Holy sin

By Claire_Dee_

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π•Ώπ–π–Š π–’π–šπ–˜π–π–Šπ–™π–Šπ–Šπ–—π–˜ π–˜π–Šπ–—π–Žπ–Šπ–˜ I fratelli Lacroix sono famosi nel Bushwick, uno dei quartieri piΓΉ... More

Cast e trope
Prologo
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By Claire_Dee_

┌───────────── •✝︎• ────────────┐
«Rimettere insieme i pezzi richiede
dieci volte il tempo che serve per
crollare»
Suzanne Collins
└───────────── •✝︎• ────────────┘

✝︎

Non ero riuscita mai a programmare nulla nella mia vita, gli eventi si erano abbattuti su di me come delle onde su una nave in mezzo al mare e nel pieno della tempesta.

Ero stata trascinata dalla corrente, avevo visto gli abissi pieni di mostri e con il tempo ne ero diventata uno anch'io. Avevo combattuto con le unghie e con i denti per poter respirare e in fin dei conti non l'avevo mai pienamente fatto.

Avevo vissuto una vita a metà.

Solo di recente ero arrivata alla deriva, per la precisione, proprio quel giorno.

Avevano appena arrestato il mio datore di lavoro ed io avevo perso in sole tre ore tutta la fatica di ben cinque anni, anche perché l'alloggio era incluso nel pacchetto. E va bene che il mio lavoro andava un po' contro la morale e la legge, ma doveva capitare sempre tutto a me?

Non ero una di quelle tipe che si piangeva addosso, nonostante ne avessi tutte le ragioni, ma ero davvero stufa. Non c'era una cosa che andasse nel verso giusto.

Mi ripetevo che dovevo guardare il lato positivo, che ormai non ero più costretta a scopare con persone di dubbia provenienza, ma senza quei soldi come avrei vissuto?

Essere una prostituta non era facile in nessuna epoca. Solo perché ci trovavamo nel ventunesimo secolo non voleva dire che il rispetto, l'igiene e il modo in cui ci trattavano era migliorato. Anzi gli uomini avevano più o meno la stessa considerazione della donna rispetto ad anni e anni prima.

Tutto sommato però era la mia unica fonte di sopravvivenza ed esattamente l'unica cosa che sapevo fare bene, quindi mi ero dovuta adattare.

Eppure in quel momento, alla fine dei conti, ero libera. Se non avessero arrestato il gestore di quella sorta di bordello, io probabilmente sarei rimasta lì per tutta la mia misera esistenza. O fino a quando la mia pelle non avrebbe ceduto e nessuno mi avrebbe più trovato bella.

Quindi per la prima volta, potevo effettivamente decidere qualcosa per me. Programmare, pianificare e progettare...

Sì, nei miei sogni.

In un modo o nell'altro si era sempre schiavi di qualcosa o di qualcuno. Che fossero i soldi, una persona o semplicemente un'idea. E io mi ritrovavo nella merda perché ero ancora assoggettata a tutte e tre le cose.

Quindi ero senza casa, senza un lavoro e per la prima volta senza sapere cosa fare. Del resto avevo avuto sempre qualcuno che mi imponesse come comportarmi e in quel momento ritornai bambina, incapace persino di orientarmi in quelle strade che dovevo conoscere a memoria.

Ma quella situazione così precaria doveva finire subito così com'era iniziata. Lo dovevo a me stessa, a quella bambina che sperava nel giorno che stavo vivendo proprio in quel momento.

Così mi alzai dal marciapiede, dopo minuti di sconforto totale, e mi incamminai a testa dritta e con un borsone che conteneva i miei unici averi, avendo già in mente la prossima meta.

Il mio ormai ex capo aveva altri due fratelli e ringraziai la mia memoria per non aver dimenticato quel dettaglio, dato che tendevo a scordare tutte le cose che mi sembravano inutili.

A quanto avevo capito i fratelli Lacroix possedevano delle attività, sulla carta totalmente legali, ma tolto il primo strato c'erano decisamente molte altre cose, ed era arrivato proprio il momento di fare una chiacchierata con loro. E per chiacchierata intendevo che li avrei obbligati a darmi un lavoro e una casa.

Dovevo prendere in mano la mia vita.

