Picky Eaters

By Lice_and_catz

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In una Valencia piena di zone oscure e quartieri affamati dai cambiamenti climatici e dalla guerra a Oriente... More

Dediche
Trama
1. La preda
2. La febbre
L'Altrove
3. La fame
4. Henar
5. Funeraria Valdomar
6. Gli Schizzinosi
L'Altrove
8. Come un taglietto di carta
9. Vita di un cannibale etico
10. Addio e bentornato
11. Piltrafilla
12. Solo un bambino
13. Gli animali sono meglio delle persone
14. Gli insonni

7. Famiglia a modo suo

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By Lice_and_catz

Il risveglio di Ivan non fu così brusco come quello del giorno precedente, ma fu comunque un richiamo alla realtà piuttosto traumatico: qualcuno aveva fatto sbattere una porta a pochi metri da lui e i suoi occhi si aprirono ancora prima che il suo cervello avesse registrato quel rumore come potenziale pericolo.

Scattò a sedere nel suo nuovo letto, con un doloroso pulsare nelle tempie e l'improvvisa incapacità di deglutire la propria saliva. Dalle persiane chiuse del terrazzino filtrava la vivida luce del giorno. Doveva aver dormito per diverse ore, perché era quasi mezzogiorno.

Un leggero colpo di tosse gli fece voltare la testa verso destra. Sgranò gli occhi quando si rese conto che sulla soglia della porta socchiusa c'erano tre persone, due delle quali di dimensioni molto ridotte.

La più grande, di circa diciassette anni, aveva un aspetto indefinito. Era vestita come un ragazzino, dalla carnagione color latte macchiato, ma il suo viso aveva tratti morbidi e il suo petto mostrava le curve di piccoli seni. I ricci capelli castano ramati ricadevano disordinati sulla sua fronte e un ricciolo nascondeva un occhio color cervone. Le labbra carnose erano tirate in una linea retta e la sua espressione non cambiò quando incrociò lo sguardo di Ivan.

Gli altri visitatori erano due bambini molto simili, di circa otto o sette anni. Erano particolarmente minuti e la loro pelle era così pallida da sembrare anemica. Di loro Ivan riusciva a vedere solo il viso lentigginoso, perché entrambi si nascondevano dietro il maggiore.

"È sveglio" mormorò il bimbo, ritirandosi dietro la schiena del ragazzo.

"Tu sei Ivan?" chiese quest'ultimo, che non sembrava preoccupato come i suoi giovani accompagnatori. Lui annuì e incrociò le mani davanti a sé, come un vecchio che attendesse una visita nella propria abitazione. In fondo era così che si sentiva: aveva dolore in tutto il corpo, soprattutto alla testa. Era la stessa sensazione dopo una brutta influenza. Forse la febbre – e i cambiamenti che aveva portato con sé – gli stavano facendo pagare il conto.

"Sì".

"Henar ci ha detto che ti ha trovato ieri sera, tornando a casa dal lavoro".

Ivan osservò con confusione il ragazzino, ma fortunatamente si rese conto al volo della situazione. Henar, per un motivo che poteva immaginarsi, aveva raccontato una storia differente agli altri.

"Sì", ripeté, chiedendosi se sarebbe apparso colpevole agli occhi di quei tre visitatori. "Non stavo bene e mi ha aiutato".

"Non stavi bene perché hai avuto fame, no?"

Ivan annuì. A quanto pare, e non era una gran sorpresa, tutti quelli che vivevano nella funeraria Valdomar condividevano quel grande segreto.

"Anche i bambini sono...?" accennò la domanda, ma l'altro non gli diede il tempo di terminare e annuì a sua volta.

"Tutti".

"Come vi chiamate?"

"Io sono Eriel" rispose il suo interlocutore. "Questi due sono Gala e Iker".

"Piacere di conoscervi" ribatté Ivan, cercando di rivolgere un sorriso gentile ai due bambini, che non avevano smesso di fissarlo nemmeno per un istante.

"Sono un po' timidi" li giustificò Eriel, con una scrollata di spalle. "Eppure quando Henar ci ha detto che avevamo un nuovo componente in famiglia, si sono messi a saltare sui loro letti per l'eccitazione".

"Quando torna Lutxi?" domandò all'improvviso Gala.

