Ira. La Sindrome di Didone (V...

By ChristinaMikaelson

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"Perché io sono un bamboo e tu sei il vento che mi fa oscillare ma non mi spezza" Volume 3. N.B: è necessario... More

Premessa 🏛🏛🏛
Dedica
Prologo (Non editato)
1. (Non editato)
2. [1/2] (Non editato)
2. [2/2] (Non editato)
3. (Non editato)
5. (Non editato)
6. (Non editato)
7. [1/2] (Non editato)
7. [2/2] (Non editato)
8. (Non editato)
9. (Non editato)
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12. [1/2] (Non editato)
12. [2/2] (Non editato)

4. (Non editato)

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By ChristinaMikaelson



«Abbiamo la casa tutta per noi...» Giorgio si avvicinò quatto quatto alle spalle della moglie, mentre lei era indaffarata ad affettare i pomodori.

Veronica si lasciò sfuggire un sospiro di beatitudine, quando sentì le sue labbra bollenti scorrere sul collo. «Non che di solito sia un problema quando non lo è» gli fece notare con un sorriso furbo. Lo facevano tranquillamente anche quando le ragazze erano in casa, in effetti. Con molta discrezione di giorno e osando di più la notte.

L'uomo le circondò la vita con le braccia e se la schiacciò addosso, facendole percepire tutto il desiderio che aveva di lei. Le sollevò la gonna del tailleur lentamente.

«Lo so, però possiamo farlo dove vogliamo senza di loro, qui sul tavolo della cucina per esempio...» le propose suadente.

«Ho il polpettone nel forno, Giorgio... si brucerà» ansimò lei, illanguidita dalle sue mani che scorrevano avide lungo le cosce.

«E a me non ci pensi? Pure io sto bruciando...»

Veronica cedette sotto le sue carezze, gli arpionò il collo e gli permise di prenderla in braccio per stenderla sul tavolo.

Giorgio le abbassò i collant senza preoccuparsi di sfilacciarli e le spostò gli slip per stuzzicarla con le dita, mentre lei gli tirava fuori la camicia dai pantaloni e gli sbottonava la patta con impazienza.

Quando si unirono gemettero beati all'interno della bocca dell'altro, prendendo a baciarsi languidamente. Quella sensazione non era mai cambiata, nemmeno dopo ventidue anni di matrimonio. Stare dentro di lei era come tornare a casa.

«Hai sentito?» si irrigidì all'improvviso la donna, scostandosi un po' da lui.

Giorgio percepì in modo distratto il motore di una macchina fermarsi e l'inconfondibile tonfo di sportelli sbattuti in prossimità della villetta.

«Cosa?» mugolò lui nel suo orecchio, riagguantandola per i fianchi e ricominciando a muoversi dentro di lei.

«Una macchina» boccheggiò l'altra con la voce deformata dal piacere, per un attimo dimentica del suo sospetto.

«Io sento soltanto quanto ti voglio» Giorgio sorrise mascalzone e affondò in lei con una spinta più decisa.
Veronica gettò il capo all'indietro, l'orgasmo stava per arrivare per entrambi, ma l'ennesimo rumore la fece trasalire.

«Amore, sono seria! Qualcuno sta entrando in casa!» esclamò concitata, obbligandolo ad arrestarsi con le mani affondate nelle sue spalle a fare pressione.

Giorgio emise un grugnito colmo di frustrazione e scivolò con riluttanza fuori dal suo corpo.

«Se è quella rompicoglioni di tua madre, giuro che ̶ »

«No, no, non può essere lei, è a giocare a Bridge con le sue amiche» lo smentì subito, trafelata.

«Mamma, papà! Sono tornata!» cantilenò una voce squillante e spensierata proveniente dal salotto.

«Elisabetta!» realizzarono all'unisono con gli occhi fuori dalle orbite, facendo per ricomporsi in fretta.

Giorgio si riallacciò i pantaloni e vi risistemò la camicia all'interno in tempi record, mentre Veronica si lisciò la gonna e si ravviò i capelli stampandosi in viso l'espressione più disinvolta che il suo repertorio poteva vantare.

