7. Famiglia a modo suo

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Il risveglio di Ivan non fu così brusco come quello del giorno precedente, ma fu comunque un richiamo alla realtà piuttosto traumatico: qualcuno aveva fatto sbattere una porta a pochi metri da lui e i suoi occhi si aprirono ancora prima che il suo cervello avesse registrato quel rumore come potenziale pericolo.

Scattò a sedere nel suo nuovo letto, con un doloroso pulsare nelle tempie e l'improvvisa incapacità di deglutire la propria saliva. Dalle persiane chiuse del terrazzino filtrava la vivida luce del giorno. Doveva aver dormito per diverse ore, perché era quasi mezzogiorno.

Un leggero colpo di tosse gli fece voltare la testa verso destra. Sgranò gli occhi quando si rese conto che sulla soglia della porta socchiusa c'erano tre persone, due delle quali di dimensioni molto ridotte.

La più grande, di circa diciassette anni, aveva un aspetto indefinito. Era vestita come un ragazzino, dalla carnagione color latte macchiato, ma il suo viso aveva tratti morbidi e il suo petto mostrava le curve di piccoli seni. I ricci capelli castano ramati ricadevano disordinati sulla sua fronte e un ricciolo nascondeva un occhio color cervone. Le labbra carnose erano tirate in una linea retta e la sua espressione non cambiò quando incrociò lo sguardo di Ivan.

Gli altri visitatori erano due bambini molto simili, di circa otto o sette anni. Erano particolarmente minuti e la loro pelle era così pallida da sembrare anemica. Di loro Ivan riusciva a vedere solo il viso lentigginoso, perché entrambi si nascondevano dietro il maggiore.

"È sveglio" mormorò il bimbo, ritirandosi dietro la schiena del ragazzo.

"Tu sei Ivan?" chiese quest'ultimo, che non sembrava preoccupato come i suoi giovani accompagnatori. Lui annuì e incrociò le mani davanti a sé, come un vecchio che attendesse una visita nella propria abitazione. In fondo era così che si sentiva: aveva dolore in tutto il corpo, soprattutto alla testa. Era la stessa sensazione dopo una brutta influenza. Forse la febbre – e i cambiamenti che aveva portato con sé – gli stavano facendo pagare il conto.

"Sì".

"Henar ci ha detto che ti ha trovato ieri sera, tornando a casa dal lavoro".

Ivan osservò con confusione il ragazzino, ma fortunatamente si rese conto al volo della situazione. Henar, per un motivo che poteva immaginarsi, aveva raccontato una storia differente agli altri.

"Sì", ripeté, chiedendosi se sarebbe apparso colpevole agli occhi di quei tre visitatori. "Non stavo bene e mi ha aiutato".

"Non stavi bene perché hai avuto fame, no?"

Ivan annuì. A quanto pare, e non era una gran sorpresa, tutti quelli che vivevano nella funeraria Valdomar condividevano quel grande segreto.

"Anche i bambini sono...?" accennò la domanda, ma l'altro non gli diede il tempo di terminare e annuì a sua volta.

"Tutti".

"Come vi chiamate?"

"Io sono Eriel" rispose il suo interlocutore. "Questi due sono Gala e Iker".

"Piacere di conoscervi" ribatté Ivan, cercando di rivolgere un sorriso gentile ai due bambini, che non avevano smesso di fissarlo nemmeno per un istante.

"Sono un po' timidi" li giustificò Eriel, con una scrollata di spalle. "Eppure quando Henar ci ha detto che avevamo un nuovo componente in famiglia, si sono messi a saltare sui loro letti per l'eccitazione".

"Quando torna Lutxi?" domandò all'improvviso Gala.

"Dormirai nella sua stanza quando torna?" aggiunse il gemello. Ivan aprì la bocca, ma le parole tardarono ad arrivare: i suoi occhi avevano incrociato quelli del ragazzo più grande e quelle grandi iridi scure gli avevano lanciato un avvertimento. I bambini non sapevano e non dovevano sapere. Sembrava dirgli questo.

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