Area 3-13

Por PaolaFerrero9

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All'inizio erano solo John e Jane, due perfetti sconosciuti ritrovati in una zona di contagio. Infetti ma non... Mais

Notte
Fuoco
Sole
Musica
Azione
Sesso
Dopo
Alba
Jack
Ancora
Vicino
Allerta
Soli
Recupero
Tramonto
Squadre
Arte
Sorprese
Immagini
Appendice 1 - Colonna sonora
Jill
Rivelazione
Voci
Junior
Rischi
John
Sogno
Lacrime
Memoria
Imbrunire
Incubi
Aurora
Battaglia
Chiusura
Inverno
Rientri
Caduta
Dolore
Tramonto II
Pensieri
Lontano
Contatto
Rabbia
Adam
Via
Arrivo
Appendice 2 - Mid-fazione
Avanti
Labirinto
Devon
Pattuglia
Joanne
Addii
Caldo
Lauren
Gocce
Schegge

Mesi

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Por PaolaFerrero9

Dean stava suonando, lento, in un locale piuttosto conosciuto in città – il Chemical Stone – famoso soprattutto per i suoi strepitosi cocktails serviti in strani bicchieri di pietra scura e rudimentale.

Ci aveva messo un po' a riacquistare sicurezza. Il fatto di essere stato un Draidem ancora gli procurava lavoro con facilità. Il gruppo non aveva mai dato spiegazioni riguardo alla sua assenza, si erano limitati a dire che non suonava più con loro. Lui aveva fatto lo stesso, inutile creare voci eccessive, sul suo curriculum restava il gruppo e a lui tanto bastava. In fondo, non era nemmeno così terribile senza di loro.

Lavorava, e qualche volta riusciva anche a scoparsi una fan in nome dei vecchi tempi. Lavorava da solo, quasi sempre. Chitarra e voce, come da ragazzino, quando muoveva appena i primi passi nel mondo della musica. Non era più abituato a cantare e le prime volte era stato complicato, quasi si vergognasse della sua voce. Poi quella era venuta fuori, limpida e sincera.

Qualche volta, come quella sera, Dean suonava con un bassista, Alec. In gamba, giovane e idealista. Avevano un repertorio vario, adeguabile a ogni occasione.

Il palco era poco elevato da terra, un metro circa. Sotto, nel buio, si agitavano giovani e meno giovani. Un pubblico eterogeneo, quella sera.

La mano sinistra scorreva fluida sulla tastiera mentre la destra pizzicava dolcemente le corde. Piano, con tutta la calma del mondo. Il basso che forniva il tempo, tutto era perfetto.

Dean sentì un formicolio alla base del collo, appena sopra alla maglietta. Chiamiamola eccitazione, come la carezza provocante di una bella ragazza.

Alzò lo sguardo, prima perso nelle sue note e nella perfezione della musica in sé. Il pubblico sembrava più che apprezzare il brano; dal suo punto di vista, si stava addirittura accoppiando ferocemente sotto il palco. I loro corpi ondeggiavano a un ritmo strano, non controllato dalle sue note, ma da altre pulsioni. Sembravano animali mossi da un improvviso desiderio di sesso violento. Era esterrefatto. Insomma, lui stava suonando.

Che cazzo!

Non aveva sentito arrivare la donna alle sue spalle. Si domandò, per un istante, che fine avesse fatto il servizio d'ordine. Posto che il locale ne avesse uno funzionante. Alec era così concentrato sugli accordi che nemmeno lui si era reso conto di quello che stava per accadere.

Dean non fece in tempo a muoversi, che in un istante lo sentì: un dolore sottile e pungente che trafiggeva la sua pelle...

«Guarda... » Jane ritrasse la pistola che conteneva il siero, indicandogli il pubblico davanti a loro.

Dean impiegò qualche secondo prima di mettere a fuoco la massa che gli pareva indistinta. Se prima oscillava, ora una serie di fantasmi se ne stava lì in piedi a fissare il palco, mentre altri erano seduti a terra con gli occhi persi nel vuoto. I fantasmi erano tutti uguali, o almeno così sembravano. Forse aveva esagerato con la roba e con l'alcol, non era possibile che ci fossero almeno trenta individui vestiti uguali e calvi, bianchi e orrendi, tutti nella stessa sala come una fottuta invasione di vampiri, e che nessuno se ne fosse accorto.

A bocca aperta si sentì gelare il sangue e perse la presa sulla chitarra, che fino ad allora aveva continuato a suonare, nonostante tutto. A quel punto, Alec si accorse che qualcosa non andava e si voltò verso l'amico. La donna in piedi accanto a lui, in una tuta aderente nera e dai lunghi capelli raccolti in una coda di cavallo, era armata e aveva una pistola per iniezioni in mano.

«Cosa diavolo... » riuscì a dire prima che Jane balzasse su di lui e lo colpisse con una gomitata, stendendolo.

Jane settò la pistola per iniettare ad Alec una nuova dose. Doveva dimenticare tutto, perdere ogni nozione della serata. Poi, si girò verso Dean, che la guardava terrorizzato.

