Ira. La Sindrome di Didone (V...

Oleh ChristinaMikaelson

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"Perché io sono un bamboo e tu sei il vento che mi fa oscillare ma non mi spezza" Volume 3. N.B: è necessario... Lebih Banyak

Premessa 🏛🏛🏛
Dedica
Prologo (Non editato)
1. (Non editato)
2. [1/2] (Non editato)
2. [2/2] (Non editato)
3. (Non editato)
4. (Non editato)
6. (Non editato)
7. [1/2] (Non editato)
7. [2/2] (Non editato)
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5. (Non editato)

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Oleh ChristinaMikaelson


Adriano si scostò dal muro su cui erano attaccate le fotografie e, dopo averle fatto fare un piccolo salto per evitare che gli scivolasse via dalle braccia, la riportò sopra il letto.

Avevano il fiatone e non riuscivano a smettere di accarezzarsi, come se le mani si fossero incollate alla pelle dell'altro e non volessero saperne di separarsene.

Si appagarono di nuovo con più calma, godendosi ogni attimo con un piacere quasi masochistico, e poi stettero a fissarsi negli occhi senza dire niente, incorniciati da un'aura di pace.

Adriano le stava sdraiato accanto a pancia ingiù con le braccia incrociate sotto la testa e il viso ruotato verso di lei, mentre lei lo guardava girata di fianco con il mento sostenuto dal palmo.

Cat da alcuni minuti faceva scorrere placidamente l'indice sulla sua schiena muscolosa, saliva sulla nuca e poi scendeva sul fondoschiena coperto in parte dal lenzuolo. L'unica fonte di luce proveniva dalle porte del balcone, le quali filtravano dei debolissimi raggi lunari che disegnavano figure tremolanti sul profilo statuario del ragazzo.

Dovevano essere le due e mezza circa, non ne era tanto sicura, aveva perso completamente la cognizione del tempo.

«Grazie per essere venuto» Cat spezzò quel silenzio con una voce rauca e assonnata, aggiungendo all'indice tutte le altre dita. Se Adriano le avesse dato retta all'inizio e se ne fosse andato avrebbe trascorso l'intera serata ad ascoltare gli aneddoti di gioventù di sua nonna anziché a letto con lui. Il biondo sospirò d'apprezzamento per i grattini languidi e allungò il braccio per giocherellare con un ciuffo dei suoi capelli. Oramai erano liberi dall'elastico, finito chissà dove in quel trambusto di corpi, lenzuola e vestiti.

«Non dovrei essere io a ringraziare te di questo?» la pungolò con quel sorriso insolente e sensuale che faceva mordendosi il labbro inferiore. Il suo viso era quasi totalmente inghiottito dall'oscurità, le uniche parti distinguibili erano gli occhi di ghiaccio, con quelle pupille così poco dilatate da dare l'impressione che la notte non potesse mai calare su di loro, e i denti bianchi.

«Sei un coglione!» sbottò Cat con un sorriso incredulo a incresparle le labbra, per poi sferrargli uno schiaffo sulla spalla. Adriano scoppiò a ridere con un'espressione trionfante e la afferrò a tradimento per farla rotolare sopra di sé.

Neanche Cat riuscì a trattenere una risata, sebbene ci avesse messo tutto l'impegno possibile. Restava incantata quando lui rideva in quel modo, le fossette facevano capolino sulle sue guance e si ritrovava a pensare che al mondo non esistesse niente di più bello. Portò le braccia dietro la sua schiena per stringerlo ancora di più a sé.

Amava la sensazione che le scatenava il corpo di lui quando aderiva al proprio; era meraviglioso sentirselo premuto addosso, avrebbe voluto restare appiccicata alla sua epidermide fino a perdersi dentro. Ciascuna parte di se stessa combaciava con quelle di Adriano come se fossero dei pezzi di un modellino a incastro. Il seno che si modellava al suo petto, i capezzoli di entrambi che si accarezzavano, il naso di Cat che sembrava essere stato plasmato apposta per infilarsi dentro la cavità della sua clavicola; le fessure create dai muscoli in contrazione delle sue spalle che corrispondevano alla perfezione alla forma delle falangi di lei.

Il sorriso spensierato si affievolì sulle labbra del biondo per lasciare spazio a un ghigno malizioso.

«Però ti piace questo coglione...» soffiò con gli occhi inchiodati alle sue labbra, di cui prese a tracciare il contorno col pollice. Aveva usato una cadenza ambigua, la sua non era né una domanda aperta né un'affermazione, quasi fosse alla ricerca di una conferma ufficiale.

