Ira. La Sindrome di Didone (V...

Oleh ChristinaMikaelson

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"Perché io sono un bamboo e tu sei il vento che mi fa oscillare ma non mi spezza" Volume 3. N.B: è necessario... Lebih Banyak

Premessa 🏛🏛🏛
Dedica
Prologo (Non editato)
1. (Non editato)
2. [1/2] (Non editato)
2. [2/2] (Non editato)
4. (Non editato)
5. (Non editato)
6. (Non editato)
7. [1/2] (Non editato)
7. [2/2] (Non editato)
8. (Non editato)
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12. [2/2] (Non editato)

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Oleh ChristinaMikaelson



Non riusciva a respirare, era come se qualcuno le avesse infilato una mano dentro il petto e stesse bucando i suoi polmoni con dei chiodi. Anche prendere un singolo respiro si stava rivelando una fatica enorme. Più cercava di respirare, più sentiva le forze venirle meno. Le aveva esaurite tutte per colpirlo e temeva che non gliene sarebbero rimaste abbastanza per restare in piedi.

Si stringeva il petto in maniera spasmodica.

«Leo» annaspò in preda all'affanno, guardandolo sulla soglia della porta del bagno che non si era ancora chiuso alle spalle.

«Cosa c'è? Ti senti male?» Leonardo provò a mantenere un certo distacco, ma non poté fare a meno di studiare con apprensione il suo volto contorto dal panico.

Cat annuì serrando con forza le labbra screpolate.

Mi sta facendo a pezzi e non glielo posso permettere.

«Vai tu, per me non è urgente» mormorò, cedendole il posto da cavaliere.

Fece per uscire dal bagno e andarsene, quando le gambe di Cat capitolarono all'improvviso, quasi qualcuno le avesse dato una martellata su entrambe le ginocchia. Il piedistallo che l'aveva sorretta fino a quel momento si era accartocciato su se stesso. Si aggrappò alla maniglia della porta in tempo, mentre Leo la agguantò di riflesso per i fianchi per impedirle di cadere. La vista le restituì un'immagine un po' distorta della sua espressione allarmata.

Il ragazzo le adagiò la mano sulla fronte. «Forse ti è tornata la febbre?» ipotizzò.

Lei scansò la sua mano.

«Sto bene» replicò in fretta. Era stato solo un capogiro, un calo di zuccheri al massimo, poteva farcela.

Si raddrizzò da sola, perché non era fragile e non le serviva il suo aiuto ̶ né quello di nessun altro ̶ per stare in piedi.

Non poteva cedere, non in quel momento.

Non lo avrebbe lasciato vincere.

Leonardo la studiò di sottecchi per accertarsi che non sarebbe caduta di nuovo, cercava di non dare a vedere la sua preoccupazione, ma invano: non era bravo a cancellare dal proprio viso tutti i suoi sentimenti come Adriano.

Prima che potesse aprire bocca, Cat approfittò della distrazione dell'equipaggio e gli artigliò la maglietta per spingerlo a tradimento dentro il bagno.

«Ma che cazzo ti prende?» le inveì contro l'altro, preso alla sprovvista dal gesto.

«Dobbiamo parlare» sentenziò lei categorica, chiudendo a chiave la porta. Non era quella l'inflessione che avrebbe voluto dare alla sua voce: forse si era solo dimenticata di disattivare l'impostazione "crudeltà" usata per parlare con Adriano.

Per la prima volta da quando si erano visti in aeroporto poté osservarlo faccia a faccia, senza più ostacoli tra loro.

Aveva il viso un po' sbattuto e i capelli più spettinati che mai. Era così bello, così trasparente rispetto ad Adriano...

Perché non poteva cancellare quel bastardo dalla sua mente solo guardandolo? Aveva rifiutato un ragazzo che aveva avuto il coraggio di dirle le cose come stavano per paura di mancare di rispetto a un verme che si divertiva a giocare con le persone.

Leonardo non l'avrebbe condannata a chiedersi cosa diamine provasse, a studiare il suo viso, il suo linguaggio, a difendersi, a ferirlo per non essere ferita.

