Picky Eaters

By Lice_and_catz

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In una Valencia piena di zone oscure e quartieri affamati dai cambiamenti climatici e dalla guerra a Oriente... More

Dediche
Trama
1. La preda
2. La febbre
L'Altrove
4. Henar
5. Funeraria Valdomar
6. Gli Schizzinosi
L'Altrove
7. Famiglia a modo suo
8. Come un taglietto di carta
9. Vita di un cannibale etico
10. Addio e bentornato
11. Piltrafilla
12. Solo un bambino
13. Gli animali sono meglio delle persone
14. Gli insonni

3. La fame

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By Lice_and_catz

TW: questo capitolo è particolarmente violento e ricco di particolari. Se siete molto sensibili, prendetevi un attimo per decidere se leggerlo tutto o saltare l'ultima parte. 

Ivan si risvegliò bruscamente, boccheggiando. Il materasso era un lago di sudore e sangue. Un odore intenso e disgustoso ammorbava l'aria della stanza. Con un lamento, si mise a sedere, avvolto dall'oscurità. La granisca si era ridotta a una pioggerella leggera. La casa era gelida, ma Ivan era accaldato. Gocce di sudore gli inumidivano le guance, il suo corpo era scosso da brividi violenti. Nel buio, cercò di tastare la fasciatura sul braccio. Gli faceva ancora male, ma non tanto quanto prima. Non era quello a farlo sentire così male. C'era una nuova fonte di sofferenza nel suo corpo, e si trovava nel suo addome.

Lo stomaco bruciava come se al suo interno vi fosse lava vulcanica. Bruciava come acido solforico e a Ivan dava la impressione che a breve avrebbe liquefatto tutti gli altri organi. Con il braccio sano si strinse la pancia e il dolore si acutizzò. Aveva già provato qualcosa di simile: due anni prima, a causa di una delle siccità periodiche che funestavano il paese, erano entrati in vigore i razionamenti del cibo. Oleg e lui non avevano documenti ed erano stati esclusi dalle scorte della Misericordia. Per giorni avevano bevuto acqua in cui cercavano di sciogliere qualche bustina di zucchero trovata vicino ai contenitori dei ristoranti. Aveva avuto fame, una fame nera, che fagocitava ogni cosa: pensieri, parole, umanità. Sì, anche l'umanità: quando avevano trovato un cane pelle e ossa con una gamba rotta in un fosso, a lato di una strada verso il mare, gli avevano rotto la testa con una pietra e l'avevano spolpato fino a lasciare ossicini bianchi e lucidi.

Ma quello era ancora peggiore. Il dolore lo piegava. La gola bruciava, gonfia e secca. Ogni nervo, ogni vena, ogni cellula gridava indignata per la sofferenza. Faticosamente, si mise in ginocchio. Doveva mangiare qualcosa. A carponi si trascinò verso l'angolo dove sapeva avrebbe trovato il suo vecchio zaino. Lo afferrò e ci tuffò la mano. Trovò subito il biscottino confezionato che aveva trovato incustodito sul tavolino di un bar. Ruppe con i denti la plastica e se lo gettò in bocca intero. Masticò e deglutì con la poca saliva che gli era rimasta dopo la disidratazione da febbre, ma pochi secondi dopo che le briciole avevano superato l'esofago, Ivan fu scosso da un violento conato di vomito. Spalancò la bocca, mentre il suo corpo si contorceva in preda a spasmi violenti e innaturali. Rigurgitò frammenti di galletta e subito dopo un liquido viscoso e nauseabondo. Il dolore, ora, si era fatto pungente, come se qualcuno lo avesse pugnalato al ventre.

"Oh Dio, oh Dio" mormorò il ragazzo, sentendosi in bocca il sapore del sangue. "Oh Dio, cosa succede".

Si alzò in piedi grazie alla forza della disperazione. Ormai abituato al buio, si trascinò verso il corridoio che portava al piano inferiore. Tentò di gridare il nome di Oleg, ma non ne ebbe la forza. Forse il suo amico dormiva nell'altra abitazione diroccata, forse aveva approfittato della notte per uscire. Ivan non lo sapeva. Sapeva solo che doveva colmare quel bisogno terribile che gli stava torcendo le budella.

