12. Solo un bambino

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Ivan era una statua di sale, paralizzato come un cervo davanti ai fari di un grosso pick-up. Non avevano bisogno di presentazioni: quello era il famoso Victor, e lui era l'irregolare che aveva causato la morte della sua bambina adorata. Non sarebbe stato necessaria nemmeno una dichiarazione d'intenti: il tizio lo avrebbe preso per il collo e gliel'avrebbe spezzato con un solo movimento. Non c'erano altre opzioni da valutare.

Victor fece un passo avanti. Ivan si chiese se sarebbe finito nel suo Altrove e sperò vivamente che non succedesse. La sua testa doveva essere un posto orribile.

"Victor! Cristo santissimo!"

Un fulmine nero e biondastro apparve nel vano della porta, afferrò l'uomo minaccioso per il maglione e gli diede uno strattone. Ivan sgranò gli occhi quando quel movimento destabilizzò il corpo di Victor, che fu costretto a rinunciare al suo passo avanti facendone due indietro. Alle sue spalle, era comparsa una scarmigliata e arrossata Henar. La sua mano era ancora ben stretta alle fibre del maglione del suo aggressore.

"Cosa pensavi di fare?" gli domandò in tono aggressivo. Victor non si scompose: il suo sorriso storto rimase ben piantato sulla sua lunga faccia cavallina e, anche se il ragazzo non poteva averne la certezza, i suoi occhi erano ben piantati nei suoi, lo scrutavano da sotto quella strana, brutta frangia di capelli color ratto.

"Niente" rispose, con tono sereno. "Conoscere quello nuovo".

"Dobbiamo parlare".

"No, non dobbiamo parlare, Henar. È già tutto abbastanza chiaro. Ora, se non ti dispiace, vorrei parlare con..."

"Joel lo ha già accolto in famiglia. È troppo tardi. Sei fuori dai giochi".

Victor rimase immobile. Non ribatté alla notizia data dalla donna. Ivan si chiese se se lo aspettasse, che Joel avrebbe preso una decisione simile. Si disse che sì, perché Victor doveva conoscere lo spirito cristiano del capofamiglia. E, fino a prova contraria, la gente pia non era favorevole alla pena di morte. Almeno, questo è quello che gli avevano insegnato in chiesa. Chissà se i cattolici la pensavano diversamente.

"Lutxi è morta" mormorò l'uomo, in un sussurro appena accennato. "E noi accogliamo il suo assassino in famiglia?".

Si voltò verso Henar, minaccioso. I peli biondi di Ivan si rizzarono come spine di riccio, si chiese se fosse il caso di intervenire per difenderla, anche se sarebbe stata una barzelletta e Victor gli avrebbe sfondato il cranio con un cazzotto.

La donna, però, non diede segno di paura o preoccupazione. Al contrario, chiuse i pugni, spinse le braccia contro i fianchi ossuti e guardando il suo avversario disse: "È stato un incidente. Joel ha tentato di dirtelo prima che te ne andassi. È stato solo un dannato incidente. Lutxi non si è controllata, Victor. Per l'ennesima volta. E questa volta è andata male. Questo ragazzo si è solo difeso".

"Una piltrafilla indeseable non si può essere solo difesa".

Ivan deglutì entrambi gli insulti, ma all'improvviso desiderò essere in qualsiasi altro posto meno che lì, e non perché Victor sembrava avere tutta l'intenzione di ucciderlo.

Henar girò il viso verso di lui e per un secondo Ivan ci vide una strana, profonda compassione. Fu questo a fargli desiderare di sparire. Nella vita l'avevano guardato in mille modi, ma la pietà era ciò che feriva di più. Era un essere umano di seconda categoria, una bestia bipede che non avrebbe migliorato il mondo in nessun modo e di cui nessuno avrebbe sentito la mancanza. Era così stanco di sentirsi così.

"Lui non è una..."

"Mi dispiace per quello che è successo a Lutxi".

Le parole uscirono dalla sua bocca senza alcun controllo. La stanchezza aveva preso il sopravvento su qualsiasi altra cosa. Victor voleva strappargli la testa? Va bene, che lo facesse pure. Era un estraneo in quella casa e fuori da lì avrebbe dovuto uccidere e sacrificare vite per mantenere la sua inutile, triste esistenza. Aveva dato l'ultimo saluto a Lutxi, aveva premuto quel bottone rosso. Ora poteva anche andarsene. Sarebbe stato un finale più degno di molti altri, in fondo.

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