Holy sin

By Claire_Dee_

96.2K 5.8K 4.3K

๐•ฟ๐–๐–Š ๐–’๐–š๐–˜๐–๐–Š๐–™๐–Š๐–Š๐–—๐–˜ ๐–˜๐–Š๐–—๐–Ž๐–Š๐–˜ I fratelli Lacroix sono famosi nel Bushwick, uno dei quartieri piรน... More

Cast e trope
Prologo
1.
2.
3.
4.
5.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
18.
19.
20.
21.
22.
23.
24.

6.

3.5K 215 193
By Claire_Dee_

┌───────────── •✝︎• ────────────┐
«Gli angeli hanno i loro diavoli, e
i diavoli i loro angeli»
Stanisław Jerzy Lec
└───────────── •✝︎• ────────────┘



Mio fratello parlava con quelle persone, ma io non lo stavo ascoltando per niente, nonostante il discorso era veramente importante e riguardava Porthos chiuso in carcere da quasi due settimane.

La mia testa era ferma al momento in cui le unghie di quel diavolo mi avevano toccato il petto e mi era diventato duro solo per quel misero contatto. Non toccavo una donna da sei anni e lei mi faceva prudere le mani dalla voglia di spogliarla in qualsiasi luogo ci trovassimo.

Incarnava il peccato, la perdizione, quel fottuto serpente che voleva indurmi in tentazione.

La odiavo solo perché non potevo averla ed era l'unica persona in grado di farmi perdere completamente le staffe, seconda sola a Buckingham o Porthos quando si ostinava a volermi rompere le palle ogni minuto. Odiavo doverla avere costantemente sotto gli occhi, ma quelli si rifiutavano di lasciarla un solo secondo.

Era splendida, una delle donne più belle che avessi mai visto e non sarebbe mai potuta essere mia.

'Fanculo la mia vita del cazzo, non avevo mai potuto prenderne le redini e non avevo mai odiato essere chi fossi come in quel momento. Detestavo quel colletto bianco ogni volta che la vedevo e volevo solo poter scegliere per una sola volta, perché sicuramente avrei scelto lei.

Ma non potevo e a quel punto non volevo nemmeno. La mia famiglia veniva prima e avevo preso un impegno, perciò non potevo mandare a puttane tutto quello che avevo costruito con fatica, sangue e macchiandomi l'anima più di quanto già non fosse. C'erano in ballo troppe vite per poter pensare alla mia.

Ma per lei, cazzo, mi sarei goduto volentieri l'inferno. Ne sarebbe valsa la pena.

«Ma dov'è?» Mi uscì di getto quando la cercai per l'ennesima volta nel locale. Non riuscivo più a trovare quel culo fasciato dal leggings, quel viso ancora incazzato per colpa mia e quei lunghi capelli che oscillavano ogni volta che si muoveva.

«Come dici, fratello?» Athos si girò verso di me, infastidito dal fatto che non stessi prestando attenzione al discorso.

«Niente».

«Allora cosa ne pensi?» Mi chiese, sapendo benissimo che non avevo idea di ciò che avessero detto per tutto quel tempo.

Sapevo solo che quei due uomini erano dei magistrati. Non sapevo esattamente di quale tipo, ma erano decisamente dei pezzi grossi e mio fratello li aveva totalmente in pugno. Del resto avevano richiesto i suoi servizi e quando qualcuno lo faceva, era come se avesse appena venduto la sua anima a lui.

Athos era uno spietato calcolatore e se mezza città aveva paura di lui c'era decisamente un motivo.

«Penso che rivoglio mio fratello fuori di prigione. A qualsiasi costo». Mentre lo dissi però, guardai i due uomini, dei quali però ancora non sapevo il nome. L'avevo dimenticato nel momento stesso in cui me l'avevano detto.

Quello che aveva osato toccare Morgan si teneva a debita distanza e faceva bene, anche perché quella sera sarei potuto scattare come niente. Avevo i nervi a fior di pelle già da troppi giorni e mancava veramente solo una piccola goccia per farmi esplodere del tutto.

I tre ripresero a parlare, avendo appena riaperto una discussione che non credevo neanche fosse mai iniziata e mi estraniai di nuovo.