Impiegai esattamente due ore per arrivare al bar. Non era stato difficile arrivarci, ma trovarlo sì. Quel luogo doveva avere una fama tutta sua perché ogni volta che chiedevo indicazioni le persone quasi correvano via. Quindi ero stata costretta ad andare in alcuni vicoli poco raccomandabili per domandare a chi non avesse avuto paura di rispondermi.

Ormai il sole era tramontato e guardai l'insegna verde al neon con uno strano sorriso sulle labbra.

En Garde, diceva la scritta.

In guardia, significava in francese.

Mi piace, pensai avanzando verso l'ingresso.

Mi accolse il solito odore di fumo, una musica diversa da quella commerciale che si sentiva in quel genere di posto e una massa di persone che si comportava come se quel bar fosse una discoteca. Non c'erano chissà quanto clienti, ma la maggior parte era in pista.

Mi guardai un po' attorno.

Ad una prima occhiata quel luogo dava l'idea di esser abbandonato, ma se aguzzavi la vista e facevi caso ai dettagli, ti accorgevi che lo stile diroccato era voluto. Sembrava quasi una vecchia locanda del Sicento, con boccali di ferro sui tavoli, pelli, qualche utensile e cesti appesi al muro e tutto rigorosamente intagliato nel legno. C'erano anche delle rifiniture più barocche, dei piccoli ghirigori agli angoli dei tavoli e nella zona del barman, che aveva un'alta parete piena di liquori e whiskey della miglior specie, facendo così rendere conto al cliente che in fin dei conti non si trovava in una vera e propria bettola.

Mi diressi proprio lì e mi andai a sedere su uno degli alti sgabelli, stringendo bene la presa del mio borsone.

Il barman era un tipo giovane e carino proprio come la sua collega. Era ovvio che fossero di bell'aspetto, dovevano attirare più persone possibili.

Mi rivolsi al ragazzo, sia perché avrei avuto più chance di avere un riscontro positivo, sia perché di solito con le ragazze non ero molto fortunata. Appena mi vedevano mi etichettavano subito come una minaccia e me le inimicavo totalmente nel momento in cui gli uomini finivano per guardare solo me e ignorarle.

Tesoro, non ci posso fare niente se ho questo faccino qui!

«Ciao». Richiamai il ragazzo e lui mi sorrise, senza però mostrare i denti. Mmh, già sapevo che avrei dovuto faticare leggermente di più.

«Come posso aiutarti?»

«Due cose. Bourbon doppio e dirmi dove posso trovare un Lacroix».

Non capii se divenne sospettoso alla mia richiesta, ma mi servì il whiskey che avevo richiesto senza battere ciglio. «Non sono autorizzato a darti questa informazione».

«Io penso di sì. Lavoravo per Porthos. È stato lui a mandarmi qui». Piccola bugia, ma in qualche modo dovevo pur iniziare.

Mi servì il bicchiere con quel liquido ambrato e per il quale non avevo neanche un soldo per pagare. «Non credo proprio, altrimenti ti avrebbe anche detto che non potresti chiedere a me degli altri». Mi fece l'occhiolino e a quel punto mi sorrise.

Maledetto.

«Lavoravo davvero per lui». Mandai giù con un sorso metà del Bourbon.

«Quindi sei...» Non finì la frase, non sapendo esattamente come chiamarmi.

«Sì, sono una puttana, ma puoi chiamarmi Morgan». Lo guardai con il mio sguardo più serio per fargli capire che non ero il mio lavoro, ma una persona proprio come lui e che nessuno doveva chiamarmi in quel modo se non io.

«Va bene, Morgan, ma non posso comunque dirti nulla». Mi rivolse un sorriso che voleva sembrare timido, ma in realtà aveva più il significato di "non so come congedarti, vedi di non rompere il cazzo".

Io l'avrei rotto eccome!

Servì un altro cliente ed io continuai a fissarlo, facendogli capirei che non me ne sarei andata da lì per niente al mondo. Ci mise un po' per ritornare da me e a quel punto sfoggiai il mio miglior sorriso falso, volendo far proprio intendere che lo fosse.

«Ho le mani legate, mi dispiace. Torna un'altra volta, magari riusciresti ad incontrarli per caso», mi consigliò ed io per poco non gli risi in faccia.

