo ad una strada, di andar dove ci pare o di ubriacarci ogni sera. Ora ho delle responsabilità moto più grandi e non intendo tirarmi indietro.»

«Vai e fa quel che vuoi, non sarò io di certo a fermarti.» Eleanor si volse e con passi lenti e pesanti, si allontanò da me lasciandomi solo in quella stanza fin troppo grande e buia. Dovevo assolutamente andarmene il prima possibile.

-

«Allora amore, visto che fuori fa tremendamente freddo, credo che saremo costretti a restare a casa.» io e Mia eravamo seduti sul tappeto della sala di casa mia. Ero sicuro che a Louis fosse accaduto qualcosa, l'avevo notato innanzi tutto dal fatto che mi avesse affidato Mia senza alcun preavviso e poi dal fatto che aveva degli occhi pieni di tristezza e un viso del tutto stanco. Ma per il momento avevo deciso di non fargli domande, speravo solo che prima o poi sarebbe venuto da me a dirmi cosa fosse successo. Mi faceva male vederlo stare male per persone che non si meritavano il suo amore. Louis meritava qualcuno migliore di Eleanor, non smetterò mai di dirlo.

«Cosa facciamo?» mi chiese gettandosi addosso a me, circondandomi il collo con le braccia e guardandomi con quegli occhi azzurri che solo un'altra persona a questo mondo poteva avere.

«Tutto ciò che vuoi.»

«Harry?»

«Dimmi, piccola.»

«Ma tu mi vuoi bene?»

«Certo che te ne voglio, perché me lo stai chiedendo?»

«Perché prima ho sentito parlare papà mentre diceva che mamma non mi vuole bene.» il suo sguardo si rattristò per un momento, ma credo che anche il mio cuore ebbe la stessa reazione nel sentire quelle parole.

«Mia, quello che il tuo papà voleva dire, è che tua mamma nel profondo del suo cuore, ti vuole bene, io ne sono certo, solo che lo fa in modo diverso.»

«Vuoi dire in un modo speciale?»

«Esatto, sì. In un modo speciale, un modo che solo lei sa.»

«Ho capito, grazie. Posso dirti un segreto?»

«Certo, tutto quello che vuoi.» Mia mi abbracciò temendomi stretto contro di lei, fin quanto la sua forza glielo permettesse.

«Molte volte vorrei che anche tu fossi mio papà.» se prima il mio cuore batteva normalmente, il secondo in cui sentì quelle parole, credo che accelerò così tanto che ebbi davvero paura che potesse venirmi un attacco di panico. Quelle erano state le parole più dolci che qualcuno potesse avermi mai detto in vita mia. Era quasi surreale. Ovviante non sapeva che dietro a quelle frase potevano esserci migliaia di sfondo, sfondo di ogni colore possibile e immaginabile, dal più colorato, al più scuro. Certo, ammetto che molte volte avevo pensato a come sarebbe stato bello avere Mia come una figlia, e ancora di più, ammetto di aver pensato a come sarebbe stato trascorrere la mia vita con Louis e Mia come una normale famiglia. Ma questa è un'altra storia, storia di cui non so se avrò mai il coraggio di parlarne.

«Anch'io sarei felice di averti. Ma aspetta, mi stai dando per caso del vecchietto?» le chiesi iniziando a farle il solletico. Era una bambina e di certo non le avrei fatto un discorso che solo persone adulte potevano affrontare.

«No!» Mia iniziò a ridere nell'esatto momento in cui iniziai a farle il solletico sui fianchi, la presi in braccio e tra le risate la portai nella mia camera in cerca di qualcosa da fare.

Quando smisi di farle il solletico, si alzò subito dal letto e andò verso qualcosa che aveva attirato la sua attenzione posto accanto all'armadio. La mia chitarra. Mia la prese tra le mani e, essendo quasi grande come lei, ci stava quasi per inciampare sopra.

«Suoni qualcosa, Harry?»

«Solo se ti unisci a me, principessa.»

«Ci sto!» sorrisi nel vederla così entusiasta, ma allo stesso tempo ero felice di averla fatta sorridere come forse non accadeva da tempo. Se ne avessi avuto la possibilità, avrei sempre passato il mio tempo a farle vivere la sua età senza farle sentire già il peso di questo mondo. Così iniziai a suonare una canzone completante a caso, la prima che mi venne in mente, tanto bastava che fosse allegra e la situazione sarebbe migliorata. In seguito iniziai a cantare.

«Ma sei bravissimo!» disse Mia stupita portandosi le mani davanti alla bocca. Risi per la sua reazione e le feci cenno con la testa di unirsi a me. E così accade, perché poco dopo, si unì anche lei a me, stava cantando parole a caso, ma era la cosa più divertente di sempre.

«Papà sa suonare il piano e tu la chitarra. Voi due potete suonare insieme e io posso essere la cantate!» disse Mia entusiasta tra una strofa inventata e un'altra. Sorrisi ancora di più a quelle parole e il mio cuore si riscaldò all'idea di suonare con Louis e trascorrere un pomeriggio come quello descritto dalla piccola Mia. Ogni giorno ero sempre più grato di aver incontrato Louis e di avere sia lui che Mia nella mia vita.

Non mi ero accorto che Mia avesse trascorso la notte da me, fin quando di prima mattina, qualcuno non venne a bussare incessantemente alla porta di casa mia. Ancora con il sonno negli occhi, andai ad aprire la porta, trovandomi una Eleanor del tutto arrabbiata e per niente felice.

«Dov'è mia figlia?»

«Cosa vuoi? Mia sta bene.»

«Cosa vuoi tu! Dammi Mia.»

«Sta dormendo, è di sopra e poi Louis me l'ha affidata a me ieri pomeriggio, non vedo dove sia il problema.»

«Il problema sei tu qua. Mi sa che ti stai intromettendo nella storia sbagliata.»

«Non ho mai voluto intromettermi tra te e Louis.»

«Io e mio marito eravamo felici prima che tu arrivassi nella nostra vita.»

«Non ne sarei così certo.» sussurrai, ma forse venne fuori come una vera e propria frase a voce alta perché il risultato fu uno schiaffo in pieno volto.

«Portami Mia e sparisci dalla nostra vita.»

Quella donna era la persona più imprevedibile che avessi mai conosciuto in vita mia. Non potevo credere che potesse arrivare persino al punto di alzarmi le mani addosso, questa era l'ultima cosa che avrei mai pensato. Così senza obiettare, andai da Mai e la presi in braccio mente stava ancora dormendo. Alla fine, lei era pur sempre sua madre, al mio contrario, aveva ogni diritto su di lei.

«Sta ancora dormendo.» le dissi porgendogliela delicatamente. Ma a quanto pare lei non la pensava come me, perché non ci mise tanto a strapparmela via dalla braccia.

«Ribadisco: non intrometterti più nella nostra vita.»

«Tranquilla, uscirò dalla tua fottuta vita!»

«Tesoro, dimenticavo: Louis è partito, credo che non lo rivedrai per un bel po'.»

----------------
Note autrice

Ciao a tutti!
Volevo dirvi che scrivere la parte iniziale del capitolo dal punto di vista di Vladimir è stato davvero davvero difficile, perché riuscire ad entrare nella mentalità di quel genere di persone non è facile e sincerante non so nemmeno come ho fatto.
Ad ogni modo, io ovviamente sono a favore dei diritti delle persone della comunità lgbtq e per qualsiasi cosa o domanda, potete sempre rivolgervi a me. Grazie per tutto e ci vediamo al prossimo capitolo.

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