Con quello che avevo appena fatto a quell'uomo mi ero appena giocato il suo favore e nonostante Athos avesse qualche piccolo asso nella manica, avrebbe fatto di tutto per non aiutarci. Ormai sapevo riconoscere una causa persa ed era tutta colpa mia.

E di quella dea orientale, con gli occhi a mandorla e i lunghi capelli neri, lucenti e setosi.

Di solito non pensavo così tanto a lei, ma quella sera ero particolarmente influenzabile e non capivo il perché. Forse perché ero veramente vicino al limite e non riuscivo più a controllarmi. O forse perché la connessione con lei era come un patto con il diavolo. Ormai si era insinuata nei miei pensieri senza il mio permesso e il mio volere.

Quando si ritrovava ad infestare i miei pensieri però non sapevo mai a chi paragonarla. Alcune volte ad un angelo, altre ad un diavolo. Si collocava nell'esatto centro, carpendo sfaccettature da entrambi.

Lei, con la sua bellezza eterea, sembrava sfiorare il divino, ma in quegli occhi c'era un'ombra di segreti celati, di oscurità nascosta. Gli angeli avevano i loro diavoli, sì, ma forse era il suo demone interiore a rendere la sua luce ancora più intensa. E per quanto l'inferno potesse risultare cattivo e spietato, lì c'erano sempre degli angeli caduti.

Nella sua grazia intravedevo la corruzione e nel suo peccato forse una traccia di continua redenzione.

Il mondo è fatto di sfumature e lei le aveva tutte.

Mi ricordava che non importava quanto potesse sembrare semplice categorizzare qualcuno come buono o cattivo, c'era sempre una dimensione più profonda e sfumata da considerare.

Mi ritrovai anche a cercarla tra la folla. Di nuovo. E quando la trovai mi accigliai un po'.

Osservarla però era davvero curioso. Non ti annoiavi mai. Quella ragazza conosceva così tante espressioni che faticavo a starle dietro e mi ritrovavo a pensare a quale nuova smorfia potesse creare. Ne era consapevole? Per me era una visione in tutte le sue sfaccettature.

Nel suo sguardo però c'era qualcosa di rotto, c'era sempre stato dalla prima volta in cui l'avevo vista. C'era un paradiso perduto in quelle iridi così scure, delle finestre infrante che riflettevano la sua storia spezzata. Una storia che solo angeli e diavoli potevano capire.

Ma in quel momento quella fragilità così forte che le avevo sempre visto, venne messa per un secondo da parte, mentre la guardavo camminare con passo provocante verso la piccola folla di persone che ballavano in pista.

C'erano ragazze più nude che vestite, ma non appena arrivò lei, sciogliendosi i capelli dalla coda e con i suoi semplicissimi leggings del cazzo, molti sguardi finirono sulla sua figura, come se li avesse richiamati con un canto da sirena, che aveva fregato anche me.

D'Artagnan era proprio qualche passo dietro di lei e la guardava in modo accigliato. Non la seguì tra la gente, ma si piazzò là vicino e non le staccò gli occhi di dosso, come fosse preoccupato con quel solco che aveva tra le ciglia.

Socchiusi gli occhi e ritornai su di lei, iniziando ad essere sospettoso.

La vidi muoversi un po' a ritmo di musica, sapendo fare dannatamente bene anche quello. Probabilmente le usciva bene qualsiasi cosa fosse stata pensata per provocare ed io non dovevo rimanerne di nuovo così sorpreso. Era Satana scesa in terra o la sua dannata figlia.

Molte teste si girarono verso di lei, mentre lei li richiamava con la sua magia. La vidi scrutare alcuni visi, come se stesse scegliendo la sua preda e anche da quella distanza vidi chiaramente il sorriso malizioso che le rese i tratti del viso ancora più irresistibili.

Un ragazzo biondo si avvicinò a lei ed io venni richiamato da mio fratello proprio nel momento in cui lui le mise le mani sui fianchi.

«Aramis, che cazzo, ma che ti prende?!» Mi strinse una spalla in una morsa di ferro.

Non mi ero neanche reso conto di essermi alzato e appoggiato alla ringhiera del privé e che la stavo stringendo talmente forte da farmi male alle stesse mani.