Si era pure preoccupato di parare il culo ad Adriano, quando avrebbe potuto lasciare che lo vedesse e tirare l'acqua al proprio mulino. Aveva pensato prima a lei e al suo amico che a se stesso. Adriano non l'avrebbe mai fatto al suo posto, avrebbe raccolto subito l'arma e trucidato senza pietà chiunque fosse stato così sconsiderato da gettargliela ai piedi.

Leo si addossò al lavandino e incrociò le braccia al petto con fare sostenuto. Lo spazio in cui potevano muoversi era esiguo e sicuramente voleva mettere un minimo di distanza tra loro.

«Di cosa? Del fatto che ti ho baciata, che ignori i miei messaggi o che mi hai mentito?»

Aveva ragione da vendere e non sapeva neppure da dove iniziare per chiedergli scusa.

«Lascia che ti spieghi» sospirò Cat, protendendosi verso di lui.

L'altro sollevò una mano per intimarle di restare dov'era.

«No, sai una cosa? Non mi interessa. Sono venuto qui per pisciare e vorrei un po' di privacy, se permetti» la freddò lapidario indicandole la porta. Poi si slacciò la cintura e iniziò a sbottonarsi i jeans con noncuranza. «O vuoi restare a guardare?» aggiunse provocatorio, sicuro che almeno così se ne sarebbe andata.

Non aveva voglia di parlarle, era troppo amareggiato per concederle quell'udienza, Cat lo aveva capito.

«Non mi scandalizzo mica» lei piantò fermamente i piedi per terra e incrociò le braccia al petto con aria superba, a fare intendere che non si sarebbe mossa.

Leo ruotò lentamente il corpo verso di lei, turbato: non si aspettava una risposta di quel tipo.

«Va bene, contenta tu» elargì aspro, massaggiandosi la tempia con un verso di esasperazione.

Cat gli fece la cortesia di dargli le spalle.

«Siamo andati a letto a Capodanno, è vero. Non te l'ho detto solo perché me ne vergognavo. Avevo paura di quello che avresti potuto pensare di me, mi dispiace» iniziò cauta, consapevole che l'avrebbe presa per una codarda.

Era la verità, se glielo avesse detto avrebbe fatto la figura di quella che predicava bene e razzolava male. Lei giudicava tutti dall'alto in basso, si erigeva a paladina della razionalità e a detrattrice delle passioni: quell'immagine avrebbe fatto a cazzotti con l'attrazione fulminante provata per Adriano.

Lei, allergica a qualsiasi forma di relazione amorosa e restia all'idea di concedersi a uno qualunque, era andata a letto con l'Imperatore degli stronzi. Si sarebbe mostrata diversa dall'idea che gli aveva sempre dato di sé.

«Cioè che fossi un'ipocrita? Sai, nemmeno me la sarei presa, se non mi avessi ammorbato i coglioni per due anni con la storia che non avevi bisogno di un ragazzo e che eri troppo superiore per finire a letto con uno stronzo come tutte le tue coetanee. E invece t'è bastata una notte con lui per cambiare idea» la sfotté lui con astio.

«Non ho cambiato idea, Leo. Non è come pensi, io non provavo niente per Adriano all'epoca, mi ha anche umiliata la mattina dopo. Ci siamo avvicinati soltanto in seguito, quando lui si è mostrato diverso... Ma non ha fatto altro che ingannarmi per tutto questo tempo.» Cat provò a reprimere la sua rabbia, voleva rinnegare con tutta se stessa ciò che lei e Adriano avevano condiviso. Voleva impedire a Leo di pensare di essere stato rifiutato da ubriaco a causa di un sentimento per il biondo che nemmeno esisteva.

Quando sentì il rumore dello sciacquone e poi quello dell'acqua del rubinetto decise di voltarsi.

Leonardo si stava lavando le mani nervosamente. «Che vuoi dire?» chiese, guardandola attraverso lo specchio con uno sguardo penetrante.

«Mi ha detto tutto della vostra conversazione. Compresa la parte in cui lo hai beccato a provarci con un'altra e quella in cui mi ha ceduta a te come se fossi una concubina del suo harem» scandì lei, saggiando sulla lingua l'acido di cui era imbevuta ogni parola.

La sua stessa saliva sembrava aver preso il sapore del veleno.

Leo assunse un'espressione concentrata e misteriosa al medesimo tempo, per diversi secondi le sembrò risucchiato nel vortice dei suoi pensieri; poi la vide rischiararsi, come se avesse finalmente individuato un errore di calcolo in un'equazione.