Cat si fece subito l'idea che volesse farglielo ammettere solo per gonfiare il proprio ego e non perché ne dubitava sul serio.

«Mh... piacere è una parola grossa. A volte ti trovo gradevole» gli concesse con un esagerato tono di superbia, che però faceva a pugni con la venerazione racchiusa nel suo sguardo ogni volta che lo guardava di nascosto.

«Che figa di legno» le mugolò Adriano nell'orecchio con un che di estasiato, fingendo di trovare eccitante la cosa. Le spostò i capelli per mordicchiarle il collo con dei succhiotti e Cat si ritrovò a respirare con più affanno.

«Poco fa non ti sembrava tanto di legno, anzi: ti piaceva...» gli rinfacciò con un pizzico di risentimento, e spinse dispettosa la propria intimità contro il suo sesso. Adriano ansimò e se la schiacciò addosso per restituirle il favore: Cat si morse le labbra per impedirsi di sospirare allo sfregamento del suo membro tra le cosce.

«Piacere, non esageriamo. È gradevole» imitò il suo tono schizzinoso con una luce furba negli occhi. Cat poté leggervi dentro la soddisfazione di averle dimostrato che la sua risposta non era stata molto gratificante. Quel detto e non detto era un po' come il paradosso del gatto di Schrödinger: finché non apri la scatola il gatto può essere sia vivo che morto.

Finché lei non lo avesse ammesso, avrebbe continuato a soddisfare il principio dell'incertezza: le sarebbe piaciuto e non le sarebbe piaciuto nel medesimo tempo.

«Mi piaci quando stai zitto...» mormorò per ripicca con un tono flebile e il naso affondato nel collo di lui. Adriano nel frattempo faceva scorrere i polpastrelli sui suoi fianchi con un'aria assorta.

Immersa nel suo profumo, Cat sentì le palpebre farsi pesanti e socchiudersi contro la sua volontà: si ostinava a tenerle spalancate, a non cedere al sonno, perché aveva questa irrazionale paura che lui si sarebbe dissolto per magia nel nulla se lo avesse fatto.

Adriano la trasse di più a sé e le districò i capelli con delicatezza.

«Perché non provi a dormire?» le suggerì in un sussurro roco.

«Non voglio» si lamentò Cat come una bambina capricciosa, premendo con fermezza la guancia sul suo petto.

Aveva una voglia matta di giocare a unire con la lingua tutti i nei sparsi sul suo busto, ma si sentiva esausta.

Adriano si sollevò un po', nonostante il peso di lei che gli gravava sopra, e si sporse verso il comodino, dove oltre ai suoi occhiali vi era adagiato un libro.

Accese l'abatjour tirandone la cordicella e sorrise in un moto spontaneo nel leggere il titolo. Cat non si era mossa di un centimetro, continuava a tenere il viso pressato sul suo torace e a cingerlo come un pupazzo, quasi volesse impedirgli di scappare. Adriano lo aprì nel punto in cui era stato sistemato il segnalibro, senza smettere di tenerla accoccolata a sé con l'altro braccio.

«"Donna, io ti giuro per la lor deità, per la salute d'ambedue noi, che con quest'occhi li vidi qui dentro in chiaro lume; e la sua voce con quest'orecchi udii. Rimanti adunque di più dolerti; e non le tue querele né te né me più conturbare. Italia non a mia voglia io seguo". E più non disse» prese a leggere sottovoce, forse convinto che sarebbe caduta presto in coma grazie a quella strategia.

Lo stomaco di Cat fece una capriola al suono del suo timbro graffiato che recitava uno dei suoi passi preferiti.

Ascoltare Adriano leggere l'Eneide era forse più eccitante di sentirlo parlare in latino o vederlo tradurre una versione.

Non era per niente monocorde, la sua voce assumeva un sacco di sfaccettature, avrebbe potuto ascoltarla per ore senza stufarsi mai.

Sarebbe riuscito a farle quell'effetto anche leggendo la lista della spesa, ce l'aveva innato quel potere di far pendere chiunque dalle sue labbra.

Quella voce era un maleficio, una volta che l'ascoltavi non riuscivi più a liberartene, come se fossi condannato a cercarla nella bocca di chiunque.

