3. La fame

27 6 7
                                    

TW: questo capitolo è particolarmente violento e ricco di particolari. Se siete molto sensibili, prendetevi un attimo per decidere se leggerlo tutto o saltare l'ultima parte. 

Ivan si risvegliò bruscamente, boccheggiando. Il materasso era un lago di sudore e sangue. Un odore intenso e disgustoso ammorbava l'aria della stanza. Con un lamento, si mise a sedere, avvolto dall'oscurità. La granisca si era ridotta a una pioggerella leggera. La casa era gelida, ma Ivan era accaldato. Gocce di sudore gli inumidivano le guance, il suo corpo era scosso da brividi violenti. Nel buio, cercò di tastare la fasciatura sul braccio. Gli faceva ancora male, ma non tanto quanto prima. Non era quello a farlo sentire così male. C'era una nuova fonte di sofferenza nel suo corpo, e si trovava nel suo addome.

Lo stomaco bruciava come se al suo interno vi fosse lava vulcanica. Bruciava come acido solforico e a Ivan dava la impressione che a breve avrebbe liquefatto tutti gli altri organi. Con il braccio sano si strinse la pancia e il dolore si acutizzò. Aveva già provato qualcosa di simile: due anni prima, a causa di una delle siccità periodiche che funestavano il paese, erano entrati in vigore i razionamenti del cibo. Oleg e lui non avevano documenti ed erano stati esclusi dalle scorte della Misericordia. Per giorni avevano bevuto acqua in cui cercavano di sciogliere qualche bustina di zucchero trovata vicino ai contenitori dei ristoranti. Aveva avuto fame, una fame nera, che fagocitava ogni cosa: pensieri, parole, umanità. Sì, anche l'umanità: quando avevano trovato un cane pelle e ossa con una gamba rotta in un fosso, a lato di una strada verso il mare, gli avevano rotto la testa con una pietra e l'avevano spolpato fino a lasciare ossicini bianchi e lucidi.

Ma quello era ancora peggiore. Il dolore lo piegava. La gola bruciava, gonfia e secca. Ogni nervo, ogni vena, ogni cellula gridava indignata per la sofferenza. Faticosamente, si mise in ginocchio. Doveva mangiare qualcosa. A carponi si trascinò verso l'angolo dove sapeva avrebbe trovato il suo vecchio zaino. Lo afferrò e ci tuffò la mano. Trovò subito il biscottino confezionato che aveva trovato incustodito sul tavolino di un bar. Ruppe con i denti la plastica e se lo gettò in bocca intero. Masticò e deglutì con la poca saliva che gli era rimasta dopo la disidratazione da febbre, ma pochi secondi dopo che le briciole avevano superato l'esofago, Ivan fu scosso da un violento conato di vomito. Spalancò la bocca, mentre il suo corpo si contorceva in preda a spasmi violenti e innaturali. Rigurgitò frammenti di galletta e subito dopo un liquido viscoso e nauseabondo. Il dolore, ora, si era fatto pungente, come se qualcuno lo avesse pugnalato al ventre.

"Oh Dio, oh Dio" mormorò il ragazzo, sentendosi in bocca il sapore del sangue. "Oh Dio, cosa succede".

Si alzò in piedi grazie alla forza della disperazione. Ormai abituato al buio, si trascinò verso il corridoio che portava al piano inferiore. Tentò di gridare il nome di Oleg, ma non ne ebbe la forza. Forse il suo amico dormiva nell'altra abitazione diroccata, forse aveva approfittato della notte per uscire. Ivan non lo sapeva. Sapeva solo che doveva colmare quel bisogno terribile che gli stava torcendo le budella.

L'ingresso, miracolosamente, non era allagato, ma i suoi calzini, l'unica cosa che aveva indosso, si inzupparono subito d'acqua. Scostò faticosamente il pannello e gli stracci. L'oscurità della via e l'odore di asfalto umido lo accolsero al di là della porta. La tormenta aveva concesso una pausa e nel cielo qualche stella occhieggiava tra i nuvoloni grigi. Non si udiva nulla, a parte il lontano mormorio di una Avenida e lo sgocciolio dell'acqua dai tetti malconci. Mosse un primo passo, poi un secondo e un terzo. Trascinando i piedi nelle pozzanghere, abbandonò la porta aperta. Avanzò qualche metro, si fermò nel cono di fioca luce dell'unico lampione acceso stringendo entrambe le braccia attorno all'addome. Digrignò i denti e dalle sue labbra filtrò un flebile suono acuto, il lamento di una bestia sofferente. Si guardò attorno, la strada era deserta come ogni notte di tormenta, ma quando mosse la testa verso sinistra, un leggero refolo d'aria arrivò alle sue narici. Ivan respirò, annusò, percepì un profumo. La bocca gli si riempì di saliva all'istante. Era un aroma a cui a malapena sapeva dare nome: fragranza di frutti di bosco, con note di whiskey e spezie piccanti. Odori di cui aveva potuto godere solo per rari istanti, avvicinandosi ai ristoranti di lusso del centro città, dove a volte chiedevano l'elemosina. Il suo stomaco brontolò indignato: qualcuno nelle vicinanze aveva allestito un banchetto e lui non era stato invitato? Poco importava che non avesse molto senso, vista la povertà del quartiere: la fame ora dominava qualsiasi altro pensiero.

Picky EatersDove le storie prendono vita. Scoprilo ora