Kidnapping / Leltra (Leo & Be...

By goldxn_arrow

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Betra si ritrova a dover chiedere aiuto ad una vecchia amica per ottenere ciò che desidera per sé e per Leo. ... More

Parte 1
Parte 2
Parte 3
Parte 4
Parte 5
Parte 6
Parte 8
Parte 9
Parte 10
Parte 11
Parte 12
Parte 13

Parte 7

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By goldxn_arrow

Seduto al posto del guidatore, Bee si volta e contorce il braccio verso il sedile del passeggero, afferra il borsone e me lo lancia in grembo.

«Mascherina.» mi ricorda, a sua volta indossando la sua.

La pandemia torna comoda se non vuoi farti riconoscere dalle autorità troppo rapidamente.

Bee ha avuto l'accuratezza di scegliere due mascherine di modello diverso, per evitare di essere associati l'uno all'altro in alcun modo.
La mia è una chirurgica arancione brillante, intonata al mio vestito, mente la sua è la classica FFP2 bianca.

All'occhio di un esterno, può sembrare un'accuratezza irrilevante.
Tuttavia, più di 17 anni trascorsi fianco a fianco ad imparare questo genere di lavoro, ci ha fatto comprendere che non esiste sottigliezza irrilevante.
Qualunque cosa che possa collegarci l'uno all'altro agli occhi di un esterno, va sostituita con elementi di differenziazione.

«Walkie-Talkie?» domando.

Bee mi guarda storto.
«Hai mai visto una Winx girare con un Walkie-Talkie agganciato allo scollo del vestito? Non arriverà ad essere più di tre ore di missione, non serve esporsi tanto.»

Aggrotto le sopracciglia.
Non mi piace.
La comunicazione è basilare per tutto, dalle relazioni al crimine organizzato.
Te lo insegnano sia in psicologia che nella mafia.

«Tuttavia.» aggiunge, ristorando la mia speranza nella sua intelligenza, «È necessario che tu sappia comunicarmi quando intenderai uscire dall'edificio.» afferma, rovistando ulteriormente nel suo borsone.

Mi porge un auricolare Bluetooth.
Sembra di scarsissima qualità, ha un pulsantino sull'esterno e la plastica che lo compone sembra dolorosamente leggera.

«L'ho fatto modificare,» sottolinea leggendo lo scetticismo sul mio volto «quando premerai il pulsante esterno, invierà un segnale alla mia radiolina da sorvegliante e vibrerà per confermarti la mia ricezione. A quel punto, saprò che stai uscendo dall'edificio con almeno due bambine insieme a te.»

«Limita la comunicazione.» sottolineo «Come faccio a farti sapere se qualcosa va storto?»

«Non lo farai. Ho detto che abbiamo tre ore di tempo. Appena tu varcherai la soglia dell'edificio, scatteranno i centottanta minuti. Se entro il limite massimo non ne sarai uscita, rimarrai qui. Non posso rischiare. La guardia che sostituisco ha avuto solo mezza mattinata di permesso, se ci fosse un elemento in più, il nostro intero piano sarebbe in bilico. Dhalia ha piazzato sul terreno i dipendenti con cui ha più confidenza, quelli che sapranno tenersi per sé ciò che vedranno oggi. Nessuno ci garantisce che nuovi soggetti siano altrettanto silenziosi.»

Annuisco senza intervenire nuovamente.

Bee si allunga sul cruscotto, aprendo il vano portaoggetti davanti a me e recuperando un documento falso.
Faccio per prenderlo, ma lui ritrae la mano.
«Passcode: ramarro.»

Non capisco, ma non domando.
Mi porge il documento falso senza aspettare un mio cenno alla sua affermazione.
Non leggo mai il nome riportato prima dell'infiltrazione, rito scaramantico.
Faccio scattare la giarrettiera sulla mia coscia e incastro il documento tra pelle e laccio.
«Parti prima tu.» mi sorride Bertra.

Gli lancio un'occhiata e apro la portiera, per sgusciare fuori senza tante cerimonie e dirigermi all'entrata dell'edificio prima che i bambini facciano il loro ingresso.

Qui, mi attende il mio primo ostacolo.

La guardia dell'ingresso.