«Ella, mentre dicea, crucciata e torva lo rimirava, e volgea gli occhi intorno senza far motto. Alfin, da sdegno vinta, così proruppe: "Tu, perfido, tu sei di Venere nato? (...) "Ahi da furor, da foco rapir mi sento! (...) Or va', che per innanzi più non ti tegno, e più non ti contrasto. Va' pur, segui l'Italia, acquista i regni che ti dan l'onde e i venti. Ma se i numi son pietosi, e se ponno, io spero ancora che da' venti e da l'onde e da gli scogli n'avrai degno castigo; e che più volte chiamerai Dido, che lontana ancora co' neri fuochi suoi ti fia presente: E tosto che di morte il freddo gelo l'anima dal mio corpo avrà disgiunta, passo non moverai, che l'ombra mia non ti sia intorno. Avrai, crudele, avrai ricompensa a' tuoi meriti, e ne l'Inferno tosto me ne verrà lieta novella".»

Cat scivolò nel mondo onirico quasi senza rendersene conto, con ancora nelle orecchie le parole di Virgilio che fungevano da ninnananna e la sensazione di trovarsi esattamente dove avrebbe dovuto essere. Il luogo in cui doveva tornare.

Le classi si trovavano sul pullman a due piani che le stava portando in albergo, ovvero nel pieno centro di Barcellona.

Cat teneva il dito adagiato sul pulsante verde del cellulare, sopra la voce "Elimina", senza mai decidersi a schiacciarlo.

Il suo sguardo malinconico era incatenato a quella foto che Adriano aveva scattato a casa sua e si spostava a intervalli di tempo regolari per confrontare il ragazzo sorridente immortalato lì con quello seduto qualche sedile più avanti.

Li fissava a turno e si ritrovava a pensare che nemmeno fisicamente sembrassero la stessa persona. Ci provava con ostinazione a individuare i loro punti in comune, ma senza successo.

Il ragazzo della foto aveva un sorriso da capogiro con cui avresti voluto fare l'amore per ore, mentre l'altro... l'altro era solo il feroce assassino del primo.

Lei e Adriano si erano seduti di tacito accordo con altre persone, d'altronde erano già stati insieme in aereo, nessuno avrebbe trovato sospetto vederli separati, si era detta.

Era stata Beatrice a proporle di sedersi insieme, forse per prendersi una pausa dalla logorrea di Ludovica.

Il senso di colpa per quello che era successo in bagno con Leo l'aveva colpita dritta allo stomaco non appena le aveva rivolto la parola. Cat non capiva più chi diamine fosse diventata, era come se si fosse persa dentro quell'ossessione assurda di essere chi doveva e non chi voleva. Un tempo si sarebbe ritenuta una brava persona e un'amica leale, ma ora sentiva di non essere più nessuna delle due cose.

Aveva deluso Micaela e Leonardo, le persone più importanti della sua vita dopo i suoi genitori, non dovendo fare altro che tirare fuori il suo lato più oscuro. Un lato che nemmeno con tutta la sua buona volontà sarebbe riuscita ad annientare.

Leo le aveva detto di non essere in sé quando l'aveva baciata a casa sua e lei ne invidiava da morire la presa di coscienza. Quella cattiveria era estranea al suo modo di essere, un vestito che non gli stava per niente bene addosso e che chiunque gli avrebbe strappato per smascherarlo.

Ma se Leo poteva crogiolarsi in quella meravigliosa sicurezza, giurare di non essere quella persona e dissociarsi da essa, lei non si sarebbe potuta giustificare nella stessa maniera.

Perché lei era l'egoista che si era infischiata dei suoi sentimenti. Era l'ipocrita che si era vantata di essere superiore agli altri per poi rivelarsi tale e quale a loro, e non poteva difendersi con "Non ero in me".

Era in sé, anche se lei non voleva ammetterlo.

Perché la sua parte più meschina tentava di accampare scuse, di mitigare il suo rimorso bisbigliandole malignamente che Bea non era migliore, avendo tradito Leo con Fabrizio; che in fondo lei aveva baciato un ragazzo single e quindi non avrebbe dovuto porsi tutti quegli scrupoli.

Leonardo aveva ragione: era spregevole ed egoista come Adriano.

Aveva creduto a lungo di essersi limitata a parare o a incassare i suoi colpi, di aver attaccato perché costretta; invece, non lo aveva colpito solo per sopravvivere, lo aveva fatto anche per uccidere.

È stato lui? Mi ha fatto diventare lui così?

Pensaci: è stato Adriano a fartici diventare o lo sei sempre stata?

"La modestia è per i mediocri. Non per persone come noi"

"Come noi?"

"Davvero non l'hai ancora capito?"

«Ma come, Cat, hai lasciato Adriano solo soletto?» esordì Alessia Bonanno dal sedile posteriore con un tono da presa in giro, ridendosela con la sua amichetta accanto. «Stai attenta, qualcuno potrebbe rubartelo.»