Mio fratello mi sibilò nelle orecchie per non farlo sentire ai nostri ospiti e per far capire loro che era tutto sotto controllo. Mi girai a guardarlo e la stregoneria che mi teneva gli occhi incollati su quella ragazza, venne spezzata.

Espirai furente e lo guardai. «Non ci aiuteranno».

Athos mi scrutò e non disse niente, ma sapevo già che anche lui doveva esser arrivato alla mia stessa conclusione. Odiava solo il fatto che io non ci stessi neanche provando e che ero riuscito a farmi distrarre così facilmente. Anche perché nonostante sapessimo che stavamo perdendo tempo con lui, avevamo comunque una reputazione da difendere.

«Cacciali via, ma prima dagli un assaggio di quello che fanno i Lacroix a chi pensa di essere più potente di noi».

Io e Alexander ci fissammo e ci bastò poco per capirci a vicenda. Con lui del resto non erano mai servite grandi parole o lunghi discorsi.

Lui annuì e si girò verso di loro. «Allora, signori, se volete seguirmi nel mio ufficio...» Non mi girai per vedere il suo sguardo, sentii solo il tono di voce e per quanto ormai fossi abituato a quel nuovo lato di mio fratello, un brivido mi serpeggiò sulla schiena lo stesso.

A quel punto portai lo sguardo di nuovo sulla pista e temetti di potermi rompere le nocche per una seconda volta, quando strinsi con forza la ringhiera con entrambe le mani.

Lì, in basso, c'era Morgan che baciava un coglione con i capelli biondi. Lui le fasciava quel corpo con le mani, toccandola come se non avesse mai visto niente del genere su un'altra ragazza e forse era proprio così.

Non capii perché sentii un ronzio nelle mie orecchie o perché dovetti sforzarmi ancora di più per mantenere il mio visto stoicamente neutro mentre guardavo quella scena. Sapevo solo che il mio sangue iniziò a scorrere più veloce nelle mie vene, che stesse ribollendo di rabbia.

Non sapevo solo il perché e sentivo che volevo fare a pezzi qualsiasi cosa.

Soprattutto quando Morgan aprì i suoi occhi e incrociò il mio sguardo, sapendo esattamente dove guardare, come se avesse programmato tutto quello.

Quella ragazza avrebbe decretato la mia rovina.

Il suo sguardo divenne malizioso e un sorriso le piegò le labbra verso l'alto, mentre la lingua scivolava nella bocca di quell'uomo.

Un morto che cammina.

Ed ecco che la goccia ruppe totalmente il vaso.

Lucifero aveva gli occhi come il ghiaccio, mentre le fiamme gli danzavano tutt'attorno.

E lo sapevo perché solo il diavolo in persona poteva svegliarmi in modo così brusco dopo aver fatto le cinque la notte precedente.

Intercettai lo sguardo di Aramis, che ad una prima occhiata poteva risultare inferocito, e mi stiracchiai nel letto, ancora attonita per il sonno. Sapevo che una volta che mi fossi ripresa gli avrei dedicato talmente tante parolacce da farlo rinchiudere in convento e pregare per cinque giorni di fila, ma in quel momento ero troppo assonnata per farlo.

Rabbrividii e tremai per il freddo della stanza, si gelava e la coperta che avevo non riscaldava neanche un po'. La tirai più sopra, coprendomi le orecchie che ormai dovevano esser diventati due ghiaccioli.

Richiusi anche gli occhi per dispetto e mugugnai infastidita.

«Alzati», mi ordinò, ma non aveva capito proprio niente.

In tutta risposta gli diedi le spalle, rigirandomi in quel letto scomodo. Ormai avevo fatto l'abitudine anche a quello.

«Cristo, si gela qua dentro», borbottò più a se stesso che a me. «Alzati, ragazza».

Ah, ora sono diventata ragazza, eh!?

Volevo dormire ancora e non ce la facevo proprio ad alzarmi o rispondere. Il che era tutto dire, visto che io avevo sempre qualcosa da blaterare.

Il mio silenzio non gli piacque neanche un po' e lo sentii muoversi dietro di me, camminando per la stanza. Poi venni investita dalla luce e per fortuna ero girata contro il muro, ma ciò mi fece strizzare gli occhi lo stesso, visto che ero abituata alla penombra. Aramis aveva scostato le tende ed io digrignai i denti, mentre diventavo sempre più lucida.

