E le stelle ci invidieranno

By Reynawithe08

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"Tutte le stelle sono il sole della propria galassia" Mi diceva Nik prima di cambiare, e io me lo ripeto ora... More

Prologo
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 49
Capitolo 50
Capitolo 51
Capitolo 52
Nota dell'autrice

Capitolo 1

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By Reynawithe08

C'era una voragine dentro al cuore
che invece che riempirsi grondava dolore.

Uno, due
Uno, due
Uno, due
Uno, due

Più forte, più veloce. Mi sposto in continuazione intorno al sacco da boxe.

Uno, due
Uno, due
Uno, due

Colpisco in rapida successione, un pugno dietro l'altro. La spinta parte dalle dita dei piedi e arriva fino alla spalla.

Uno, due
Uno, due
Uno, due

Espiro, inspiro. Tutto il mondo è fermo, ci sono solo io che colpisco, mi sposto e colpisco di nuovo. Prendo a pugni il sacco, ma è come se ci fossero altri al suo posto. Nik, Florence, Fiona...
Sono soddisfatta mentre fatico a respirare per l'affanno.
Sono soddisfatta mentre mi spingo al massimo.
Tutto inizia e si ferma con i movimenti ritmici e potenti del mio corpo.

Libera. Sono libera mentre incanalo tutta la mia rabbia, la mia frustrazione, in questi semplici colpi. Sono così concentrata che non sento il timer suonare alla fine dei due minuti. Il maestro deve gridare il mio nome due volte prima che io ritorni completamente alla realtà, e anche allora una parte di me continua a lottare nella mia mente, contro i miei stessi pensieri.
Perché questa è la mia vita dopo tutto. Una lotta continua contro me stessa. Contro le mie insicurezze e le mie fragilità. Perché io mi rifiuto di sentirmi sbagliata, ma c'è un vuoto dento di me, che mi suggerisce il contrario.

Incrocio lo sguardo dei miei compagni di corso. Colgo soggezione e rispetto. Siamo tre ragazze in un gruppo di quindici persone. Due di loro sono qui per moda, o costrizione, odiano il combattimento o la violenza. Io sono qui per un motivo diverso. Ho della rabbia da cui liberarmi, e non sono capace di farlo in altro modo se non combattendo.

Col tempo ho scoperto che non è la forza fisica a fare la differenza in un combattimento, è la grinta. E io di grinta ne ho. Sono considerata una delle persone più forti in questo corso. Combattere contro di me è l'incubo di tutti i ragazzi della palestra, eppure sento una vocina nella mia testa dirmi che non basta, che devo fare meglio, di più. Mi dice che sono gli altri a essere troppo buoni, che sono così solo per la rabbia che mi porto dentro, e non per il mio talento o la fatica degli allenamenti con cui mi spacco ogni giorno.

<<Non male!>> Ghigna Jaxson e io sorrido scompigliandogli i capelli castani. Devo sembrare così serena... così perfetta. <<Oh, niente di che!>> Minimizzo rimettendomi in fila mentre Simon va al sacco. Sono pronta per un altro round, mi metto in posizione di combattimento e tiro colpi a vuoto più lentamente, riprendendo fiato.
<<L'hai praticamente ucciso, quel povero sacco!>>  Mi dice Eleonor e mi sforzo di apparire soddisfatta del mio lavoro.

Non era abbastanza

Penso, ma non lo dico, non mentre Simon abbassa la guardia costantemente. Se il sacco fosse stato un avversario vero l'avrebbe già messo a tappeto da un pezzo, povero Simon.
Gli altri aspettano pazientemente il loro turno. Sento un peso sul petto, ma è leggero, lo posso ignorare fino a che non arrivo a casa. Magari questa sarà la volta buona che passerà realmente. Magari sarà l'ultimo avviso di una crisi che proverò.

<<Hai paura per il torneo?>> Chiedo a Jaxson, ultimamente lo vedo pensieroso, non scherza più con me come al solito, ma non vuole dirmi cos'ha, e io non lo posso prendere a pugni finché non me lo dice. Com'era prevedibile alza le spalle e scuote la testa, non mi dirà a cosa sta pensando nemmeno questa volta. Jaxson mi aveva aiutata, molto. Mi aveva costretta a socializzare con i miei compagni di corso quando ancora ero troppo sconvolta dal mio litigio con Nik per farmi avanti ed è solo merito suo se adesso sono una delle persone più sociali qui dentro.

Tra me e gli altri ragazzi c'è un bel rapporto.
Non mi vedono come un nemico, ma come un'alleata, una compagna. Non c'è competitività, solo voglia di migliorare, e io ne ho tanta.
<<Chi vuole fare un altro round al sacco?>> Chiede il maestro ad alta voce. A farci avanti siamo io, Terrence e Jaxson. Ignoro bellamente il sorriso caloroso che mi rivolge Terrence, so di piacergli e non voglio spezzargli il cuore. O forse non voglio spezzare quel che resta del mio fidandomi di nuovo di qualcuno.

Terrence e Jaxson non si somigliano affatto, né come modo di fare, né come aspetto, il primo è alto, ha i capelli neri e gli occhi scuri che come specchi per la sua mente rivelano i suoi stati d'animo e i suoi modi pacati e tranquilli. Jaxson invece è irruente e robusto, ha degli occhi molto belli. Sono azzurri e limpidi, come il cielo estivo.
<<Bene! Cominciate!>> Ci dà il via, e io comincio.

Uno, due,
Uno, due,
Uno, due,

Il peso nel mio petto si fa sempre più pesante e aumento il ritmo, mettendoci più forza.

Uno, due,
Uno, due,
Uno, due.

Il tempo passa, arriva l'ora di tornare a casa. Mi fiondo all'uscita. Di solito mi piace fermarmi a chiacchierare, ma stavolta non posso, non ne ho il tempo. Il peso sul cuore è diventato un dolore costante allo sterno che pian piano si irradia lungo le costole. Saluto velocemente tutti e reggendo il mio borsone rosa con dentro i guanti e il casco mi ripeto di dover migliorare. Mia madre mi saluta quando entro in macchina e io boffonchio un ciao di risposta. La vista sta cominciando ad offuscarsi.

Non parlo per il resto del viaggio, che per fortuna è breve, non abitiamo molto lontano dalla palestra. Arrivata mi rinchiudo in camera mia e finalmente smetto di oppormi all'inevitabile.

Mi accascio contro la porta serrata e do sfogo alle lacrime, che scendono copiosamente. Vorrei urlare, ma non lo faccio,altrimenti mia madre correrebbe immediatamente a vedere, e dovrei dirle che non sto bene, che vengo colta spesso da quegli attacchi di panico, perché non so mentire.
E so che vorrebbe portarmi da uno psicologo, ma questo mi farebbe sentire ancora peggio, perché mi sentirei semplicemente qualcosa da aggiustare. Forse è vero, ma posso farlo da sola. Ho solo bisogno di tempo.

Nascondo il viso tra le mani e singhiozzo in silenzio. Non riesco a respirare, ma ormai ne sono abituata, le mie lacrime ammantano il mondo circostante come una soffice coperta sfocata. Quasi confortante, a modo suo.

Sento tanto dolore dentro, che per uscire mi graffia le ossa e fluisce dai miei occhi. Ma non basta, c'è un vuoto dentro il mio petto che invece di colmarsi fa colare fuori altro dolore, creando una voragine sempre più grande.
Non è abbastanza.
Non sono abbastanza.

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