Mi schiarisco la voce.
"Melliflua come sciroppo." diceva mia madre.

«Buongiorno~» mi introduco da lontano alla guardia, che alza gli occhi su di me.
Gli sorrido da sotto la mascherina e approfitto della distanza per aggiungere una leggera oscillazione alla mia camminata.
La camminata da passerella funziona, perché la guardia si sofferma a fissarmi per quell'istante che mi permette di osservarlo senza renderlo ovvio.
Maschio, caucasico, tra i trenta e i quatant'anni d'età, mascherina ben aderita al volto, occhiaie profonde, postura estremamente eretta, altezza nella media, ma corporatura spessa e statutaria, sproporzionato, collo taurinio, braccia robuste, vita spessa, petto largo e gonfio.
Ex-militare o buttafuori part-time?
Niente cicatrici visibili sulle mani o sul volto, niente tremolii nelle dita, nessuna avamposizione di una gamba rispetto all'altra, braccia rilassate.
Buttafuori.

Batto le ciglia lentamente, squadrandolo dalle scarpe al volto, e sorrido da sotto la mascherina.

«Buongiorno.» afferma saldo.

La mellifluità nel mio tono e la psicologia nei miei gesti non sembrano alterare la sua posizione salda, ma sono comunque funzionali: se mi presento come civettuola e frivola, l'idea di essere colpevole di un crimine maggiore come il rapimento di un minore risulta meno concreta.

«Sono l'animatrice della mattinata, mi saprebbe per caso dire dove posso prendere posizione?» domando dolcemente.

«Dovrò prima chiederle di fornire documento d'identità, signorina.» ribatte.

Gli sorrido, per niente intenzionata a dargli ciò che domanda.
Rispondo con una risatina idiota.
«Non penso che Dhalia sia contenta di tutto questo spreco di tempo. Specialmente quando avete già i miei documenti nel registro della mattina. Inoltre, dato che mi dovrò occupare da sola dell'ampia scolaresca parcheggiata già lì fuori, ad attendere, non penso che Dhalia approverà questo temporeggiare.»

Hack fondamentale: avere un nome falso è sempre una lama a doppio taglio. Meno persone lo conoscono, meglio è.

Altra hack fondamentale: menzionare il nome del proprietario di un locale, alludere ad un rapporto di amicizia piuttosto stretta tra voi due e sottolineare il suo malcontento in caso di eccessive domande, è una chiave che apre il novanta percento delle porte di questo mondo.

Quello di mettere pressione e di far notare il tempo che scorre è mera logica.

Il buttafuori sbuffa sommessamente e mi lascia passare.
Come volevasi dimostrare.

«Parco in fondo all'edificio.» mi istruisce sulla direzione.

Mi allontano all'interno del posto. È grande, nauseantemente colorato e labirintico.
Capisco perché Bertra abbia accettato l'aiuto di Dhalia, il suo parco giochi al coperto è ottimale per far sparire chi si trova al suo interno.

Ecco, forse una cartina avrebbe aiutato.

Ad un bivio, giro a sinistra, seguendo la luce del parco all'aperto che illumina il corridoio.
Sulla strada, noto un plico di fogli appoggiati su una mensola.
Ne prendo uno e lo piego in una barchetta di carta veloce.
Risalgo il corridoio, fino al bivio, e la appoggio all'ingresso dell'entrata di sinistra.
Quando ancora eravamo in trasferta insieme, gli origami erano un buon modo per comunicare solo tra di noi.
Avevamo scelto forme semplici e bambinesche come aeroplanini e roselline per i messaggi veloci, mentre le forme più complesse erano limitate alle circostanze meno urgenti. Soprattutto se eravamo fianco a fianco e Bee poteva intuire la forma che avrei dato alla carta in base ai passaggi che compivo.
Ogni origami aveva un significato diverso, dei quali, la barchetta era la direzione scelta.
Utile da comunicare sia per richiesta di aiuto che per necessità di dividersi.
Spero solo che si ricordi delle nostre piccole regole.
E che scelga la direzione opposta alla mia.