Ti odio, brutto pezzo di merda!

«Che vuoi?!» Sbottai dopo che lui venne a riposizionarsi dietro di me.

«Lavori per me e devi fare dei servizi». Il tono era inflessibile e anche un po' duro. Si era alzato con il piede sbagliato? Aveva fatto due preghiere in meno?
«Fino a prova contraria lavoro per Athos». Mi strinsi ancora la copertina addosso e iniziai anche un po' a tremare. Per fortuna avevo dormito con esattamente le stesse cose della notte precedente, perché il mio pigiama era veramente troppo leggero.

Dovevo proprio andare a fare shopping e comprare qualcosa, altrimenti l'inverno mi avrebbe mangiata viva.

«Lavori per noi», mi rispose quasi con un ringhio. «Alzati immediatamente».

Sbuffai sonoramente e mi girai verso di lui, venendo assalita da una corrente d'aria fredda per i movimenti della coperta che scostai velocemente. Rivolsi un'occhiataccia ad Aramis, che mi fissava dall'alto con un cipiglio enorme.

«Che. Cosa. Vuoi?!» Mi strofinai gli occhi senza però lasciarlo mai con lo sguardo e non dimenticandomi del fatto che dovessi guardarlo malissimo.

«I bambini del catechismo hanno fatto dei lavoretti e in quella stanza c'è un casino. Devi venire a pulire».

Se ne stava lì in piedi a fissarmi incazzato, come se fossi io quella che l'aveva appena svegliato in malo modo nel mezzo di un sogno, che era veramente bello rispetto agli incubi che avevo di solito.

Socchiusi gli occhi. «Non lo so, ti sembra che abbia scritto in fronte la parola "schiava" o "sguattera di tripla Esse"?!»

Lui ricambiò la mia stessa occhiata e pensai che avrebbe iniziato a farmi una delle sue ramanzine, ma invece mi guardò per un secondo confuso, spezzando lo sguardo minaccioso per un po'. «Tripla Esse?»

«Sua Santissima Stronzaggine».

Rimase impassibile e poi si ricordò la sua missione di vita, ossia "incenerire con gli occhi Morgan ogni volta che la vedo". Rideva mai quell'uomo? Doveva essere bellissimo e avrei scommesso tutti i miei averi che avesse anche delle fossette. Perché dovevo essere attratta dall'unico uomo che non potevo avere e che sembrava anche non volermi? La mia vita faceva schifo.

Mi strofinai le braccia con le mani, provando a generare un po' di calore. Dovevo comprarmi anche delle coperte, quella sottile che avevo era totalmente inutile.

«Tra cinque minuti ti voglio giù». Mi diede le spalle e andò alla porta.

«Era chiusa a chiave!» Gli dissi alzando anche un po' la voce.

«Per me nessuna porta lo è». E poi se ne andò.

Che sbruffone. «Per me nessuna porta lo è!» dissi a bassa voce e con falsetto per imitarlo.

Mi alzai e mi preparai, lavandomi velocemente e togliendo il trucco colato da sotto gli occhi. Dio, mi aveva visto in quelle condizioni... era ovvio che non mi volesse, in quello stato faceva o veramente schifo. Poi indossai una tuta grigia, mi feci la coda e mi lavai i denti.

Il mio stomaco brontolò, ma Aramis non mi avrebbe mai permesso di fare colazione, così abbandonai la speranza e scesi le scale lentamente, solo per dargli fastidio.

«Sono passati nove minuti».

«Hai il ciclo, reverendo?!» Scattai verso di lui, fulminandolo ancora mentre gli andavo vicino. «Si può sapere perché sei più insopportabile del solito stamattina?! L'acqua santa di è andata di traverso?»

Aramis mi fissò e poi scosse la testa, dandomi di nuovo le spalle e uscendo dell'En Garde. Lo seguii controvoglia e mi chiusi la zip del cappotto che avevo. Dio, si gelava in un modo incredibile.

«Lo sai che non puoi costringermi a fare tutto questo?» Gli dissi per il breve tratto di strada, perché quel giorno la mia missione di vita invece era infastidirlo fino all'esaurimento.