Che idea di merda.

«Non li ho mai visti, non so come sono fatti». Mi appoggiai al bancone con le braccia e finii per far scontrare il mio seno con il marmo traslucido nero.

«Confido nella fortuna, mia cara».

Mi sporsi dal bancone e gli afferrai la cravatta, iniziando già ad innervosirmi per quel suo sorriso che ormai era diventato sfrontato. «Ehi, ragazzino, è una questione abbastanza urgente e seria. Smettila con le stronzate e dimmi dove sono i fratelli Lacroix».

Forse non era proprio il metodo giusto, ma stava iniziando proprio a darmi sui nervi.

«Anche io li cerco». Un'altra voce si unì alla conversazione.

Ci girammo insieme e iniziai a far caso al ragazzo che era seduto proprio allo sgabello affianco al mio. Quando era venuto? Avrei dovuto accorgermene se qualcuno si fosse avvicinato così tanto.

«Ecco perfetto, stasera tutti vogliono vederli». Il barman sbuffò e si tirò indietro, sgusciando dalla mia presta.

«Tu saresti?» Gli allungai una mano, sempre molto estroversa, incrociando per la prima volta certi occhi di un marrone così intenso da chiedermi se non indossasse le lenti colorate. Non sembravano veri ed era la prima volta per gli occhi scuri, di solito erano sempre quelli chiari a spiccare.

«Wayne D'Artagnan. Al vostro servizio, mademoiselle». Mi prese la mano e la baciò, facendomi stranire per un momento e quello dopo sorridere in modo malizioso.

Raramente prendevo subito in simpatia qualcuno, ma quel viso così fresco, pulito e in un certo senso scherzoso, mi piacque subito.

«Morgan». Feci un inchino con il capo per stare al suo gioco. «Cosa vi porta in questa taverna, monsieur?»

Il suo sorriso divenne quasi una cicatrice amara e perse un po' di giovinezza nei suoi tratti cosi armoniosi. «Questioni private e voi?»

«Temo la stessa identica cosa».

Era ovvio che non volesse scoprire le sue carte, non l'avrei fatto neanche io con uno sconosciuto in un posto come quello in cui ci trovavamo.

Il ragazzo si girò verso il barista, facendo ricadere dei boccoli castani sulla fronte. Sembravano leggeri e appena lavati. «Devo davvero incontrarli».

«Sono con lui», dissi prontamente.

«Ragazzi, davvero, non posso dire nulla. Anche perché non lo so». Suonava davvero come una bugia e a quel punto servivano davvero le maniere forti. «Probabilmente non sono neanche qui». Altra bugia.

Persone come loro non lasciavano il loro covo.

Mi sporsi verso di lui con l'espressione più maliziosa che avessi. «Quindi se dovessi iniziare ad urlare, chiamandoli a gran voce e....»

«Ehi, non si scherza con questa gente». Ecco che la facciata tanto carina si sgretolava.

«Invece sì, se ne fai parte anche tu». Gli feci l'occhiolino e poi guardai Wayne. Bastò un solo sguardo e lui capì esattamente il mio gioco, dopo un po' iniziamo a gridare.

«Ah! Quindi i Lacroix sono esattamente dietro quella porta!?» Iniziò lui, improvvisando totalmente e cercando di superare il volume della musica, che fortunatamente non era molto alta.

«Credevo che non ti fosse permesso parlare di certe cose! Andrò a lamentarmi di te, signorino!» Continuai io. «Signori capi Lacroix, avete sentito che razza di scagnozzi avete?» Forse li stavo anche un po' prendendo in giro, ma non avrei attirato la loro attenzione senza qualche tipo di provocazione.

«Che vergogna! Spifferare così la loro posizione super segreta!» Sbatté anche una mano sul bancone, recitando la parte alla perfezione.

Dio, potevo amare quel ragazzo. Dovetti addirittura costringere ogni mio muscolo facciale per non scoppiare a ridere fragorosamente.

«Smettetela immediatamente!» esclamò il barman, guardandosi attorno un po' in ansia.

«Lanci il sasso e poi vuoi ritirare la mano? No no, ragazzo, non si fa! Avete sentito Lacroix?» disse Wayne, guardando poi me super indignato.

