Picky Eaters

By Lice_and_catz

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In una Valencia piena di zone oscure e quartieri affamati dai cambiamenti climatici e dalla guerra a Oriente... More

Dediche
Trama
1. La preda
2. La febbre
L'Altrove
3. La fame
4. Henar
5. Funeraria Valdomar
6. Gli Schizzinosi
L'Altrove
7. Famiglia a modo suo
8. Come un taglietto di carta
9. Vita di un cannibale etico
10. Addio e bentornato
11. Piltrafilla
13. Gli animali sono meglio delle persone
14. Gli insonni

12. Solo un bambino

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By Lice_and_catz

Ivan era una statua di sale, paralizzato come un cervo davanti ai fari di un grosso pick-up. Non avevano bisogno di presentazioni: quello era il famoso Victor, e lui era l'irregolare che aveva causato la morte della sua bambina adorata. Non sarebbe stato necessaria nemmeno una dichiarazione d'intenti: il tizio lo avrebbe preso per il collo e gliel'avrebbe spezzato con un solo movimento. Non c'erano altre opzioni da valutare.

Victor fece un passo avanti. Ivan si chiese se sarebbe finito nel suo Altrove e sperò vivamente che non succedesse. La sua testa doveva essere un posto orribile.

"Victor! Cristo santissimo!"

Un fulmine nero e biondastro apparve nel vano della porta, afferrò l'uomo minaccioso per il maglione e gli diede uno strattone. Ivan sgranò gli occhi quando quel movimento destabilizzò il corpo di Victor, che fu costretto a rinunciare al suo passo avanti facendone due indietro. Alle sue spalle, era comparsa una scarmigliata e arrossata Henar. La sua mano era ancora ben stretta alle fibre del maglione del suo aggressore.

"Cosa pensavi di fare?" gli domandò in tono aggressivo. Victor non si scompose: il suo sorriso storto rimase ben piantato sulla sua lunga faccia cavallina e, anche se il ragazzo non poteva averne la certezza, i suoi occhi erano ben piantati nei suoi, lo scrutavano da sotto quella strana, brutta frangia di capelli color ratto.

"Niente" rispose, con tono sereno. "Conoscere quello nuovo".

"Dobbiamo parlare".

"No, non dobbiamo parlare, Henar. È già tutto abbastanza chiaro. Ora, se non ti dispiace, vorrei parlare con..."

"Joel lo ha già accolto in famiglia. È troppo tardi. Sei fuori dai giochi".

Victor rimase immobile. Non ribatté alla notizia data dalla donna. Ivan si chiese se se lo aspettasse, che Joel avrebbe preso una decisione simile. Si disse che sì, perché Victor doveva conoscere lo spirito cristiano del capofamiglia. E, fino a prova contraria, la gente pia non era favorevole alla pena di morte. Almeno, questo è quello che gli avevano insegnato in chiesa. Chissà se i cattolici la pensavano diversamente.

"Lutxi è morta" mormorò l'uomo, in un sussurro appena accennato. "E noi accogliamo il suo assassino in famiglia?".

Si voltò verso Henar, minaccioso. I peli biondi di Ivan si rizzarono come spine di riccio, si chiese se fosse il caso di intervenire per difenderla, anche se sarebbe stata una barzelletta e Victor gli avrebbe sfondato il cranio con un cazzotto.

La donna, però, non diede segno di paura o preoccupazione. Al contrario, chiuse i pugni, spinse le braccia contro i fianchi ossuti e guardando il suo avversario disse: "È stato un incidente. Joel ha tentato di dirtelo prima che te ne andassi. È stato solo un dannato incidente. Lutxi non si è controllata, Victor. Per l'ennesima volta. E questa volta è andata male. Questo ragazzo si è solo difeso".

"Una piltrafilla indeseable non si può essere solo difesa".

Ivan deglutì entrambi gli insulti, ma all'improvviso desiderò essere in qualsiasi altro posto meno che lì, e non perché Victor sembrava avere tutta l'intenzione di ucciderlo.

Henar girò il viso verso di lui e per un secondo Ivan ci vide una strana, profonda compassione. Fu questo a fargli desiderare di sparire. Nella vita l'avevano guardato in mille modi, ma la pietà era ciò che feriva di più. Era un essere umano di seconda categoria, una bestia bipede che non avrebbe migliorato il mondo in nessun modo e di cui nessuno avrebbe sentito la mancanza. Era così stanco di sentirsi così.

"Lui non è una..."

"Mi dispiace per quello che è successo a Lutxi".

Le parole uscirono dalla sua bocca senza alcun controllo. La stanchezza aveva preso il sopravvento su qualsiasi altra cosa. Victor voleva strappargli la testa? Va bene, che lo facesse pure. Era un estraneo in quella casa e fuori da lì avrebbe dovuto uccidere e sacrificare vite per mantenere la sua inutile, triste esistenza. Aveva dato l'ultimo saluto a Lutxi, aveva premuto quel bottone rosso. Ora poteva anche andarsene. Sarebbe stato un finale più degno di molti altri, in fondo.

Victor si concentrò di nuovo su di lui. Il suo sorriso si era smorzato.

"Mi dispiace davvero" ribadì Ivan, e in lui non vi era alcuna traccia di paura, solo un greve sussiego quasi indifferente. "Quando mi ha morso ho avuto paura. Non mi ero accorto del treno in arrivo. Volevo solo che smettesse di masticarmi vivo. Ma lei non lasciava la presa".

"Era forte" confermò Victor. "Era una guerriera".