«Non sei stata tu a dirmi che eri innamorata di lui e che ti sarebbe bastato averlo, anche se per Adriano si fosse trattato solo di sesso?» ribatté, colpendola e affondandola con lo stesso missile a cui lei si era abbracciata.

«Lo so cosa ho detto. Ho commesso uno sbaglio» dovette riconoscere lei a denti stretti. Sapeva di dover fare i conti con le sue menzogne, Leonardo gliele avrebbe ritorte contro e non poteva biasimato.

Lui la guardò con aria severa.

«Anch'io» le fece eco Leonardo, prendendola alla sprovvista. «Non avrei dovuto baciare la ragazza del mio migliore amico. Mi sono sentito un verme, Cat, non ero in me, e non voglio più sentirmi in questo modo. Mai più.»

Il suo rimorso alimentò soltanto il fuoco che le stava divampando nel cuore. Era sbigottita, lo guardava con gli occhi sbarrati. Lui si sentiva un verme? Adriano avrebbe dovuto sentirsi una larva, allora.

«Verme, tu? Stai scherzando? Leo, come puoi sentirti in colpa per quel bastardo? Lo hai visto fare il cretino con un'altra davanti a tutti e scommetto che una seconda se l'è pure scopata, visto che è uscito con quell'altro stronzo di Raffaele, famoso per essersi laureato in cornalogia!» esplose delirante, rilasciando un po' di quella lava che aveva fatto accumulare e scorrere senza sosta dentro di sé.

Leo distolse lo sguardo da lei e lo puntò alla sua destra, quasi a non volerle dare retta.

«Lui non si è fatto nessuno scrupolo, sapendo già che ti piacevo! Non ci pensare neanche ad avere rimorsi per lui! Meritava questo e altro!» continuò ad accanirsi su Adriano, sempre più furibonda.

Meritava che scopassimo come conigli, aggiunse col pensiero, assetata di vendetta.

«Questa non è una gara a chi è più stronzo, Cat! Non si tratta di chi deve sentirsi più in colpa e chi meno» si inalberò lui contrariato. Le fece andare la saliva di traverso l'autorevolezza del suo tono.

Di solito era lei a rimproverarlo, a calarsi nelle vesti di una madre intransigente. In quel momento i ruoli si capovolsero: lui era quello razionale, pieno di buonsenso, mentre lei la bambina testarda che non voleva sentire ragioni.

Lui la guardava dall'alto e lei dal basso.

«Ė vero, non merita che stia male per lui, ma nemmeno io sono stato corretto. Non puoi trovare assurdo che mi importi del mio migliore amico o della sua relazione con te.»

Cat lo ammirava e lo disprezzava allo stesso tempo per le premure che riservava ai suoi due migliori amici, lei stessa consapevole di non meritarle affatto.

Non è ̶ siamo ̶ degno ̶ degni ̶ della tua lealtà.

Eri pronto a rinunciare a me, se ti avesse detto di essere innamorato, è per questo che glielo hai chiesto, e lui ti ha riso in faccia. Non apprezza niente, butta merda su tutto, ti ritiene superfluo come ritiene superflua me.

«Quale relazione? Tra me e lui è finita per sempre» gli chiarì con uno sguardo che non offriva alcuno spiraglio di ripensamento. Avrebbe fatto meglio a considerarlo una sorta di voto infrangibile.

Tuttavia, Leo non parve impressionato a giudicare dal sorriso cinico che le rivolse. «Non sembrate proprio due tra cui è finita.»

«Fingeremo davanti agli altri per tutta la settimana per non alimentare gossip» gli chiarì lei, anche se non era affatto sicura che sarebbe andata così.

Se due ore e mezza in sua compagnia erano state una tortura, sei giorni in cui avrebbe dovuto fare finta di non volerlo prendere a sassate sarebbero stati una condanna a morte. Sarebbe stato impossibile non far trapelare il suo odio.

«Fantastico» commentò Leo sarcastico fra sé e sé, strofinandosi stancamente la mano sugli occhi. «E cosa vuoi da me? Mi hai spinto qui dentro solo per sparlare di Adriano?»