«Non solo vi ha traditi, ma ora vuole tradire anche noi! Una persona proprio della peggior specie. Lacroix io mi sceglierei meglio i miei fidati!» Caricai la dose e ormai una buona parte delle persone presenti ci stavano guardando, provando a capire se fossimo pazzi o ubriachi o entrambe le cose.

La nostra povera preda provò a non perdere il controllo.

«Se è così facile scoprire dove sono, allora forse non sono poi così...» Qualcuno mi afferrò il braccio che avevo alzato, visto che volevo far vedere quanto fossi indignata agitando un pugno in aria.

Poi incrociai due occhi blu e un cipiglio che aveva tutta l'aria di spezzare le ossa a qualcuno. «E tu chi cazzo sei?» Lo chiese, ma in realtà non voleva una risposta, perché ci mise un secondo per trascinarmi con sé, come fossi un sacco di patate.

L'uomo era pelato, alto due metri e con delle spalle che non riuscivano a farmi vedere nulla per quanto fossero grandi. Quando mi girai per guardare il mio nuovo complice improvvisato, notai che anche lui era stato immobilizzato e trascinato da altri due omaccioni grandi e grossi.

Che ci stessero sbattendo fuori per il casino?

«Ehi! So camminare da sola, Omino Michelin!» Sperai che quel nomignolo fosse un insulto, perché l'unica volta che l'avevo sentita era da un cliente italiano contro una delle mie vecchie guardie del corpo che avevo al vecchio lavoro. E i due tipi si somigliavano tantissimo.

«Stai zitta!» Mi intimò a denti stretti, visto che altre persone continuavano a girarsi verso di me.

Mhh, era molto strano tutto quello. Insomma, ai bodyguard non importava un accidenti di quanto casino facessero i clienti, l'importante era che venissero buttati fuori dal locale. Perché sembrava che non volesse attirare l'attenzione?

Qualsiasi motivo fosse, non permettevano a nessuno di toccarmi in quel modo. Non più. Così iniziai a dimenarmi come una forsennata, gli tirai calci e pugni. Non che servissero a molto, ma non mi avrebbero più sottomesso in alcun tipo di modo.

Solo dopo qualche secondo mi resi conto che effettivamente non voleva buttarmi fuori, ci stavano conducendo nel corridoio scuro che avevo già notato prima.

«Vuoi starti un po' ferma?!» Mi abbaiò contro, quando provai con l'altra mano a graffiargli tutta la schiena, provando poi a morderlo anche sul braccio. Mi bloccò per i polsi, come fossi ammanettata a lui e strinse forte, facendomi sibilare per la rabbia e il dolore.

«Ehi! Vacci piano, Vin Diesel!» Si fece sentire anche Wayne Cognome-Strano D'Artagnan. Voleva provare a difendermi?

Non ne avevo bisogno, potevo cavarmela da...

Prima che potessi pensare a qualsiasi altro modo per fargli male o almeno dargli fastidio, lui mi scaraventò in una stanza, facendomi finire per terra carponi e facendomi sbattere le ginocchia.

«Brutto stronzo che non sei altro! Ora ti taglio le...» Alzai la testa e dovetti bloccarmi, anche perché solo in quel momento mi resi conto che le mie mani non erano sul pavimento, ma su due cosce aperte e decisamente muscolose.

I miei occhi percorsero delle gambe lunghe e rivestite da un pantalone elegante, arrivarono al cavallo e si soffermarono lì per qualche secondo. Non sembrava messo per niente male il ragazzo. Passai poi sulla camicia nera e un po' larga, che però faceva comunque notare quanto fosse ben piazzato il suo petto e le sue braccia. Al collo aveva una catena con una croce d'argento, sembrava di vecchio stampo e intrecciata con alcune lame e filo spinato.

Poi arrivai al suo viso e non riuscii più a distogliere lo sguardo.

Due perle azzurre mi fissavano, indignate e soprattutto incazzate, mentre il cipiglio non faceva altro che sottolineare quanto non mi volesse così vicino. Anche le labbra carnose sembravano contorte in una smorfia e i lineamenti affilati rendevano ancora più austera e affascinante la sua figura.

Chi diamine era quel demone bellissimo che avevo di fronte?

Deglutii e spezzai il silenzio sempre nel modo meno opportuno.