"Non avrei dovuto farlo".

"Poco ma sicuro".

"Si merita una possibilità, Victor".

La voce di Henar era più gentile ora, ma non meno determinata. Victor rimase quieto per qualche istante, prima di chiedere: "E cosa avrebbe pensato per te Joel, sentiamo. Come ripagheresti il tuo peccato?"

"Lavorerò nella funeraria".

Questa volta una nuova emozione passò sul volto adombrato dell'uomo: sorpresa. La sua bocca si socchiuse per un secondo in un'espressione confusa, ma fu quasi immediatamente sostituita da un nuovo ghigno, ancora più largo del precedente.

"Ah sì? Con me? Joel, vecchio diavolo, alla fine sei molto più crudele del tuo fottuto dio!"

"Non dire così" sibilò Henar, e questa volta lo strattone al maglione fu così violento che Victor quasi perse l'equilibrio. Ivan non poteva credere che quella donnina ossuta fosse capace di smuoverlo, ma così era.

"Io dico quel cazzo che mi pare, flaca. Bene, quindi sembra proprio che il capo applichi le leggi del contrappasso. E chi sono io per dargli torto? Avevo proprio bisogno di un assistente, visto che faccio tutto io".

Henar decise che poteva allentare la presa sul maglione dell'uomo, ma rimase circospetta al suo fianco. Victor continuò a dirigersi a Ivan: "E sai una cosa? Inizieremo subito. Ho portato a casa una bella scorta di provviste per le prossime settimane..."

"Cosa hai fatto, Victor?"

Era stata una falsa vittoria: un nuovo strattone – questa volta l'uomo doveva averlo previsto, perché non si lasciò smuovere dalla propria posizione – accolse le parole allarmate di Henar. Ivan non capiva, ma non gli sembrava niente di buono. Scorte? Ma Joel gli avevano detto che mangiavano i morti. Cosa significava scorte? Per un momento orribile pensò che Victor fosse andato in qualche cimitero di gente benestante e avesse dissotterrato corpi, ma gli parve improbabile: mangiare carne putrida li faceva stare male, proprio come succedeva con il cibo normale.

Il ghigno dell'uomo si fece ancora più storto. Ivan notò che aveva un ampio spazio tra gli incisivi superiori, il canino sinistro sporgeva dal labbro, mentre tutti i denti dell'arcata inferiore erano accavallati, come se non ci fosse sufficiente spazio per tutti lì dentro.

"Quello che bisogna fare, Henar. Ma non voglio togliere il piacere della sorpresa a questa giovane recluta. Come hai detto che ti chiami?"

"Ivan".

"Ecco, a Ivan. Perché non vieni con me, Ivan? Oggi sarà la tua prima lezione, anzi no, il tuo primo giorno di lavoro. Sì, è perfetto. Non puoi di certo imparare sui nostri clienti, ti pare?"

Ivan guardò Victor e poi guardò Henar. Il suo viso era una maschera di sgomento e orrore, ma cercava di non darlo a vedere. Il ragazzo deglutì a vuoto e annuì.

"Benissimo! Allora andiamo subito". Si girò verso la donna e alzò le mani con fare innocente. "Giuro che ora è tutto a posto. Lo preferisco vivo come assistente che morto e concimato. Ha più utilità".

"Joel non sarà per niente contento, Victor".

"Joel doveva pensarci prima. E comunque non ho fatto niente di male. Gli incidenti capitano a tutti, soprattutto quando si fanno attività pericolose e prive di morale. Dico bene, Ivan?".

Ivan annuì, perché immaginava fosse ciò che Victor desiderasse da lui.

"Benissimo. Forza, allora. Scendiamo di sotto. Non penso che qualcuno ti abbia già fatto vedere il laboratorio. Quale perfetta occasione!"

Victor scansò Henar, ma la donna continuò a seguirlo con lo sguardo mentre si avviava per le scale. Subito dopo si rivolse a Ivan: "Stai calmo e fai attenzione".

Il ragazzo ricambiò il suo sguardo. Poi disse: "Perché sei venuta a proteggermi? Io non ti piaccio".

Fu chiarissimo che Henar non si aspettava un tale commento, ma Ivan era ancora pervaso da quella stanchezza imperturbabile. Se fosse stato totalmente in sé, non si sarebbe mai permesso di fare una domanda simile, introverso com'era.

"Che tu mi piaccia o meno non importa" ribatté lentamente la donna, dopo qualche secondo. "Le regole sono regole. Se fai parte della famiglia, non puoi essere messo in pericolo".

"Tu preferiresti che io non fossi qui".

"Io ti ho portato qui".

"Perché?"

Era la domanda più sincera e dolorosa che Ivan possedesse. Da giorni ponderava su quel perché. Perché Henar non lo aveva ucciso? Perché Henar l'aveva portato con sé alla funeraria? Perché Henar lo proteggeva da Victor, quando neanche mezz'ora prima gli aveva lanciato un'occhiata così piena di rabbia e rancore da atterrirlo?

Questa volta Henar non indugiò nel rispondergli.

"Sei solo un ragazzino" mormorò triste. "Poco più di un bambino".

"Allora!?"

La voce di Victor rimbombò per le scale e il suo tono non ammetteva ulteriori ritardi. Ivan ricambiò lo sguardo della donna, ma non disse nient'altro. Gli fece un cenno di assenso e saluto, dopodiché scivolò fuori dalla propria camera, deciso ad avventurarsi nell'ignoto.

O meglio, nel suo primo giorno di lavoro. 

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