L'ingresso, miracolosamente, non era allagato, ma i suoi calzini, l'unica cosa che aveva indosso, si inzupparono subito d'acqua. Scostò faticosamente il pannello e gli stracci. L'oscurità della via e l'odore di asfalto umido lo accolsero al di là della porta. La tormenta aveva concesso una pausa e nel cielo qualche stella occhieggiava tra i nuvoloni grigi. Non si udiva nulla, a parte il lontano mormorio di una Avenida e lo sgocciolio dell'acqua dai tetti malconci. Mosse un primo passo, poi un secondo e un terzo. Trascinando i piedi nelle pozzanghere, abbandonò la porta aperta. Avanzò qualche metro, si fermò nel cono di fioca luce dell'unico lampione acceso stringendo entrambe le braccia attorno all'addome. Digrignò i denti e dalle sue labbra filtrò un flebile suono acuto, il lamento di una bestia sofferente. Si guardò attorno, la strada era deserta come ogni notte di tormenta, ma quando mosse la testa verso sinistra, un leggero refolo d'aria arrivò alle sue narici. Ivan respirò, annusò, percepì un profumo. La bocca gli si riempì di saliva all'istante. Era un aroma a cui a malapena sapeva dare nome: fragranza di frutti di bosco, con note di whiskey e spezie piccanti. Odori di cui aveva potuto godere solo per rari istanti, avvicinandosi ai ristoranti di lusso del centro città, dove a volte chiedevano l'elemosina. Il suo stomaco brontolò indignato: qualcuno nelle vicinanze aveva allestito un banchetto e lui non era stato invitato? Poco importava che non avesse molto senso, vista la povertà del quartiere: la fame ora dominava qualsiasi altro pensiero.

Si raddrizzò, rinvigorito all'idea del ricco pranzo. Annusò di nuovo l'aria, concentrandosi famelico su quelle essenze meravigliose. Ci volle qualche istante prima che la brezza umida gliele offrisse. Mosse di scatto la testa, seguendo quel canto di sirena. Individuò quasi subito lo stretto vicolo laterale da cui sembrava provenire. Ivan si slanciò, attraversando la strada deserta. Raggiunse l'imboccatura della traversa, uno stretto passaggio strangolato da due edifici, dove non si aprivano porte. Lo percorse, arrivando a un bivio. Lì, più forte, arrivò il profumo. Ma non era solo: a destra il bourbon, a sinistra, molto più leggero, l'aroma dolciastro di un frutto troppo maturo, forse un mango. Cosa accadeva nel suo barrio in rovina? Perché c'era odore di festa di ricchi?

Ivan scelse senza troppa fatica: andò a destra. Il profumo divenne più intenso: ora percepiva chiaramente una nuova, corposa nota: quella della bistecca di manzo al sangue. Nonostante il dolore allo stomaco, la sua camminata si tramutò in una corsa sgraziata, tra le pozzanghere e i rifiuti. Svoltò a sinistra, si insinuò in una stretta curva e infine si fermò. Era arrivato in una minuscola piazzetta, chiusa su tre lati. Un rachitico arancio si ergeva nel centro del quadrato e, nell'angolo più distante, un portone diroccato disegnava una rientranza coperta da una corta tettoia di legno. Il profumo in quella piccola piazza era così intenso da far girare la testa a Ivan. La bocca gli si era riempita di saliva e lo stomaco rumoreggiava. Annusò frenetico, muovendo la testa a scatti. Avanzò lentamente, avvicinandosi all'albero. Lo osservò, chiedendosi, come in uno stato febbrile, se fosse quella la fonte del profumo. No, non era lui, ma qualcosa alle sue spalle. Il ragazzo si nascose nella totale oscurità della chioma dell'albero e lo vide.