«Be', di solito non avete mai quell'espressione quando sono in questa posizione». Per qualche momento mi presi anche la libertà di palpargli quelle cosce, giusto per capire se fossero davvero muscolose. Sì, lo sono, cazzo. «Ma c'è sempre una prima volta per tutto».

Poi decisi che era arrivato il momento di non tormentare più la mia dignità e mi alzai, sbattendo le mani sulle ginocchia per pulirle e massaggiarle al tempo stesso.

Mi voltai verso l'energumeno che mi aveva fatto finire per terra e gli puntai un dito sul petto. «Spero che la prossima volta che ti succhieranno il cazzo, finiranno anche per morderlo, animale!»

Lui fece un sorrisetto e Wayne soffocò una risata, visto che avevano condotto anche lui lì con me. «Vuoi provarci tu, tesoro?»

«Con piacere». Feci un sorriso sadico. «Ma lo ridurrò di svariati centimetri, tesoro».

«Lexi, ora ci pensiamo noi qui». Parlò un'altra persona, della quale neanche mi ero resa conto, troppo concentrata a fissare il tipo con il crocifisso e ad insultare Coccia Pelata.

Mi girai e incontrai un'altra bellezza.

Ma come li crescevano i ragazzi da quel lato del quartiere?

Era molto simile al primo che avevo incontrato, ma sembrava più piccolo di età. I capelli neri erano gli stessi e anche il colorito del viso, ma gli occhi erano diversi. Quello sembrava avere della giada incastonata nelle orbite per quanto fossero verdi le sue iridi.

Mi girai verso il bodyguard. «Ti chiami Lexi?!» Sghignazzai, immaginando già quanto potesse sentirsi a disagio un uomo grosso come lui con il nome che si ritrovava, alquanto femminile.

Lui se ne andò sbuffando e lanciandomi qualche maledizione che non compresi.

Ci lasciò soli con quelli che cominciavo a credere fossero effettivamente i fratelli Lacroix.

Sguardo da criminale, aspetto più che minaccioso e attorno a loro aleggiava quella sorta di aura da persona ricca e potente che poteva fare e avere qualsiasi cosa.

Non avevano ancora neanche aperto bocca e già sapevo che sarebbe finita male per me e Wayne, qualsiasi cosa volesse da loro.

«Chi siete?» Parlò il più giovane dei due, anche se io avevo occhi solo ed esclusivamente per l'altro.

Mi era capitato davvero raramente di avere a che fare con uomini così belli. Al bordello non facevano altro che arrivare vecchi con le tasche bucate e i ragazzi della mia età erano verginelli che non sapevano neanche cosa fosse un clitoride.

Non avevo mai avuto tempo per un fidanzato vero e proprio, be', non negli ultimi quattro anni almeno, e quindi spesso e volentieri rimanevo ancora un po' affascinata quando mi ritrovavo faccia a faccia con qualcuno di così bello.

Era il peccato in persona quello lì ed io non potevo far altro che leccarmi le labbra come una pantera pronta all'attacco. E più era difficile la conquista e più mi piaceva provarci e quel tipo grondava indifferenza per ogni tipo di cosa o persona.

Non mi guardava neanche e quello la diceva lunga. Di solito quando entravo in una stanza, ero abituata a ricevere un sacco di sguardi e quando mi puntavano, non si scollavano più. E non lo dicevo per vantarmi, era letteralmente un dato di fatto.

«Sono Wayne D'Artagnan e lei è Morgan». Mi precedette il mio nuovo amico.

«Grazie, tesoro, ma io parlo per me». Lo interruppi subito e a quel punto guardai il ragazzo che aveva fatto la domanda. «Siete i fratelli Lacroix?»

Nessuno mi rispose e alzai gli occhi al cielo.

«Nel caso in cui lo foste o li conosceste... lavoravo per Porthos, ma so che proprio ieri è stato incarcerato per chissà che cosa e sono qui per un lavoro e un alloggio». Incrociai le braccia al petto e li guardai entrambi, risoluta e...

Cazzo, la borsa! L'avevo lasciata là perché Lexi non mi aveva permesso neanche di battere ciglio e mi aveva trascinata di peso.