Avevano fatto pratica grazie a tutte le volte in cui le figlie avevano rischiato di beccarli, ma un osservatore attento avrebbe capito benissimo dalle loro facce scarmigliate cosa stavano facendo fino a pochi attimi prima.

Si precipitarono nel salone, dove la loro figlia Elisabetta, avvolta in un trench rosso, li accolse con le braccia sollevate e un sorriso raggiante. I lunghi capelli biondi raccolti in una treccia assunsero dei riflessi ramati sotto la luce del lampadario. Li aveva ereditati da nonno Franco, al contrario di Cat, che aveva preso i capelli castani da loro.

«Tesoro, ti aspettavamo la settimana prossima!»

La strinsero a turno in un abbraccio e la analizzarono dalla testa ai piedi per accertarsi che godesse di buona salute. Non la vedevano da Natale e, nonostante avesse i suoi ventidue anni ormai, restava sempre la loro bambina.

«Lo so, mamma, scusami se siamo arrivati senza preavviso. Volevamo farvi una sorpresa!»

«Volevamo?» si domandarono i coniugi, disorientati.

«Io e Gonzalo!» chiarì la ragazza con un sorriso entusiasta, dando quasi per scontato che capissero di cosa stava parlando.

«Che diavolo è un gonzalo?» bisbigliò Giorgio alla moglie, la quale gli rispose con un'espressione altrettanto smarrita.

Un ragazzo sui venticinque anni che somigliava dannatamente  — ma proprio dannatamente, come dannate erano le anime nell'Inferno di Dante  — al cubano varcò la porta d'ingresso con in mano due trolley di differenti dimensioni. Non ci volle molto per capire che quello di grandezza superiore apparteneva a Elisabetta: era solita portarsi dietro quasi l'intero guardaroba anche quando doveva stare via solo per un weekend.

Il nuovo arrivato aveva i capelli più corti del cubano e dei muscoli meno esagerati, anche se il fisico era sempre ben piazzato, e gli occhi erano verdi, anziché castani; ma i tratti del suo viso ricordavano in maniera spaventosa Er Diablo, nomignolo che Giorgio aveva affibbiato all'insegnante di yoga.

Elisabetta mise il braccio attorno al fianco del ragazzo, che prontamente se la accoccolò al petto.

«Mamma, papà, lui è Gonzalo, il mio fidanzato!» gli annunciò al settimo cielo.

«Buenas noches, piacere de conoscervi» li salutò lui con l'ormai familiare accento spagnolo, sfoggiando la sua dentatura perfetta in un sorriso cordiale.

«È - è - è uguale a Juan coso!» fu l'unica cosa che riuscì a balbettare Giorgio, devastato dallo shock. Agitò anche la mano nella direzione del ragazzo, quasi a voler pregare le due donne di guardarlo bene, come se fosse un fenomeno soprannaturale.

«Sei imparentato con Juan Miguel Gutierrez per caso? Vi somigliate in modo impressionante» domandò infatti sua moglie, anche lei sconvolta dalla sconcertante somiglianza tra i due.

«Es mi hermano! Come fate a conoscerlo?» Anche Gonza coso aveva gli occhi dipinti di stupore.

Ma i prodotti locali vi fanno così tanto schifo? Non poté fare a meno di pensare Giorgio.

«È il mio insegnante di yoga» si limitò a rispondere Veronica, più stralunata che mai.

«Aw, amore, non è fantastico? Conoscono già il testimone di nozze!» pigolò Elisabetta, inspiegabilmente su di giri.

«Testimone di nozze? Di cosa stai parlando, Eli?» Giorgio sperò di aver capito male, perché se così non fosse stato sarebbe presto morto di infarto fulminante.

«Gonzalo mi ha chiesto di sposarlo!» gli mostrò fiera l'anello che portava all'anulare, un solitario di due carati.

«Cos ̶ che ̶ dove...» Giorgio cercò a tentoni qualcosa a cui appigliarsi e dovette sorreggersi al bancone della cucina per non ruzzolare. «Sei incinta?» ululò poi con gli occhi di un invasato, convinto che potesse esserci solamente quel motivo dietro una pazzia simile.