"Dormirai nella sua stanza quando torna?" aggiunse il gemello. Ivan aprì la bocca, ma le parole tardarono ad arrivare: i suoi occhi avevano incrociato quelli del ragazzo più grande e quelle grandi iridi scure gli avevano lanciato un avvertimento. I bambini non sapevano e non dovevano sapere. Sembrava dirgli questo.

"Non lo so" si limitò a dire. Allargò le braccia, cercando di apparire allegro e spensierato: "Guardate, non ho neanche una maglietta per me! Questa mi va grandissima!"

"Deve essere di Victor" disse Eriel, soddisfatto di aver distratto i gemelli, che in effetti avevano iniziato a lasciare i suoi fianchi, prendendo coraggio per osservare meglio quel nuovo venuto e i suoi strani vestiti.

"Perché non hai una maglietta tua?" domandò Gala, aggrottando le sopracciglia, che erano rosso ruggine come i capelli, dello stesso identico colore di quelli del fratellino.

"Non avevo una casa" rispose Ivan, decidendo di giocarsela con un po' di compassione. "E non avevo vestiti".

"Vedete? Henar ha fatto bene a portarlo da noi, vero?"

I gemelli sembrarono colpiti da quell'informazione. Forse, immaginò Ivan, loro erano nati in quella bella casa valenciana e non sapevano cosa significasse non avere dimora fissa. Invece, Gala mormorò a bassa voce: "Magari Victor se lo mangia perché ha messo una sua maglietta".

Ivan ne ebbe abbastanza di sentirlo nominare. Con uno scatto della mano sinistra nascose il riccio di peluche, scostò le coperte e si ritrovò in piedi, nei suoi pantaloni larghissimi e a piedi nudi. I gemelli non si mossero dalle loro posizioni: ormai sembravano aver capito che da quel magro biondino non poteva provenire alcun pericolo.

"Vuoi mangiare qualcosa?" domandò Eriel con tono tranquillo. Ivan si chiese se sapesse com'era morta Lutxi, ma il ragazzo non sembrava turbato. Certo, aveva un'aria malinconica e accennò un sorriso triste quando si rese conto che lo stava guardando negli occhi, ma niente più.

"Sì, grazie". Non aveva fame, ma gli sembrava maleducato declinare l'invito. I gemelli si attivarono subito, mentre Ivan usciva dalla stanza: saltellarono nel corridoio per indicare la via. Appena arrivarono alle scale, si lanciarono sui gradini e sparirono alla vista.

"Henar mi ha detto che è successo ieri" mormorò Eriel, mentre camminava al fianco di Ivan.

"Ah", ribatté lui, all'improvviso incapace di deglutire. Eriel fece un cenno triste e aggiunse: "Mi dispiace che ti abbia fatto questo. Lutxi era un'amica, ma sapevo che prima o poi l'avrebbe pagata".

"Cosa vuoi dire?" chiese Ivan, fermandosi vicino all'imboccatura delle scale. Si voltò verso l'altro ragazzo. Eriel era più piccolo ed esile di lui, ma aveva quello strano seno e, se osservato con una certa attenzione, si notavano fianchi con una bizzarra curva molto femminile. Si strinse nelle spalle. "Non era la prima volta che mordeva. Lutxi aveva sempre fame, e poco autocontrollo. Henar mi ha detto che dopo aver tentato di ucciderti, è scappata ma è finita sotto la metro".

Ivan non seppe se provare sollievo o orrore per quella scoperta, e il dilemma si risolse in una dolorosa contrazione dello stomaco. Henar e Joel sapevano la verità, ma era chiaro che non avevano voluto condividerla con i giovani della famiglia. Significava che anche lui doveva rimanere al gioco? La risposta non poteva che essere una, perché nessuno avrebbe accettato che l'assassino della loro amica vivesse con loro. Ivan ricordò all'improvviso il sogno e il sorriso malandrino di Lutxi ammiccò nella sua testa, un occhiolino d'intesa per quel loro piccolo segreto. Lui deglutì e rispose: "Mi dispiace per quello che le è successo".

Eriel annuì comprensivo. "A tutti dispiace. Ah, non dire niente ai gemelli. Joel ha detto che Lutxi è andata a trovare una zia".

"Certo".