«No, per rispondere alla tua domanda» controbatté lei a tono, incrociando le braccia al seno. Alludeva al messaggio a cui non aveva mai risposto, quello in cui Leo le chiedeva cosa era significato quel bacio che si erano dati a casa sua.

Sembrava dannatamente sicura di sé, quasi in mente avesse un solo obiettivo.

Leo finse un'aria stupita e accorciò la poca distanza che li divideva.

«Ma non mi dire» la sfotté.

Non aveva intenzione di baciarla, anzi, Cat sospettava che non l'avrebbe più fatto, nemmeno se fosse stata lei in persona a supplicarlo. I suoi occhi felini e affilati erano adombrati di sdegno, non le avevano mai trasmesso così tanta delusione come in quel momento. Forse anche gli occhi di lei avevano quell'aspetto mentre guardavano Adriano.

«Non voglio essere "scelto" perché lui fa lo stronzo. Sei pregata di starmi alla larga finché non ti sarai davvero schiarita le idee. Se mi vuoi a prescindere dal comportamento di Adriano, devi dimostrarmelo in un altro modo.»

Le voltò le spalle, pronto ad andarsene, aveva già messo la mano sopra la maniglia, quando Cat gli impedì di aprirla.

Gli tirò il braccio per obbligarlo a girarsi di nuovo verso di lei e gli agguantò il viso con forza.

Voleva disperatamente che se ne fregasse di Adriano e si schierasse dalla sua parte per combatterlo insieme.

Li aveva presi in giro entrambi, non se ne rendeva conto?

Perché non lo odi quanto lo odio io? Non gli importa di perderci, non lo capisci? Tra noi e il suo orgoglio sceglierà sempre il suo orgoglio.

«Lui si diverte a ferire le persone, Leo, ci gioca come se fossero delle pedine su una scacchiera, non lo vedi? Non puoi credere sul serio che io sia innamorata di uno così. Io voglio te.»

Non posso innamorarmi di uno che mi fa schifo.

Voglio essere innamorata di te, di te che non fingi, di te che chiedi scusa, di te che fai uno sbaglio e lo riconosci.

Aiutami a distruggerlo, aiutami a guarire dal virus con cui mi ha infettata.

Aveva bisogno di lui, perché si mostrava difettoso e non se ne vergognava, non se lo rimangiava; lui sapeva mettere da parte l'orgoglio. Lui era diverso da Adriano. Diverso da lei. Lui non avrebbe scelto l'orgoglio.

Leo si irrigidì. Le afferrò i polsi con una presa decisa e allontanò le sue mani dal proprio viso.

«Quello che ha fatto non fa svanire magicamente nel nulla quello che hai provato per lui fino a ieri né può inculcarti dei sentimenti per me» l'ammonì avvilito.

E invece sì, io posso ucciderlo.

Cat si indispettì, come capitava ogni volta che qualcuno diffidava di lei. A quel punto diventò una questione di principio dissuadere il suo interlocutore.

Gli riafferrò il viso e accostò la fronte alla sua.

«Pensi che ti abbia baciato per farti un favore ieri? L'ho fatto perché lo volevo. Quella notte non ti avrei rifiutato se fossi stato sobrio, provavo già qualcosa per te prima che arrivasse Adriano e non ho mai smesso.»

Perché non avrebbe dovuto baciarlo? Leo era un ragazzo che meritava di essere baciato, era giusto farlo.

Nessuno si sarebbe pentito o vergognato di provare attrazione per lui. Voleva perdersi in quel manto d'erba racchiuso nel suo sguardo, dove nulla era ricoperto dalla neve e potevi ammirare i colori dell'estate. Chi avrebbe mai scelto l'inverno, impietoso, grigio e freddo? Chi avrebbe preferito stendersi su una landa di ghiaccio in un giorno di pioggia, esposto sempre alle tempeste, piuttosto che su un prato fiorito in un giorno di sole, col calore dei suoi raggi che ti accarezzavano il viso?

Era sollevata di essere immersa nella fragranza leggera del suo migliore amico, un profumo che conosceva da sempre e che non poteva intossicarla.

C'è qualcosa di letale nel suo profumo e ho paura che se continuerò a respirarlo morirò, fammi respirare il tuo, ti prego.