«Tu, razza di infame con un nome da topo, hai osato mettere incinta mia figlia?!» iniziò a strepitare, pronto ad afferrarlo per la gola e a strozzarlo con le sue stesse mani. Elisabetta glielo impedì parandosi davanti al ragazzo con le braccia spalancate a mo' di scudo umano. «Non essere ridicolo, papà! Non sono incinta!» si affrettò subito a precisare, oltraggiata dalla sua insinuazione, mentre Gonzalo ingoiava la propria saliva con gli occhi sgranati dal terrore.

Giorgio placò l'istinto omicida, ma non smise di fissare in cagnesco il nemico.

Lei era oltraggiata?

Quel bell'imbusto avrebbe dovuto trascinarsi in ginocchio da lui e prostrarsi ai suoi piedi per chiedergli la sua mano! Come aveva osato prendersi una tale libertà?

Non c'era più religione!

Lui se lo ricordava bene il giorno in cui aveva chiesto la mano di Veronica; suo suocero aveva preteso che firmasse una specie di giuramento col sangue e quel furbetto invece si presentava al suo cospetto a cose già fatte, fresco come una rosa!

«Ma... tesoro, che fine ha fatto Paolo? Quando vi siete lasciati?» si intromise Veronica, ripresasi dallo stato catatonico in cui era caduta da quando la figlia aveva annunciato la lieta notizia.

Si era ricordata di un dettaglio che fino a quel momento sembravano aver tutti dimenticato: il fidanzato di Elisabetta era un altro fino a qualche settimana fa, che diamine era successo? Non che Paolo fosse poi tanto meglio di Gonzalo, agli occhi dello psichiatra nessuno dei due era degno di stare con Elisabetta; ma almeno Paolo non era bellissimo e soprattutto non era imparentato con un palestrato di due metri che voleva fargli la corte.

«Paolo è un bastardo, due mesi fa l'ho sorpreso a letto con un'altra» tagliò corto Elisabetta con fare distratto, più preoccupata a esaminare la sua manicure messa a dura prova dal viaggio che ad affliggersi per il suo ex.

«De li mejo mortacci sua, mo' lo sfonno, lo disintegro a questo! Te lo dicevo io che non mi piaceva! Era pure juventino, quel disgraziato! Di che mi stupisco!» prese a strepitare Giorgio su tutte le furie, camminando avanti e indietro per il salotto con i nervi a fior di pelle.

L'odio per Paolo avrebbe rimpiazzato quello per Adriano per un bel po' di tempo.

«Ma perché non mi hai detto niente, tesoro? Ci avevi assicurato che tra voi era tutto a posto per telefono!» Veronica posò con delicatezza la mano sulla spalla della figlia per spronarla a confidarsi con lei.

Nel frattempo il marito continuava a borbottare insulti incomprensibili contro Paolo, contribuendo ad alimentare l'imbarazzo di Gonzalo, il quale cercava di sorridere e far finta che la circostanza non fosse delle peggiori.

«Mamma, non c'è nessuna ragione di parlarne. Ormai è acqua passata» sviò la ragazza con tono di sufficienza, forse impaziente di disfare le valigie e darsi una rinfrescata.

«Va bene, allora...» farfugliò la donna in palese difficoltà, cercando di nascondere la propria amarezza dietro un sorriso di circostanza.

Era evidente che non sapeva quale fosse il modo migliore di agire, la figlia l'aveva lasciata senza parole. Di norma era Caterina quella che la teneva all'oscuro di tutto, la primogenita le aveva sempre raccontato senza problemi dei suoi screzi amorosi.

«Perché intanto non fai sistemare Juan Miguel ̶ »

«Gonzalo.» Il ragazzo la corresse timidamente, grattandosi la nuca per il disagio.

Quella conoscenza non stava nascendo proprio sotto i migliori auspici.

«Sì, perdonami, volevo dire Gonzalo, nella camera degli ospiti? La cena è quasi pronta» fece affabile, ostentando un sorriso zuccheroso. Giorgio la guardò a bocca aperta, incapace di proferire parola.

«Grazie, mammina, sei la migliore» Elisabetta le stampò un bacio di gratitudine sulla guancia, dopodiché fece strada a Gonzalo su per le scale.