Cat stritolò il cellulare tra le dita con un ringhio.

Alessia si rivolse poi a Beatrice, una falsa espressione contrita le solcava il viso appuntito.

«Oh, Bea, mi dispiace tanto per te e Leonardo. Vedo che si è consolato presto con Eva Santamaria» continuò a blaterare con una pietà fasulla, del tutto incapace di nascondere quanto le piacesse godere delle disgrazie altrui.

Bea le suggerì di lasciarla perdere, peccato che lei non potesse cogliere la frecciatina maligna nelle sue parole. Alessia doveva aver visto Adriano provarci con un'altra all'aeroporto, questo spiegava le occhiatine divertite che le aveva lanciato al gate.

Te la sei presa con la stronza sbagliata, tesoro.

Cat si voltò a mezzobusto verso le due compagne e sorrise loro in maniera affettata.

«La tua amica lo sa che se fosse stato per te non saremmo neanche qui?» esclamò tagliente e ad Alessia d'un tratto passò tutta la voglia di fare la spaccona. L'altra compagna le rispose con uno sguardo confuso, non capiva a cosa si stesse riferendo. Dopo il famoso discorso di Adriano, i suoi compagni si erano interrogati spesso su chi potesse essere l'autore della scritta, ma nessuno era ancora risalito a lei.

Cat volle colmare quella lacuna all'istante, nonostante Bea le avesse tirato la manica della maglietta per farla girare e le avesse intimato di non abbassarsi al suo livello. La bionda non poteva sapere che aveva già toccato il fondo: si era abbassata al livello di Adriano, sarebbe stato impossibile cadere più in basso di così.

«Sai, ad Alessia nel tempo libero piace commissionare murales» le confidò sottovoce, ostentando quel sorriso subdolo che aveva preso in prestito da Adriano.

«È dura essere respinte, vero?» concluse infine con un'inflessione allusiva, certa che la ragazza avrebbe capito.
Alessia abboccò alla provocazione e la incenerì con lo sguardo, era fumante di rabbia.

L'aveva messa in ridicolo davanti a una delle sue tirapiedi e, per di più, le aveva rinfacciato il rifiuto umiliante di Nicola.

Cat le riservò un ultimo sogghigno mellifluo, prima di darle di nuovo le spalle, soddisfatta del proprio operato.

«Cat, avresti fatto meglio a ignorarla» la rimproverò Beatrice con un'aria contrariata.

«E per cosa? Mostrarmi superiore? È un concetto troppo sopravvalutato, dammi retta. Non è con la superiorità che rimetti le persone al loro posto» grugnì in risposta, colma di un cinismo che di quel passo le avrebbe corroso il fegato.

Non è con la superiorità che ti vendichi o che le ferisci.

Bea parve trasalire, come se le sue parole le avessero riportato alla mente un ricordo spiacevole.

«Anche Fabrizio ha detto una cosa simile...» mormorò con un filo di voce, perdendo lo sguardo nel vuoto. Cat preferì non chiederle ulteriori dettagli in merito, la scrutò in silenzio gettare un'occhiata afflitta nella direzione del suo ex, che in quel momento stava conversando con la stessa ragazza con cui si era seduto in aereo.

Eva Santamaria aveva una brutta fama e lei aveva avuto modo di appurarlo nel diabolico forum della scuola, dove i pettegolezzi rivolti alla sua persona non si sprecavano.

Veniva accusata di aver rubato i ragazzi di una dozzina di compagne e addirittura di aver intrattenuto relazioni scabrose coi professori. Cat non riteneva attendibile nessuna di quelle malignità, lei stessa aveva avuto un assaggio delle menzogne fatte circolare sul proprio conto.

Tantomeno credeva che Leo fosse interessato a consolarsi con la suddetta come Alessia aveva insinuato.

Ha baciato me, non lei, pensò, attanagliata dal rimorso.

Sono io che mi sarei consolata con lui, se me lo avesse permesso.

Si piantò le unghie nel palmo, disgustata da se stessa e dalla meschinità nascosta dentro di sé.

"Siete uguali, cazzo. Siete malati".

Scacciò quelle voci dalla sua mente e tentò di concentrarsi su Bea. Gli occhi tormentati dell'amica si erano soffermati da alcuni minuti su Fabrizio, che in un primo momento le restituì lo sguardo per poi distoglierlo quasi subito con innaturale disinvoltura.

«Che bella questa foto» provò a distrarsi la bionda, indicando con un sorriso accennato il cellulare che Cat teneva ancora stretto nel pugno come se volesse disintegrarlo.
Cat lo gettò all'interno dello zaino, quasi fosse un ferro incandescente, e chiuse la zip in un gesto secco.