Si avvicinarono alle scale e mentre le scendevano, Ivan si accorse che sulle pareti vi erano altri quadri. A dire il vero, anche sulle pareti del corridoio aveva visto cornici, ma non aveva fatto caso al loro contenuto. In quel momento si concentrò sul più grande, che li attendeva giusto sopra la curva a gomito della scalinata, vicino al vaso antico. A differenza dei due dipinti angoscianti visti la sera precedente nel salone d'ingresso, questo raffigurava una scena gioiosa. C'erano molte donne vestite di bianco, che ballavano in un palazzo vestito a festa, con ghirlande colorate e fiori a coronare una fontana di marmo.

"Ti piace?" gli domandò Eriel, fermandosi uno scalino più sotto.

"Sì..." ammise il ragazzo, per poi aggiungere subito dopo: "Ma io non ci capisco niente d'arte".

"Nemmeno io" concordò l'altro. "Quello che se ne intende è Joel. È lui che decide cosa appendere".

"Bello. Non me lo sarei aspettato da un beccamorto".

Ivan avrebbe voluto rimangiarsi immediatamente quell'ultima parola, appena si accorse della ruga che si era formata all'istante sulla fronte di Eriel, seminascosta da un folto ricciolo, ma fu sorpreso di vedere subito dopo un sorriso, anche se condiscendente.

"Parli in modo bizzarro. Da dove vieni?" domandò, dandogli le spalle e tornando a scendere le scale. Ivan si affrettò alle sue spalle e sentì una leggera vergogna a rispondere: "Dalla strada".

"Capisco" ribatté Eriel e Ivan si sentì grato che si fosse limitato a quel commento. Arrivarono al fondo della scalinata, dove vi erano le due porte. Il suo accompagnatore girò la manopola di quella con le tendine e spalancò il battente, facendogli un cenno con la mano. Ivan avanzò all'interno di un grazioso salottino verde, che richiamava i tiepidi colori dell'ingresso. Dal soffitto pendeva uno splendido lampadario di cristallo, ma il locale era scaldato dai raggi del sole che penetravano da una grande finestra sul muro a sinistra. Il pavimento era rivestito da un nuovo mosaico, questa volta di semplici forme geometriche romboidali rosse e verdi. La parte bassa delle pareti era rivestita da maioliche a fiori. Un piccolo televisore a schermo piatto trasmetteva cartoni animati. In mezzo alla stanza vi era un tavolo di legno da sei posti, a lato una grande credenza intarsiata e un divanetto dall'aria comoda, color muschio.

Abbagliato da tante novità, Ivan inciampò nel basso tavolino da caffè ai piedi del sofà e per un pelo non perse l'equilibrio. Eriel lo afferrò per un braccio appena in tempo.

"Attento" commentò, soffiando via un ricciolo dal suo viso. "Questa casa è così piena di cose che è facile inciampare. L'altro giorno Gala si è stampata su un'anta di un armadio che non era stato chiuso".

"Questa casa è bellissima" ribatté il ragazzo, e sentì come un peso staccarsi dal proprio petto. Finalmente l'aveva detto: quella casa era troppo bella per essere vera. Com'era possibile l'esistenza di tanto lusso in un quartiere piuttosto povero come quello dove Henar l'aveva condotto?

"Sì. Joel ha investito tanti soldi nel tanatorio e qui" concordò Eriel, superando il tavolo e infilandosi in uno stretto corridoio di fianco alla credenza. "Sai come si dice: con la morte e con la merda si faranno affari fino alla fine della civiltà".

Ivan non aveva mai sentito quel motto, ma gli piacque e sorrise senza pensarci troppo.

Lungo lo stretto corridoio si aprivano due porte – un bagno di servizio e la dispensa, gli spiegò Eriel – e subito dopo si apriva in una larga cucina dal tetto di spesse travi di legno. Lì ritrovarono i gemelli, che si erano seduti all'unico tavolino presente, davanti a un paio di sussidiari.

"Se vuoi abbiamo del latte" lo informò Eriel, avvicinandosi a un grande frigorifero rosso fuoco.

"Latte?" domandò sorpreso Ivan. "Come..."

"Latte umano" chiarì l'altro, mentre estraeva rapido dalla porta dell'elettrodomestico una bottiglia di color ocra scuro. "Lo possiamo bere senza troppi problemi, ma non dobbiamo esagerare".

"Altrimenti poi stai male di pancia" chiarì Gala, alzando gli occhi dal suo libro, su cui stava leggendo un racconto breve decorato con figurine di bambine e aquiloni. Ivan aggrottò la fronte mentre il suo ospite versava un po' di latte in un bel bicchiere di cristallo verde. Il liquido era bianco, proprio come latte normale.