Ruffiana di prima categoria.

«Non vediamo l'ora che ci raccontiate come vi siete conosciuti» Veronica continuò a sorridere tirata come se avessero potuto vederla, poi si diresse in cucina con il marito alle calcagna.

«Cena? Camera degli ospiti? Sei impazzita?» provò a farla ragionare Giorgio, sconvolto che non stesse dando in escandescenze e che avesse addirittura accettato di dare ospitalità a quell'estraneo in casa loro.

«Giorgio, calmati, smettila di urlare... Namasté, ripeti con me» gli parlò con lentezza Veronica, poi prese dei lunghi respiri e li rilasciò subito dopo con le mani congiunte al petto e un breve inchino del capo. Poi cominciò a recitare dei mantra. Dovevano essere delle tecniche di rilassamento che le aveva insegnato Er Diablo.

«Ma quale namasté e namasté, Veronica! Nostra figlia spunta qui come se niente fosse e ci dice che si vuole sposare con coso qua, come cazzo se chiama, Speedy Gonzalez, che conosce da due secondi, e tu mi dici di calmarmi?! Ha solo ventidue anni e non ha terminato la magistrale di Ingegneria!» si sgolò lui, innervosito dalla sua calma innaturale.
«Be', noi ne avevamo venticinque...» lo contraddisse con un che di compiaciuto nella voce, mentre afferrava le presine per tirare fuori la teglia dal forno.

«Non è la stessa cosa! E poi, andiamo, è il fratello del tuo insegnante di yoga!» ridacchiò spocchioso per sottolineare quanto trovasse poco serio quel mestiere.

«E questo cosa vorrebbe dire? Juan Miguel è una bravissima persona!» si adirò Veronica, infastidita da quell'insulto velato.

«Lo conosciamo a stento! Potrebbe anche essere un narcotrafficante!» insistette l'uomo alla ricerca di un'argomentazione più valida per smontarlo. Voleva evitare di raccontarle la vera ragione per cui non voleva imparentarsi con quel ragazzo. «Non sappiamo nulla di loro, della loro famiglia, da dove provengono...»

«E cosa vorresti fare, sentiamo? Buttare Gonzalo fuori a calci?» intonò severa con le mani sui fianchi. «Pensa a pulire e ad apparecchiare la tavola piuttosto» aggiunse piccata, per poi chinarsi e prendere lo sgrassatore dallo sportello sotto al lavello.

L'uomo si prodigò a eseguire gli ordini ed esalò un sospiro di afflizione nel guardare la tavola, dove fino a qualche minuto prima stavano dando libero sfogo al loro desiderio.

Quello stronzo di Gonzalez – o come diamine si chiamava – gliel'avrebbe pagata cara. Fantasticava già i mille modi in cui avrebbe potuto testare l'affilatura delle sue adorate spade sul corpo del ragazzo, lo avrebbe infilzato come uno spiedino.

«Be', non mi sembra un'idea così tanto malvagia tagliuzzarlo un po'» mormorò a bassa voce in risposta ai propri pensieri.

Veronica ebbe un'illuminazione nel porgergli le posate.

«Tesoro, è meglio assecondarla. Se ci mostriamo diffidenti non faremo che peggiorare le cose. Ti ricordi cos'è successo quando a quindici anni si è invaghita di quel teppistello?» iniziò a sussurrare con fare cospiratorio. Giorgio la interruppe un momento per catturarle le labbra in un bacio appassionato, sollevato che fosse ritornata in sé.

Il teppista a cui si stava riferendo era uno spaccone che nel suo tempo libero si divertiva a creare disordini assieme ai suoi compagni di banda e a disputare gare clandestine in moto. Un precursore di Step di Tre metri sopra il cielo, in sostanza.

Forse lo scrittore lo aveva conosciuto e da lì gli era venuta l'idea per scrivere un libro che avrebbe traviato le fragili menti di tutte le brave ragazze.

Le avevano vietato categoricamente di frequentarlo e l'avevano messa in punizione innumerevoli volte col risultato di farla ostinare ancora di più su quel fantomatico vero amore.

Alla fine aveva smesso di trovarlo interessante solo quando avevano finto di approvare la loro relazione, un classico. Step era stato l'unico neo nella vita da teenager di Elisabetta, per fortuna.