Era raggomitolato in una pesante coperta di lana dai bordi sfilacciati e bagnati. I cartoni su cui il suo corpo sottile era disteso avevano chiazze nere d'umidità. C'era solo un borsone a riparare la sua testa dal freddo e dagli sguardi indiscreti. Sembrava dormire tranquillo, vista la sua totale immobilità.

Ivan respirò a pieni polmoni. Poi, lentamente, rilasciò l'aria, godendosi ogni singola molecola odorosa. Sì, quell'aroma delizioso veniva da lì. Ora era così penetrante che chiudendo gli occhi era facile immaginare di avere dinnanzi un meraviglioso piatto di carne stufata con salsa di frutti rossi. Incedette in un silenzio surreale. Quando fu a meno di due passi, si piegò sulle ginocchia e osservò quel corpo. Doveva essersi abbandonato ai fumi dell'alcol, a giudicare dalla bottiglia di vino vuota abbandonata al suo fianco. Ivan si rese conto che perdeva saliva dagli angoli della bocca. Se li asciugò con la manica della felpa e nello stesso istante la sua mente emise un clic e seppe cosa doveva fare.

Senza chiedersi perché, afferrò la bottiglia. Fissò per un solo istante ciò che si intravedeva, nascosto tra i capelli e la barba, del volto del senzatetto. Dopodiché, abbatté l'arma improvvisata sulla sua testa. Lo schianto fece volare schegge di vetro ovunque e l'uomo emise un rantolo di dolore. Prima che riuscisse anche solo ad aprire un occhio, Ivan afferrò i suoi arruffati capelli scuri con la mano destra, scoprì il suo collo, e con la sinistra affondò un pezzo di vetro acuminato nella sua carne. Il vagabondo gorgogliò e il suo corpo fu scosso da un brivido violento. Ivan estrasse la scheggia e si gettò su quella gola squarciata, da cui zampillava il sangue. Schiacciò le labbra sulla ferita e iniziò a succhiare, arso vivo da una sete implacabile. Quel liquido caldo e vischioso non aveva nulla del retrogusto salato e ferroso che ricordava: nella sua bocca si trasformava in un delizioso succo di lampone e ribes, inasprito dall'amaro dell'alcol. Bevve fino a quando il suo stomaco iniziò a brontolare rumorosamente. Staccò la bocca dal collo dell'uomo, ormai morto. Girò il cadavere sulla schiena e slacciò prima il cappotto, poi la camicia che aveva indosso. Afferrò di nuovo il pezzo di vetro e lo spinse nella ferita. Con movimenti bruschi e grossolani, riuscì ad aprirsi la strada verso lo sterno e l'addome. Strappò a mani nude un lembo della pelle del petto, ma era ricoperta di peli. Si rese conto che nella parte interna della pancia vi era uno spesso strato di grasso. Mentre il corpo rilasciava calore in sottili sbuffi di vapore, Ivan si mise a quattro zampe e spinse il viso nel grottesco squarcio e iniziò a mordere, strappare, masticare, come un lupo, una iena. Il grasso caldo aveva il sapore del burro alle noci e il muscolo sapeva come il miglior taglio di carne di manzo, fresca, ricoperta dalla salsa rossa del sangue. Perso qualsiasi contegno, Ivan allargò il taglio con le dita, tuffando la faccia all'interno della cavità addominale della preda. Un turbinio di sapori e odori lo colpì, mentre i suoi denti afferravano ciò che potevano e la lingua gustava quella mescolanza di gusti e consistenze. Il fegato era amarognolo e viscido, il pancreas dolce, speziato, morbido come pudding, il polmone gommoso ma soffice. Si fermò, proprio nel momento in cui stava per addentare lo stomaco. Di colpo si raddrizzò, seduto sui talloni, con la metà superiore del corpo totalmente ricoperta di sangue e brandelli di carne e organo. Il dolore aveva abbandonato le sue interiora. Non c'era più alcun frammento di sofferenza dentro di lui, nemmeno il ricordo di ciò che l'aveva fatto trascinare fino a lì. Si ricordò all'improvviso del suo sogno. Di Lutxi.

Non potrai capire fino a quando non avrai provato la fame. 

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