"Ma chi..."

"Abbiamo un'amica" disse Eriel, sembrando capire perfettamente il motivo della sua confusione. "È una medica; ce lo porta dall'ospedale, dalla banca del latte".

"Si chiama Matilde" puntualizzò di nuovo Gala. Tra i due gemelli, era chiaramente lei quella che parlava per entrambi. Iker non aveva alzato gli occhi dalla sua lettura, ma era palese che stesse seguendo con interesse la conversazione, perché Ivan aveva notato che piegava leggermente il collo nella loro direzione quando erano loro a parlare.

"Mi spiace" disse Eriel, allungandogli il bicchiere. "Niente biscotti, né cereali". Ivan ripensò all'ultimo biscotto che aveva toccato le sue labbra e aggrottò la fronte con un'espressione di disagio. Non avrebbe mangiato quelle cose nemmeno se non si fosse recentemente trasformato in un cannibale obbligato. Esitando, si bagnò le labbra con il latte. Non ci fu reazione da parte del suo corpo. Osò assaggiare un sorso e si sorprese al rendersi conto che era davvero latte e niente più.

"E... non si potrebbe vivere solo di questo?" bisbigliò, sollevando la testa. Eriel fece un cenno negativo con la testa e ribatté: "Come ha detto Gala, staresti male. Non siamo fatti per vivere solo di latte".

Il ragazzo deglutì il sorso e ripeté tra sé l'ultima frase del suo interlocutore. Non erano fatti per vivere solo di latte, ma solo di carne umana sì?

"Comunque", riprese Eriel, distraendolo "Joel è impegnato con dei clienti e credo che Henar stia ancora dormendo perché ha il turno di notte. Mi hanno chiesto di spiegarti come funziona qui. Credo che ieri ti abbiano detto solo due o tre cose".

"Sì".

"Bene. Come forse ora già sai, in casa siamo sette persone. Otto, con Lutxi – aggiunse in un bisbiglio per non farsi sentire dai bambini. – Victor e Joel lavorano alla funeraria, io aiuto ogni tanto, ma più che altro studio e mi occupo di questi due".

"Andate a scuola?" chiese Ivan, continuando a sorseggiare il latte e tentando di godersi quella fugace sensazione di normalità.

"No. Iker e Gala sono troppo piccoli per riuscire a controllarsi davanti agli odori degli altri bambini".

"E tu?"

Eriel si strinse nelle spalle senza sorridere e disse evasivo: "C'è troppo da fare qui".

Gli occhi di Ivan caddero istintivamente sui piccoli seni del ragazzo e si chiese se non fosse per quella strana anomalia fisica che preferisse non andarci. Eriel parve farci caso, perché si dondolò prima su un piede e poi sull'altro, prima di continuare: "Tu andavi a scuola?"

Lui scosse la testa. "Non ci vado da quando avevo dodici anni".

"Eriel e Henar ci danno i compiti" gli fece sapere Gala. Ivan si chiese se anche tutti loro fossero privi di documenti e soprattutto di chi fossero figli quei gemelli.

"In ogni caso" Eriel richiamò la sua attenzione, "Joel può trovarti un lavoro qui".

"Io non so fare molto".

"A lavorare con i morti si impara. Ci si abitua a tutto, alla lunga".

Rimasero a fissarsi per qualche istante. Ivan si sentiva molto stupido, con il suo bicchiere verde ancora pieno e i baffi di latte. Si domandò se fosse la prima volta che provava latte materno. Non ricordava che sua madre lo avesse allattato. Avrebbe voluto ridere, ma sapeva che forse subito dopo si sarebbe messo a piangere e avrebbe vomitato.

Udì una porta aprirsi e chiudersi alla fine del corridoio, poi dei passi affrettati. Si voltarono entrambi verso l'entrata della cucina, appena in tempo per la comparsa di Joel.

Sembrava una persona molto diversa rispetto a quella che l'aveva accolto la sera prima: il suo viso appariva fresco e riposato, i capelli erano ben pettinati e gli occhi rossi erano scomparsi. Indossava una camicia bianca con un gilet elegante a quadretti in scala di grigi.

"Buongiorno", disse educatamente. "Ho una pausa prima dei clienti delle dodici e mezza. Perché non parliamo, Ivan?".

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