«Eppure lo stai facendo».

«Perché...» Sbuffai di nuovo e non riuscii a continuare, perché in fondo aveva ragione. Lo stavo facendo. «Hai ragione, ora me ne vado». Feci dietrofront e provai a ritornare nel locale, ma neanche cinque secondi dopo venni bloccata per un braccio.

Mi girai per affrontarlo, guardandolo in cagnesco.

«Sei costretta perché potrei licenziarti se non fai quello che ti dico». Strinse la presa. «Non ci servi qua, ragazza. Non so se l'hai capito, ma lavori per noi solo perché sei fortunata».

Alzai un sopracciglio. «Chiamala fortuna quella di prostituirsi».

«Nessuno ti obbliga a...»

«Lo so!» Gli urlai contro con tutta la rabbia che avessi. «Pensi che mi piaccia esser scopata ogni giorno da uomini diversi e che mi fanno schifo?!» Alzai la voce ancora di più se possibile. «Idiota del cazzo, andiamo a pulire questa stanza di merda!»

Con uno strattone mi liberai dalla sua presa e con una spallata mi avviai verso la sua chiesa, furente come non mai.

«Signore, se esisti, dammi la forza per non sgozzare un tuo discepolo», borbottai una volta entrata, incrociando le braccia al petto e aspettandolo con un cipiglio grosso quanto tutto il dannato creato.

Aramis non disse niente, forse aveva capito che aveva sbagliato a disturbare il cane che dorme. Lo seguii ancora e lui mi portò in una stanza vicino la sagrestia. Era accogliente se non ci si fosse soffermato troppo sul casino.

C'erano dei disegni incollati al muro, le sedie tutte colorate e vedevo veramente troppe facce di Gesù realizzate dai bambini, ma ero contenta per il fatto che non fossero tutti occidentali. C'erano di tutte le etnie e colori. Quei ragazzini almeno non crescevano troppo con dei paraocchi, per quanto la chiesa già non facesse.

«Sono di là sei hai bisogno», mi disse lui e poi mi lasciò sola.

«Be', grazie tante!» Gli urlai dietro, ironica fino al midollo.

Presi scopa e paletta e inizia a sistemare quello che era per terra, buttando le brutte dei disegni, i nastri colorati e altre cartacce. Ero stanchissima e volevo solo sprofondare in quel letto scomodo e freddo e non fare un dannato favore ad Aramis, anche perché dubitavo che mi avrebbe pagato per quello.

Ci volle un'ora per sistemare tutto in una sola stanza. Una. Sola. E avevo passato tutto il tempo a lanciare maledizioni ad Aramis, che era stato seduto per tutto il tempo fuori la stanza per assicurarsi che stessi facendo il lavoro. Leggeva un libro e ogni tanto mi scoccava un'occhiata del tutto impassibile mentre sgobbavo per lui.

Presi lo straccio e a quel punto decisi che era arrivato il momento di parlare, visto che il silenzio fino a quel momento era interrotto dalle carte che venivano piegate o dal mio stomaco vuoto che faceva i capricci.

Poteva anche andarmi a prendere un cornetto, quel lì!

«Scommetto che hai sentito molte confessioni interessanti, vero?» Dovevo dargli fastidio in qualche modo e un'idea un po' malsana iniziò a formarsi nella mia testa.

Lui non alzò gli occhi dal libro e grugnì.

«Chissà quanti segreti osceni ti avranno rivelato... forse dovrei dirtene due o tre anche io». Iniziai ad avvicinarmi un po', lasciando cadere lo straccio.

«È esattamente l'ultima cosa che voglio sapere, ragazza», sibilò, non guardandomi mai.

Alzai gli occhi al cielo. «Sai, questa mattina quando mi hai svegliato, stavo sognando qualcosa di molto interessante...» Il mio tono grondava di malizia.

«Sei in un luogo sacro, porta rispetto».

«Per portare rispetto dovrei mettermi in ginocchio e pregare, è questo che vuoi da me, padre?» Mi avvicinai ancora e a quel punto mi ritrovai proprio di fronte a lui. Non era proprio il massimo indossare una tuta per provocare qualcuno, ma solo la voce, lo sguardo e le parole... potevano fare miracoli.