Volevo correre fuori e andare a ripescarla, ma sapevo benissimo che una volta uscita da quella stanza non avrei avuto più nessuna possibilità per entrarci. Forse me l'avevano già rubata...

Non dissero niente, ma quando nominai il fratello si scambiarono un'occhiata. Sembravano anche abbastanza tesi.

Il più giovane si appoggiò al muro e solo in quel momento mi resi conto cosa ci fosse attorno a noi. Era una sorta di studio, forse lì ricevevano dei clienti o gestivano la parte amministrativa di quel locale. C'era una scrivania al centro e due poltrone proprio affianco un caminetto acceso.

Lo fissai per un po', cercando di assorbire il più possibile quel calore e godendomi quel momento, visto che non ne avrei rivisto uno tanto presto. In fin dei conti era febbraio, faceva troppo freddo fuori e io ancora non avevo un tetto sulla testa.

«Tu?» Chiese a Wayne, senza rivelare chi fosse o rispondere a me.

«Io voglio unirmi a voi», disse quello ed io alzai di nuovo gli occhi al cielo.

Erano le suffragette e io non lo sapevo?! Un movimento anticonformista di cui non ero a conoscenza?! Erano criminali, accidenti!

Lui fece un mezzo sorriso, molto più simile ad un ghigno. «Lexi! Portali fuori!»

Sgranai gli occhi e inizia a scuotere la testa, ma il ragazzo che avevo conosciuto neanche dieci minuti prima, parlò ancora. «So di Buckingham».

I due si bloccarono totalmente e neanche due secondi dopo il ragazzo si staccò dal muro, gli mise una mano sul petto e lo spinse verso la porta. «A te ci penso io, tu occupati di quest'altra».

Io sarei quest'altra?!

Stetti per dirgliene quattro, ma a quel punto lui si era già chiuso la porta alle spalle, lasciandomi sola con uno degli uomini più belli che avessi mai visto.

Doveva avere all'incirca trent'anni, ma per tutto il fascino che emanava sembrava quasi un ragazzo della mia età. Io ne avrei compiuti ventidue tra un mese.

Rimaneva lì, in silenzio e costretto a guardarmi, visto che ero l'unica persona in quella stanza. Era seduto su quella poltrona come fosse un trono, pronto a giudicarmi con quei suoi occhi talmente azzurri da racchiudere il mare e tutti i suoi incubi e meraviglie.

«Vostro fratello mi ha letteralmente mandato in banca rotta». Iniziai, visto che lui non accennava a dire nulla. «Tutti i soldi che ho messo da parte sono spariti dal mio conto nel momento in cui l'hanno decretato colpevole in tribunale ed io non so proprio come cazzo abbiano fatto!» Iniziai anche un po' ad infervorarmi, mentre la realtà della situazione in cui mi trovavo cominciava a cadermi addosso come un macigno pesante. «Sono senza casa e senza lavoro e ora sono anche un vostro problema».

Ci fissammo in silenzio per svariati secondi ed io contai mentalmente fino a dieci per dargli il tempo di assimilare quello che gli avevo detto. Poi schioccai le dita, allungando un braccio.

«Ci sei? Parli la mia lingua? Dio, questo è sordo», sussurrai per non farmi sentire, ma poi mi sentii in colpa per averlo detto perché in fin dei conti non ero così stronza e gli chiesi con il linguaggio dei segni se mi capisse oppure no.

Fortunatamente avevo una collega che era sordomuta e mi aveva insegnato qualcosa per poter parlare con lei.

A quel punto però lui si alzò e deglutii per quanto fosse alto, vedendo tutta la sua corporatura una volta in piedi. Doveva sfiorare i due metri, sicuro superava il metro e novanta, e con quelle dannate spalle poteva benissimo essere un giocatore di basket e nuotatore professionista.

Bene. Alto e anche dotato (sì, ormai riuscivo a capirlo anche con tutti i pantaloni). L'uomo perfetto da scop... sposare.

«Qui non si fa beneficenza». Parlò ed io rabbrividii di piacere. Quella voce era profonda, bassa, gutturale e mi avrebbe convinta a fare qualsiasi cosa. Per di più aveva un accenno di francese che riusciva a rendere molli le mie gambe. Si vedeva che era davvero lì da tanti anni, anche perché dovevi farci davvero caso per notarlo, come per il fratello, che invece aveva parlato molto di più.