Leo si sforzava di reggere il suo sguardo intenso con fermezza senza far trapelare la sua battaglia interiore. Era combattuto tra il desiderio di cedere e quello di scappare per impedirsi di commettere un'altra sciocchezza. Non la riconosceva più. O meglio, si stava rendendo conto adesso per la prima volta di quanto fosse lesta a criticare gli altri per dei difetti che avrebbe ritrovato in se stessa in quantità triplicata. Aveva sparato a zero su di lui, lo aveva accusato di aver trovato il coraggio di dichiararsi solo perché Bea lo aveva lasciato; di essere un egoista, un codardo, uno che usava le persone, quando l'unica a farlo era lei. Lo aveva chiuso lì dentro per costringerlo ad ascoltare il suo sfogo, infischiandosene del suo consenso e dei suoi sentimenti.

Non era lì per scusarsi e nemmeno per rispondere alla sua domanda: aveva bisogno di qualcuno che la facesse stare meglio. Era fin troppo facile correre da lui dopo che Adriano l'aveva ferita. Avrebbe tanto voluto credere di essere sempre stato la sua prima scelta e che per lei Adriano fosse stata una distrazione, ma non era così ingenuo: in quel momento Cat non era in sé. La verità era che dovevano darsi una tregua, concedersi un po' di spazio per riflettere su ciò che volevano davvero.

Si ritrasse per la seconda volta, sebbene riluttante. Cat non gli stava rendendo le cose facili accarezzandogli la guancia in quel modo e fissandogli le labbra con tormento.

«Lascia perdere, Cat. Non mi devi una risposta adesso, sono stato troppo precipitoso con quel messaggio. Dovremmo prenderci entrambi del tempo per cap ̶ » Non lo lasciò finire, lo acchiappò di slancio per il colletto della maglietta e lo strattonò verso di lei. Cat lo baciò con una foga esagerata, quasi disperata.

Leo provò a resisterle, ma non appena cercava di scostarsi lei gli ricatturava le labbra con maggior impeto, famelica, quasi volesse rubare la sua linfa vitale per ricaricare la propria. E lui cedette, la corrispose, ma poi la ragione ebbe di nuovo il sopravvento.

La spinse lontano da sé. «Cat, basta» le ordinò ansante, dopo aver racimolato un po' di lucidità. «Non è così che ti voglio» ruggì, scosso e arrabbiato. Aveva giurato che non l'avrebbe più baciata alle spalle di Adriano: non aveva rispettato il suo volere, lo aveva obbligato a fare qualcosa che lo faceva stare male.

La fissò con i tratti del viso contorti dalla confusione, stentava a riconoscere in lei la Caterina che aveva ammirato per anni. C'era Bea lì fuori e lei lo assaliva in quel modo? Che fine aveva fatto tutto il rispetto che decantava per la sua amica fino al giorno prima?

«In quale lingua te lo devo dire? Fanculo Adriano, ho sempre voluto te. Ho finto di essere innamorata di lui solo per farti ingelosire, perché non sopportavo che mi credessi frigida come tutto il resto della scuola. Abbiamo finto di stare insieme per tutto questo tempo, non c'è mai stato nulla di vero. Lui non ha mai significato niente per me.» Nessuno avrebbe potuto dubitare della sua sincerità, stringeva i pugni con ferocia e l'odio per Adriano straripava da ogni cellula del suo corpo. Sembrava disposta a tutto pur di calpestare Adriano e la loro storia, anche a rinnegarla.

E fu proprio quell'ira a tradirla, proprio quel disperato bisogno di sminuirlo e disprezzarlo.

Leo si ritrovò a osservare sbalordito la stessa luce spietata intravista negli occhi di Adriano. Fu come se il volto di lui si fosse sovrapposto al suo e lei avesse parlato con la sua voce. Adriano era Cat più di Cat stessa, provenivano dalla medesima matrice, difetti di fabbrica compresi.

«Siete uguali, cazzo. Siete malati» ridacchiò senza traccia di gioia sul viso, colpito e scombussolato insieme da quell'inaspettata scoperta.

«Leo, sto dicendo la verità! Ce lo siamo inventato, non siamo mai stati davvero insieme! Ti abbiamo ingannato!» ringhiò lei con disperazione, trafiggendolo come se i suoi occhi fossero dei dardi infuocati scoccati direttamente dalla sua anima.