«No, io voglio che la smet...»

Ma si bloccò quando mi inginocchiai proprio davanti a lui. «Questo so farlo molto bene, puoi insegnarmi tu con la seconda parte?» Aveva le gambe già semiaperte ed io misi le mani sulle sue ginocchia, graffiando il tessuto che aderiva alla sua pelle.

«Levati», sbuffò come se tutto quello non riuscisse a stuzzicarlo neanche un po'.

«Mi fai dubitare anche dei miei poteri con quel viso così serio». Le mie mani salirono lentamente sulle sue gambe, assicurandosi di toccarne ogni centimetro.

Aramis aveva messo da parte il suo libro e mi stava guardando come fossi... non lo so, non riuscivo a capirlo. Il suo sguardo era criptico, misterioso. Mi bramava e mi odiava al tempo stesso. Ogni volta che arrivava ad un'emozione, cambiava e passava ad un'altra.

Nel suo sguardo c'era un eterno dissidio interiore per il quale combatteva ogni giorno.

«So che voi siete maestri nell'aiutare le persone a liberarsi dai loro peccati». Mi leccai le labbra e i suoi occhi blu seguirono quel movimento. «Perché non aiuti anche me con il mio?»

«Sarebbe?» Pendeva dalle mie labbra e neanche se ne rendeva conto.

Dio, ero nel mio inferno personale e stavo godendo come se quello fosse il mio paradiso. «Aprire per te le gambe, una volta per tutte». Le mie mani arrivarono quasi all'altezza del suo cavallo, sperando di trovare anche l'erezione pronta per me, ma lui mi prese entrambi i polsi e li strinse forte.

Quindi non era poi così assuefatto dalle mie parole...

Mi strattonò verso di lui, che allo stesso tempo si avvicinò a me con il viso. «Il peccato è qualcosa che hai commesso, non che desideri».

«Sì, il mio è un peccato di pensiero e ho bisogno di te per soddisfarlo».

«È esattamente tutto il contrario di ciò che posso fare», mi rispose brusco, ma continuava a stare al mio gioco. Poteva benissimo scacciarmi via, del resto era più forte. Eppure rimaneva lì, inseguendo quella conversazione che stava portando entrambi alla follia.

La verità era che semplicemente gli piaceva tanto quanto a me, ma era bloccato da qualcosa e non per forza dalla sua fede in Dio.

«Ma non di ciò che vuoi». Mi morsi il labbro. «Potesti darmi qualche punizione per essere così sbocciata, padre».

«Non ti fanno già male le ginocchia?» Alzò un sopracciglio, visto che ero rimasta in quella posizione già per un po'.

Scossi la testa. «Come ho già detto, sono abituata». Gli feci anche un occhiolino e lui strattonò entrambi i miei polsi, bloccandomi qualsiasi tipo di movimento. «Ma io pensavo a qualcosa come... legarmi i polsi con questa bella collana e fare della mia bocca tutto quello che vuoi». Aggrappai l'indice al suo pendolo a forma di crocifisso, l'unico movimento che potevo fare, e lo tirai verso di me.

«Almeno in quel caso riuscirò a farti stare zitta per una settimana, petit ange».

Musica per le mie cazzo di orecchie. Adoravo quando dimenticava chi fosse e lasciava uscir fuori il vecchio Aramis, che probabilmente mi avrebbe aperto in due una volta spogliatosi dei suoi vestiti.

Quando parlava in francese mi faceva ribollire il sangue nelle vene per l'eccitazione. Era una delle tante cose che lo rendevano così affascinante e per di più mi aveva dato un nomignolo... che fosse per prendermi in giro o altro, non mi importava. Era mio e presto lo sarebbe stato anche lui.

«Non vedo l'ora». Gli scoccai un sorrisetto e poi decisi di mettere in tavola alcune carte. «Perché mi hai svegliato e perché mi hai costretto a fare tutto questo?»

«Andava fatto».

Aramis mi sottovalutava. «O forse sei semplicemente geloso». Alzai un sopracciglio. «Gelso di qualsiasi uomo che può farmi quello che tu puoi solo pensare. Come il ragazzo che ho baciato proprio ieri notte».