Erano decisamente loro due i Lacroix.

«Infatti non lo è. Lavorerei per voi e mi guadagnerei ogni cosa. Voi avete un debito con me».

Alzò un sopracciglio scuro.

«Non mi interessa che non c'entrate niente direttamente, io mi ritrovo senza casa per colpa di vostro fratello». Alzai il mento in segno di sfida e provai a darmi un'aria da dura. Dentro di me invece speravo sul serio che accettasse.

«Non è un problema mio».

«Lo diventerà». Mi avvicinai di un passo, sempre a testa alta. «Posso lavorare qui come barista e se mi date una stanza posso far venire qualche vecchio cliente». Proposi, rabbrividendo mio malgrado. Non volevo assolutamente spogliarmi altre volte per persone che non desideravo, ma per sopravvivere avevo sempre fatto di tutto.

«Qui non accogliamo le puttane», mi disse freddo.

Be', in fondo era quello che ero. Niente di più niente di meno. Solo che era sempre triste e brutto quando mi chiamavano in quel modo.

Nonostante tutto mantenni la corazza e iniziai a guardarlo con occhi diversi. Era talmente bello che faceva paura ed era altrettanto spietato.

Stupida io che avevo creduto che dei criminali potessero avere un briciolo di compassione per una ragazza che aveva appena perso tutto.

«Già, immagino che i posti siano tutti occupati da coglioni arroganti e senza un briciolo di anima come te».

Non disse niente, le persone come lui non reagivano mai al sarcasmo né quello passivo aggressivo né a quello che aveva una piega più divertente. Quelli come lui sembravano morti dentro quanto si mostravano da fuori e quello che avevo davanti i miei occhi sembrava esser marcio fino al midollo.

Lo capii non solo per ciò che disse, ma anche per lo sguardo. Era freddo, spento e privo di qualsiasi interesse verso il resto del mondo. Purtroppo erano occhi che potevo capire fino ad un certo punto, perché per quanto avessi sofferto, non avevo permesso a niente e a nessuno di spengere l'ultimo spiraglio di umanità che avessi.

Lo fissai per qualche altro secondo e poi decisi che era arrivato il momento di andare via.

Non mi preoccupai di nessuno, né di Lexi che se la rideva sotto i baffi né della fine che Wayne avesse potuto fare. Lasciai solo uscir fuori dalla mia bocca una delle peggiori imprecazioni che avessi mai detto quando notai che il mio borsone era sparito e poi uscii di fretta e furia da quel locale.

L'aria fredda mi investì come una cascata impetuosa e inizia subito a sbattere i denti.

«E ora che cazzo faccio!?» Imprecai di nuovo, parlando sola come una vecchia matta indesiderata in quella strada buia.

Sperai solo di non attirare l'attenzione di nessuno, avevo le palle piene degli uomini che abusavano del loro potere.

Alzai lo sguardo verso il cielo, ma quello che notai fu la guglia appuntita di una chiesa gotica proprio di fronte a me. Non era molto grande, ma stonava un po' con i palazzetti che la attorniavano, decisamente molto più avanzati, ma comunque malridotti da graffiti e dal tempo.

Quando l'idea si formulò nella mia testa, capii di aver davvero toccato il fondo. Passare una notte in una chiesa perché non si aveva altro in cui stare era davvero squallido. Persino per me forse.

Con un enorme sospiro andai lì dentro, un po' timorosa di quello che avrei trovato, ma sentendo subito sollievo dal vento gelido dell'esterno.

Gli interni erano bellissimi, ma la maggior parte non erano illuminati per la tarda ora. C'erano solo qualche candela accesa e tutto sembrava così tetro da mettere i brividi. Le alte e strette vetrate permettevano di vedere meglio grazie ai lampioni accesi al di fuori e cercai di non fissare troppo le zone buie, visto che la mia nictofobia lì era messa davvero alle strette.

Non c'è nessuno lì. È un luogo asciutto, sicuro e caldo.

Mi sedetti su una delle panche e provai a riposarmi.



Spazio autrice

Ciao Tesss, spero che il capitolo vi sia piaciuto, ho aggiornato perché non riuscivo ad aspettare. Un bacio.

Claire

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