Leo aggrottò le sopracciglia e le scoccò un'occhiata basita, oltre che risentita. Stava offendendo la sua intelligenza, per la miseria.

«Dacci un taglio con queste stronzate. Anche se fosse la verità, mi faresti ancora più pena. Qualsiasi sentimento tu abbia provato o stia ancora provando nei miei confronti lo provi pure per Adriano, ed è questo il problema: io merito una persona che voglia soltanto me.»

Come la meritava Bea, riconobbe con una stretta al cuore, lasciandosi alle spalle sia Cat sia la convinzione di poter trovare in lei quella persona in cui perdersi.

***

Cat attese qualche minuto prima di uscire dal bagno, non voleva che vedessero lei e Leo ritornare ai loro posti nello stesso momento, e per di più aveva bisogno di concedersi un attimo da sola per riprendersi. Gli aveva confessato la verità alla fine e Leonardo non le aveva nemmeno creduto.

Si sostenne coi palmi al lavandino e fissò il suo riflesso allucinato nello specchio.

«Siete uguali, cazzo. Siete malati.» Si era sentita perforata da quelle parole, era stato come andare a schiantarsi contro una rete di filo spinato.

Come aveva osato? Continuava a sibilare dentro di sé, fomentando quel magma che ribolliva nelle sue vene.

Era l'insulto peggiore che chiunque potesse rivolgerle. La sola idea di essere uguale a Adriano la repelleva. E a ripugnarla di più era che fosse vero. Era un'egoista.

Le conseguenze delle sue azioni le erano crollate addosso soltanto dopo che Leo le aveva scoccato quell'ultimo sguardo affranto. Si sentiva orribile, satura di sensi di colpa fino a scoppiare: non aveva pensato neppure per un momento a Beatrice, né a Leonardo, ma solo a se stessa e alla necessità di rattoppare le sue ferite.

Voleva rimediare ai propri sbagli e invece ne commetteva solo di nuovi.

Aveva aperto un baratro tra lei e Leonardo che temeva non sarebbe mai riuscita a colmare.

Quando si risedette al suo posto, Adriano non si girò neanche. Guardava un punto fisso nel bel mezzo del blu della notte, illuminata da quelli che da lassù sembravano tantissimi puntini di luce arancione.

«Io e Leo abbiamo già iniziato a recuperare il tempo perduto. Ieri pomeriggio è venuto a casa mia e ci siamo baciati, è per questo che ti ha fatto quelle domande. Ci siamo baciati anche ora in bagno e gli ho detto tutta la verità sulla nostra farsa» lo informò sibillina, riprendendo a sfogliare il libro con l'espressione più impassibile che riuscì a raccattare. Aveva imparato dal migliore, dopotutto.

Vediamo se ti piace essere trattato nella stessa maniera.

Poteva farla a pezzi quanto voleva, lei li avrebbe raccolti, uno a uno, e si sarebbe ricostruita.

Scelse volutamente di non guardarlo, di non assistere alla sua espressione in diretta, tenendo gli occhi inchiodati sulle pagine. Fissarlo avrebbe significato mostrare interesse per la sua risposta facciale, sperare di vederci dei sentimenti, e lei non voleva concedergli quell'onore.

Contando mentalmente i secondi, diede a Adriano il tempo di avere una reazione e di cancellarla dal proprio volto; mentre a se stessa quello di illudersi che l'avesse avuta.

Circa cinquantacinque secondi dopo, percepì Adriano sistemarsi meglio nel sedile. A quel punto pensò che fosse trascorso abbastanza tempo, così si permise di alzare gli occhi e orientarli nella sua direzione. Aveva abbassato la gamba che l'aveva torturata per tutto il viaggio e aveva incrociato le braccia dietro la nuca, il viso rivolto al tetto dell'aereo.

«Congratulazioni» biascicò sprezzante, scrocchiandosi le ossa delle dita con noncuranza.

«Mancano venti minuti all'atterraggio, si pregano i signori passeggeri di stare seduti e allacciare le cinture. A Barcellona il tempo è sereno, la temperatura è di 12°» comunicò in quel momento il pilota.

E adesso che siamo arrivati noi non resterà sereno tanto a lungo.





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