D'altronde toccava a tutte prendersi una sbandata per il cattivo ragazzo, per poi non ricascarci più.

Veronica faceva eccezione, perché la sbandata per quel ragazzo durava da ben ventidue anni.

«Psicologia inversa... Potrebbe funzionare» concordò Giorgio con un sorriso complice, ancora accostato alla bocca della donna.

«Non mi hai sposata mica per la mia bellezza» lo pungolò con un sorriso provocante.

«No, però anche quella non guasta» le concesse con una finta aria da sostenuto, che poi si trasformò in un ghigno malandrino. «Dopo cena riprendiamo da dove ci hanno interrotti» le promise con l'occhiolino, dandole una pacca sul sedere.

Veronica gli diede un pugno scherzoso sul petto e poi si sciolse dal suo abbraccio per finire di apparecchiare la tavola.

Elisabetta e Coso stavano tardando a scendere, in Giorgio si insinuò subito il sospetto che stessero impiegando quel tempo nello stesso modo in cui stavano facendo lui e Veronica prima che arrivassero.

«Ragazzi, è pronto a tavola!» urlò a gran voce ai piedi della scala perché lo sentissero.

Una chiamata in arrivo sventò il suo piano di raggiungerli e in caso castrare Gonzalo.

Afferrò il cellulare dalla tasca, rassegnato a dover accantonare per il momento i propositi di vendetta.

«Roberto, ciao» lo salutò lugubre.

«Ehi, tutto bene? Hai un tono da funerale»

«Lascia perdere, Elisabetta è tornata da Bologna con un fidanzato di cui non sapevamo neanche l'esistenza... Mi faranno diventare matto queste donne» spiegò velocemente, strofinandosi la mano sul viso.

«Non me ne parlare» gli diede manforte il collega, anche lui sembrava parecchio esasperato. «Ascolta, Giò, ti ho chiamato per chiederti una cortesia»

«Dimmi» lo incalzò, massaggiandosi il mento.

«Mia figlia Mariangela ha partorito stamani con alcuni giorni di anticipo e io e mia moglie vorremmo prenderci due settimane per stare con lei a Treviso. Ti sarebbe possibile sostituirmi con un mio paziente della clinica durante la mia assenza? Sono quattro sedute soltanto, ma è un caso abbastanza delicato di PTSD e tu sei l'unico di cui mi fidi.»

Lavoravano nella stessa clinica privata, farsi favori simili tra colleghi era ordinaria amministrazione.

«Oh, congratulazioni! Certo, Robe', nessun problema. Di chi si tratta?» lo rassicurò subito.

«Claudio Greco. Chiedi a Patrizia del primo piano per la cartella clinica, troverai tutti i miei appunti lì dentro»

«Mo' se chiamano tutti Greco, oh» bofonchiò tra sé e sé, non potendo fare a meno di irritarsi al suono di quel cognome.

Gonzalo e Paolo avrebbero allontanato per il momento dalla sua mente il pensiero che quel ragazzino impertinente avrebbe trascorso sei giorni e mezzo con Caterina nello stesso albergo in un paese straniero. Stavano sotto la stretta sorveglianza degli insegnanti, questo era vero, ma aveva avuto anche lui diciotto anni e ricordava alla perfezione quanto fosse stato facile eluderla.

«Cosa?» domandò confuso l'amico dall'altra parte.

«Niente, niente. Tranquillo, ci penso io, ti aggiorno via telefono se ci sono problemi. Tu pensa a goderti il tuo nipotino e porta i miei saluti sia a tua moglie che a tua figlia! Di nuovo tanti auguri!»

Quando chiuse la chiamata, Elisabetta e il nemico fecero la loro apparizione in cima alla rampa delle scale.

«Gonzalito, abbiamo iniziato col piede sbagliato. Permettimi di rimediare» lo rincuorò l'uomo, più falso di una banconota del Monopoli, stringendogli amichevolmente la spalla. «Penso che tu abbia già avuto modo di notare la mia collezione di spade giapponesi, dopo cena ci terrei davvero molto a mostrartele da vicino...»




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