«Stai lontano da quelle cose, mi hai capita?» il suo grido si confuse in mezzo al frastuono. Non aspettò la risposta e si lanciò con un balzo dal palco, era certa che Dean non avrebbe fatto avvicinare nemmeno una di quelle creature. Non era il primo che vedeva con quella faccia e non sarebbe certo stato l'ultimo Reagente a portare in viso quell'espressione stupita nel momento in cui si accorgeva della realtà.

Prima di buttarsi definitivamente nella mischia, Jane parlò al comunicatore, chiedendo di recuperare il musicista sveglio, immune e quello stordito, da "ricollocare". Tra le nuove facoltà di Jane, quella di riconoscere i Reagenti in mezzo alla folla era una delle più utili.


David la stava chiamando, la chiamava da un po' quella sera. All'inizio era stato difficile trovarlo. Sentiva tanto fermento, come se l'attività dei Persuasori fosse aumentata in modo esponenziale, di colpo.

Poi si era concentrata sulla sua voce e l'aveva trovato, aveva guidato la squadra di Troy fino a lì e aveva subito percepito Dean, nonostante la droga in circolo nel suo sangue. Era più complicato quando erano fatti di qualcosa; le visioni e l'andamento dei pensieri erano differenti. Aveva pensato di salvare prima lui. Occuparsi di un vivente, prima di inseguire il suo "vampiro".

Pensava che in qualche modo lo fossero, quelle cose. In fondo, si nutrivano di linfa vitale e volontà, assorbivano e prosciugavano gli umani della loro lucidità, energia e a volte persino della loro vita. I Persuasori erano diventati molto più aggressivi negli ultimi tempi, forse a causa delle sempre più frequenti intrusioni delle squadre di repressione. Non potendo confondere, erano obbligati a combattere.

Da quando era entrata effettivamente nella squadra, Jane aveva guidato Troy e i suoi uomini fino ai banchetti dei Persuasori a colpo sicuro. Non aveva mai fallito. Un po' perché seguiva la voce di David, un po' perché sapeva trovarli comunque. Parlare con la prigioniera di quella prima notte di guerra era stato strano. Riuscire a stare accanto a una creatura mostruosa e comunicare con lei senza difficoltà le aveva procurato un disagio profondo, ma era stato anche interessante. Molto.

Parte del discorso non lo aveva riportato ai suoi superiori. Loro non si fidavano di lei, lei non si fidava di loro... Aveva tenuto per sé alcune piccole informazioni utili.

David non era in sala, lui non banchettava come gli altri, lui sceglieva le sue vittime con una precisione quasi chirurgica. Era maledettamente furbo e nonostante la squadra fosse arrivata spesso a lui, non erano mai riusciti a prenderlo, quasi sempre per un soffio. Tutti tranne Jane, che lo aveva avvicinato un paio di volte, anche se non era mai riuscita a fermarlo e a fargli le domande che voleva.

Stavolta stava correndo per il labirinto di passaggi intorno al locale, lo sentiva vicino, sapeva che lui la stava aspettando. La voce era chiara, invitante.

In qualche modo, David esercitava un potere incredibile su di lei. Non la controllava come avrebbe voluto, ma allo stesso tempo Jane non riusciva a contrastarlo fino in fondo.

I corridoi erano immersi in un buio profondo, era pericoloso attraversarli così in fretta, con così poca attenzione. Ma sapeva di non correre rischi, i più la percepivano come una di loro, non la toccavano mai. Era difficile che i seguaci di David tentassero di fermarla, colpirla o assalirla. Vantaggi dell'essere contaminata, portatrice sana della loro stessa infezione.

Entrò di corsa in una specie di magazzino, David aveva tra le braccia un ragazzo biondo con boccoli dorati che gli scendevano fino alle spalle. Era intontito, stava in piedi accanto a David, che sembrava così bello da togliere il fiato. Jane si fermò immediatamente e sfoderò la sua arma. Non avrebbe sparato, già lo sapeva, ma David no.

«Lascialo!» gli disse, decisa.

«È già mio, lo vedi anche tu... » rispose calmo.

«Gli hai riservato il mio stesso trattamento?»

«Non proprio, Micaela».

«Non chiamarmi così, non sono più Micaela Warren».

«In qualche modo lo sarai sempre» allungò una mano verso di lei. «Vieni, raggiungici».

Jane non riuscì a fermarsi, forse non lo voleva affatto. Voleva toccarlo, sentire se era gelido come gli altri, lui che era così diverso. Camminò come in trance fino a loro, dritta verso un obiettivo che le appariva tanto importante quanto invisibile. Il ragazzo biondo si girò verso di lei, gli occhi non erano del tutto cambiati: più scuri, non lattiginosi e vacui. Per un istante, Jane riuscì a pensare che David lo avesse trasformato in uno di loro. Poi il pensiero si perse. Il richiamo di David era più forte, ora che si era nutrito. Arrivò a poco più di un metro da loro e si fermò; la mano di David era stabilmente umana, così pure il suo aspetto. Qualcosa era cambiato, ma lui tendeva il palmo verso Jane e lei non poteva evitare di unire la sua mano umana a quella che non lo era più o forse non lo era mai stata.