Rimase immobile per qualche secondo, fissandomi con quei suoi occhi così blu da sembrare due perle del mare, che riflettevano abissi pieni di segreti.

Si accigliò e ruppe quella tensione che ci stava legando sempre di più e mi spinse via, facendomi cadere all'indietro. Non me la presi, del resto l'avevo appena scoperto. Così mi alzai con tutta la compostezza che avessi, sorridendogli come se avessi già vinto.

«Ammetti che volevi essere al posto suo». Iniziai a giocherellare con i capelli, attorcigliandoli lungo l'indice. «Perché io non ho paura di farlo».

Mi guardò con disprezzo. «Non è paura», digrignò quasi i denti. «Non parlare di cose delle quali non sai niente». Si alzò e chiuse le mani in due pugni, fiancando le nocche. «Vattene prima che mi arrabbi sul serio».

Scossi la testa. «Se nel tuo cuore c'è solo Dio, lo accetterò, ma non ti credo, perché nei tuoi occhi ci sono solo io».

Poi andai via, ma non tornai nel locale di Athos. Ero talmente accaldata che avevo bisogno di sbollire tutta la tensione che c'era stata tra me e lui in quella chiesa. Sentivo le guance bruciare e quando l'aria gelida mi avvolse, mi sentii un po' meglio.

Restai fuori per un po', girando per quel quartiere che in fin dei conti non conoscevo poi così bene. Non ero mai uscita per fare un giro, del resto non avevo amici con i quali passare il tempo, andare al bar o stare semplicemente insieme.

Passai però a prendermi la colazione, spendendo dollari che invece avrei potuto tenere da parte per comprare qualcosa di più utile. Di solito la colazione la prendevo in prestito dall'En Garde, ma avevo bisogno di una pausa da tutto il mondo che ormai era diventato la mia quotidianità.

Così mi svagai la mente per qualche ora, affacciandomi solamente alle vetrine di alcuni negozi che si affacciavano sulle strade piene di graffiti e un po' malmesse. Potevo solo guardare, mentre gli occhi mi brillavano ogni volta che vedevo qualcosa che desideravo.

Promisi a me stessa che prima o poi sarei riuscita a comprarmi qualcosa per sfizio, per una gioia momentanea. Promisi che me la sarei passata meglio. Lo promisi sempre a quella bambina che credeva di avere un futuro roseo, dal quale però era stata strappata via senza chiedere neanche il permesso.

Sospirai quando ritornai in quella piccola stanza che avevo imparato a chiamare casa, la chiusi di nuovo a chiave e quella volta misi una sedia contro la maniglia per non permettere a nessuno di entrare.

Poi mi girai e mi bloccai, fissando sorpresa una pila di coperte piegate con cura sul mio letto.

Continue Reading

You'll Also Like

311K 991 9
DAL 24 GENNAIO 2023 IN TUTTE LE LIBRERIE FISICHE E NEGLI STORE ONLINE, EDITO GARZANTI Nive non ha mai vissuto in un luogo che potesse definire "casa"...
9.9K 760 7
โœง Lui arriva e sulla cittร  cala un'ombra oscura. Lei sorride e uno sprazzo di luce si libera da quelle tenebre. Morti inspiegabili. Avvenimenti inqu...
45.9K 604 14
แด…แด€ส€แด‹ ส€แดแดแด€ษดแด„แด‡ โ€ข แด‡ษดแด‡แดษชแด‡๊œฑ แด›แด สŸแดแด แด‡ส€๊œฑ "โ„‘๐”ฑ ๐”ฑ๐”ž๐”จ๐”ข๐”ฐ ๐”ฌ๐”ซ๐”ข ๐”Ÿ๐”ฒ๐”ฉ๐”ฉ๐”ข๐”ฑ ๐”ฑ๐”ฌ ๐”จ๐”ฆ๐”ฉ๐”ฉ ๐”ž ๐”ฉ๐”ฌ๐”ณ๐”ข๐”ก ๐”ฌ๐”ซ๐”ข" "๐™Š๐™ ๐™ˆ๐™–๐™ง๐™ฎ...๐™จ๐™–๐™ง๐™–๐™ž ๐™ž๐™ก ๐™ข๐™ž๐™ค ๐™ฅ๐™ž...