Percorro il corridoio di sinistra e sbuco in un parco estreno, circondato per metà dall'edificio.
La piantina del luogo dev'essere una grande "Y", con i bracci corti come corridoi, che vanno a formare un angolo ottusangolo tra di loro.
Tra i due corridoi vi è il parco, con qualche albero, panchina e attrazione minore.
In fondo al parco, sul limitare di un piccolo boschetto, distinguo vagamente degli scivoli e dei castelli gonfiabili.

I bambini dovrebbero arrivare a momenti.
Scannerizzo la scena.
C'è una scatola su una panchina.
Mi avvicino cautamente.
È già avvenuto uno scontro con piccoli ordigni, piuttosto che serpenti vivi o carogne smembrate di animali, sono pronta al peggio.
Ma stavolta mi spettano delle pitture facciali e una quantità industriale di caramelle e lecca-lecca.

Suppongo che, almeno per oggi, mi tocchi un ruolo più tranquillo.
Il contrasto tra la natura dei lavori che mi sono toccati fa sorridere.

Prendo posto sulla panchina, mentre in lontananza già sento le voci delle bambine avvicinarsi.

Le tutrici li precedono all'imbocco dei due corridoi.
Le bambine si tengono per mano, andando a formare una catena umana suppongo per non separarsi.

"Too bad." penso, sorridendo tra me e me all'ironia.

Noto che non le stanno contando.
Devono già sapere del nostro accordo.
Mi viene da sorridere, è fin troppo semplice, ma ancora non capisco fino in fondo il metodo scelto.
È una pesca al bambino, più che un'adozione.
È completamente insensato, potremmo andare a chiedere ad una maestra e dire «Guardi, questa bambina viene a casa con noi.» e non avremmo tutti questi problemi.

Ma l'esperienza mi porta a capire bene anche l'omertà dei coinvolti.
E il bisogno di fare le cose in gran segreto, soprattutto per un ex-mafioso, seppur "senza precedenti effettivi", come Bee.
Sia il suo che il mio nome sono stati ripuliti, ma se qualcuno decidesse di impicciarsi e coinvolgere la polizia o lo Stato, la verità verrebbe a galla.
E non è conveniente per nessuno che i nostri volti tornino ad attirare troppa attenzione.

D'altra parte, capisco le maestre anche a livello psicologico.
È il caro vecchio gig delle rotaie e della leva.
Spingeresti la leva sapendo che il sangue va sulle tue mani o lasceresti tutto al destino?
Queste persone scelgono di non sporcarsi le mani con questioni che non le riguardano direttamente.
E, dati i miei vissuti, lo rispetto sapendo che non riuscirò mai veramente a comprenderlo.

Le prime bambine si avvicinano a me, curiose, e mi alzo in piedi.
Le scannerizzo, ma non vedo ancora i soggetti bersaglio.

Sorrido al mare di piccole testoline che mi fissano e mi chino alla loro altezza.

Mi rivolgo alla bambina più vicina.
«Ciao! Io sono Stella! Tu come ti chiami?»

Lei abbassa la testa, timida.
Dio solo sa cosa fanno alle bambine di questo istituto, sembrano amebe.

«Rebecca.» sussurra piano.

«Vuoi sapere cosa faremo di divertente questa mattina?»

Lei alza lo sguardo su di me e io le mostro il palmo della mia mano.
Ruoto il polso e estraggo un dischetto di brillantini da dentro la mia manica.
Glielo mostro e i suoi occhi si fissano sul trucco scintillante.
Classico trucchetto, nemmeno valido come trucco di magia, ma funziona sui bambini.

«Non ti va di essere una bellissima fatina?» la ingolosisco un po'.

Lei abbassa ancora gli occhi, ma sorride appena da sotto la mascherina.

Le porgo la mano e la accompagno sulla panchina, di fianco a me, mentre intorno a noi si raduna una calca di bambine incuriosite, che si siedono nel prato ad osservarmi.

Ora, le mie skills artistiche si limitano a piccoli disegni a bordo quaderno e tre anni di disegno artistico alle medie, ma salgono esponenzialmente se valgono anche le ore di pratica per imparare ad usare un eyeliner.

Quanto può essere difficile disegnare una farfalla e un fiore qua e là su una superficie grande come la mia mano?