Si allungò verso di lui, David sorrideva e non parlava più, aspettava solo di poterla toccare.

Il contatto fu quasi elettrico. Una leggera scossa fece vibrare la colonna di Jane, dal collo lungo la schiena, in un gioco di immagini e parole che le invadevano la mente, incomprensibili. Si sentì sollevare da terra, ma sapeva che non era vero.

Fu in quel preciso istante che Troy irruppe nella stanza. L'espressione del suo volto, osservando Jane che toccava David, si indurì. Il ragazzo biondo si staccò velocemente dal leader e si diresse verso Troy, con passo sicuro.

«Jane, vattene da lì!» Troy voleva sparare a quel pezzo di merda, uccidere il capobranco, eliminare quella presenza così differente dai suoi simili. Con gli altri era più facile. David aveva sempre più l'aspetto umano, ma freddare un uomo era diverso, eccome.

Jane non si muoveva, continuava a sfiorare la mano di David, in uno scambio di effusioni quasi irreali ma così tanto eccitanti. Era decisamente persa.

«Jane!» gridò ancora, mentre dal fondo del corridoio sentiva arrivare il resto della squadra.

David sapeva che stavano arrivando e li aveva lasciati pasteggiare fino all'ultimo, rischiando così di perdere parte del suo branco. Nel momento in cui Jane però aveva fatto irruzione sul palco, lui aveva fermato le danze e richiamato i suoi. Molti erano già fuggiti, la squadra aveva fatto in tempo a farne fuori appena una decina, mal contati. Gli infetti erano il triplo. Una strage.

Jane era stupita dal calore della mano di David, così umana nonostante tutto. Quello che stava invadendo la sua mente era il modo di David di comunicare con lei. Sapeva che tutto era importante, non poteva smettere di ascoltare. Lo avrebbe capito meglio poi, ma per adesso era fondamentale ricevere tutti i suoi dati. Sentiva Troy, ma non voleva spostarsi, lui lo avrebbe ucciso.

Lo sparo partì, Troy aveva colpito il biondino a una spalla. Non sapeva che cosa fosse in quella bizzarra scala evolutiva, ma voleva portarlo alla base. Eppure il ragazzo si era rialzato, sanguinante, ed era sparito nel buio.

Il colpo fece sobbalzare Jane, e David perse il contatto. Tuttavia, Jane rimase immobile a fare da scudo umano. David le sorrise e quasi sparì nel buio, con una velocità impressionante.

«Sei impazzita?» Troy le stava gridando contro. «Perché ti sei avvicinata così? Non sappiamo cosa potrebbe farti... »

«Non mi ha fatto niente, Troy» Jane sembrava calmissima. «Voleva solo parlare con me. Qualche volta potresti farlo anche tu invece di darmi ordini come fossi uno dei tuoi soldati... »

Jane si avvicinò a Troy, gli mostrò la mano con cui aveva toccato David. Un debole residuo di elettricità le faceva brillare le dita. Toccò Troy e qualcosa successe anche a lui: vide qualcosa, questo Jane lo percepì in modo chiaro.

«Ora capisci?» gli disse «Aveva bisogno di toccarmi».

«Puoi dirmi cosa ti ha comunicato?» Troy era troppo confuso per mettere insieme le immagini che si susseguivano frammentarie nella sua mente.

«In realtà devo ancora capire, non è semplice» era vero, «ma te lo dirò. Parola».

Jane era colpita da tutto quello che le passava per la testa. Aveva paura che il contatto avesse aperto a David un nuovo canale e che lui le avesse letto dentro. Ma non era sicura che potesse farlo, non aveva avuto tempo di pensare mentre erano in simbiosi.

Dean era con la squadra, li avevano raggiunti. Tra poco il locale avrebbe preso fuoco, insieme agli infetti non recuperabili e con una nuova tragica notizia per il giorno dopo. "Dean Straightlay, ex chitarrista dei Draidem, era morto nell'incendio del locale in cui stava suonando. Salvo il suo collega Alec Lyman, giovane promessa della musica, che non ricordava nulla della sera precedente, forse a causa della droga assunta".

Dean continuava a chiedere che cosa stesse succedendo. L'STP6 iniettato gli aveva mostrato il vero volto di quelle creature, ma lui non credeva a quello che aveva visto. Ne era spaventato e schifato. La donna che era salita sul palco stava lì, parlava con un tizio armato di tutto punto. Una specie di esercito era entrato e aveva sparato a tutti i mostri che aveva trovato. Avevano controllato i ragazzi a terra e ora...

Era troppo. Un'allucinazione così non poteva essere colpa della pillolina magica di Alec. Si mosse verso Jane, confuso. Le si parò davanti giusto un istante prima di svenire. Troy impedì al corpo privo di sensi di crollare a terra, poi alzò lo sguardo alla sua compagna e le sorrise. Jane sentì qualcosa di strano alla bocca dello stomaco, guardando il sorriso di Troy. Non aveva mai sorriso una volta da quando lo aveva conosciuto.

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