«Già» bofonchiò col cuore in gola, imbarazzata come se l'avessero beccata a compiere un atto osceno.

E non sai quanto mi manca quel ragazzo. Quanto mi manca il suo sorriso.

«Tra te e Adriano va tutto bene?» domandò Bea a bruciapelo, insospettita dal suo comportamento.

Cat aveva un'espressione ombrosa, per non parlare dei suoi muscoli tesi: era sull'attenti, pronta a difendersi da qualsiasi attacco.

«Certo, perché?» si precipitò a rassicurarla con un tono esageratamente allegro.

«Mi siete sembrati... come dire... più distanti» le spiegò con un velo di preoccupazione nella voce.

«Abbiamo avuto una piccola discussione ieri. Capita» rimediò Cat con una sconcertante facilità.

Ormai non avrebbe dovuto stupirsi della propria abilità nel mentire, eppure si scopriva sempre più brava a ogni nuova menzogna.

«Cat, quello che mi hai detto vale anche per te. Se hai bisogno di parlare, io ci sono.»

Il pugno che le serrava lo stomaco aumentò di intensità, facendole quasi mancare il respiro.

Cosa avrebbe pensato di lei, se le avesse confessato ogni cosa? Aveva desiderato Leonardo mentre era il suo ragazzo, pregato che si lasciassero e finto una relazione con Adriano con lo scopo di farlo ingelosire... Che razza di amica sarebbe stata, se le avesse svelato di averlo baciato meno di due ore prima sull'aereo?

Bea avrebbe reagito, a differenza di Adriano, non si sarebbe limitata a dire congratulazioni. Adriano poteva incassare qualsiasi cattiveria, abbattere quello stronzo era pura utopia. Non saresti riuscito a fargli neppure un graffietto, era come se fosse fatto di cemento armato, ma Bea era una persona fatta di carne e avrebbe sofferto.

Orripilava al pensiero che si fosse fermata soltanto perché era stato Leonardo a volerlo. Non voleva immaginare fin dove sarebbe stata disposta a spingersi per cancellarlo.

«Grazie. Ma non c'è nulla di cui preoccuparsi, davvero. È una sciocchezza, io e Adriano facciamo sempre pace alla fine» ribadì Cat, provando a risultare il più convincente possibile.

Se Beatrice aveva notato la loro freddezza ancor prima che Adriano creasse quella frattura irreparabile, adesso sarebbe stata un'impresa titanica far credere a tutti di essere una coppia felice. Non riuscivano neanche a guardarsi senza pugnalarsi con lo sguardo.

I suoi occhi lo cercarono di nuovo, quasi a volerne ricevere la conferma, ma quel bastardo era troppo occupato a non provare nulla e a fare finta che lei non esistesse.

Canticchiava Roma Capoccia insieme ad alcuni suoi compagni di classe con l'aria spensierata di chi non aveva preoccupazioni per la testa, come se l'aver saputo di lei e Leo non gli destasse il benché minimo risentimento.

Lei si liquefaceva nella sua stessa lava al solo immaginare un'altra assaggiare la sua bocca, mentre lui andava avanti con la sua vita e, come il Vesuvio con Pompei, lasciava dietro di sé rovine di una civiltà e corpi carbonizzati.
Non era mai stato geloso di Leo, non in maniera sana, perlomeno. Era un egocentrico, un presuntuoso in cerca di attenzioni che non poteva permettere di farsi oscurare da altri: si era trattato di mero narcisismo.

Eppure era bravo, glielo doveva concedere. Conosceva alla perfezione tutti i trucchetti che servivano per far impazzire una ragazza.

E lei ci era cascata esattamente come chi l'aveva preceduta.

Si era davvero illusa che lui la tenesse in una considerazione molto più alta, che l'avesse messa su un piedistallo, ma lì c'era spazio solo per uno dei due, e l'unico a cui Adriano avrebbe permesso di starci era se stesso.

La preservazione del suo io sarebbe venuta sempre prima di quella degli altri.

Il ragazzo che l'aveva umiliata quella mattina, a Capodanno, non se ne era mai andato, era sempre stato lì, ben nascosto dietro i sorrisi che l'avevano fatta sciogliere, mimetizzato in quegli occhi che aveva visto ardere di desiderio.

Adriano aveva mille volti, riusciva a simulare a comando qualsiasi espressione o sentimento volesse, eppure doveva essercene uno incollato alla sua epidermide, uno autentico che non poteva strapparsi e che aveva preferito seppellire sotto strati di maschere.

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