Mi pentirò di questa affermazione più tardi, quando, dopo le prime quattro bambine truccate, guardo l'orologio.
È passata più di un'ora e mezza.
Ho sprecato tutto quel tempo senza curarmi dei soggetti bersaglio.
Mi guardo intorno mentre la bambina che ho appena finito di truccare lascia il suo posto ad un'altra.

E, allora, di cinque soggetti ne individuo due.

Una piccola bambina con gli occhi lattiginosi e i capelli biondo scuro fissa nel vuoto, mentre un'altra bambina dall'incarnato scuro le sussurra non così piano nell'orecchio quelli che riesco vagamente a distinguere come i dettagli del trucco che ho appena finito di disegnare.

Le riconosco come Linda e Samirah, le due più piccole sulla lista di Bee.

Sono due punti a mio vantaggio.
Devo ammettere però di essere delusa, avrei sperato di attirare più bersagli, specialmente perché nessuna delle loro storie mi aveva colpita particolarmente.
Brutale, alessitimico forse, ma poco importa, la scelta è al fato.

Devo concentrarmi su ciò che ho.
Più riesco a tenerle nella folla meglio è, e forse potrei riuscire a radunare altri soggetti bersaglio.

L'unica cosa che devo fare è continuare a truccare le altre bambine e tenere un occhio su loro due.

Poi mi volto.
Guardo negli occhi la bambina di fronte a me.
E la mia prospettiva cambia.

Perché ho di fronte la bambina numero quattro sulla lista di Bee, Giorgia.

E il mio cuore si stringe un po'.

La bambina di fronte a me ha gli occhi più tristi che io abbia mai visto.
Ha le manine ossute e le occhiaie profonde e violacee.
Ha la pelle leggermente ambrata, che mi ricorda quella di Bee senza nemmeno starci a pensare.
Ha i capelli ricciolini, tirati indietro sgradevolmente da una fascia bianca troppo stretta, che accomuna tutte le bambine ma che su di lei sembra una tortura, non saprei spiegarlo.
La divisa le sta larga, troppo larga, anche se a vederla senza guardarla passerebbe per una bambina normale.
Ha le ginocchia nodose e le clavicole profonde, le guance incavate e la gola tutta tendini in bella vista.

Rimango attonita a fissarla, come se le fosse spuntata un'altra testa.

Lei, con piccoli movimenti precisi, sfila i laccetti della mascherina da un orecchio, poi dall'altro, e si poggia il pezzo di stoffa in grembo.

Alza lo sguardo e mi sorride timidamente.

E sia la mia testa che il mio cuore sanno che quel piccolo spazio tra i suoi incisivi non è genetico né sarà probabilmente per sempre.
So che i suoi sono denti da latte e che di lì a qualche anno li perderà e cresceranno diversi da come sono ora.
Più di tutti, so che non hanno niente a che fare con Bertra.
Ma, in qualche modo, ci rivedo il mio migliore amico.
Ed è allora che la scelgo.

La consapevolezza del fatto che non la posso truccare mi piomba addosso e mi sento spaesata per un istante.
Darebbe troppo nell'occhio.
Ma mi lascia indubbiamente senza idee sul cosa fare.

Quindi, senza avere avuto la possibilità di pensarci troppo, le chiedo.

«Hey, prima di disegnare questo bellissimo trucco, ti va di andare... in bagno?»

Cristo.
Suona male.

Anche la bambina mi guarda storta.

Mi alzo dalla panchina, apro le braccia per attirare l'attenzione di tutte le bambine ed esclamo

«Facciamo una pausa! Chi ha bisogno del bagno?»

Molte bambine alzano la mano, non Giorgia, ma la trascinerò con me in ogni caso.
Tra quelle che hanno alzato la mano, c'è Samirah, e colgo l'occasione per prendere con me anche Linda.

Qualche altra bambina, confusa, si alza per seguirmi.

«No no, voi restate qui, passerò più tardi, facciamo a turno» sorrido loro e mi volto per allontanarmi.

Davanti alla seconda uscita intravedo una maglia della sicurezza, ma la guardia non si volta, quindi mi è impossibile capire se si tratti di Bee o meno.

Passando oltre una maestra, che mi guarda consapevole dall'alto in basso, imbocco il corridoio verso la libertà.

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