Missing Moment - Il compleanno di Sarah

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Mi sarebbe piaciuto organizzare qualcosa al maneggio per Sarah, dopo aver scoperto che era il suo compleanno, ma quella sera avrei dovuto recuperare Cole all'aeroporto e poi dovevo portarlo a rimorchiare. Giusto. Mi aveva già preannunciato che quella sera, al suo arrivo, avrebbe voluto fare baldoria: al diavolo la stanchezza e il jet-lag, dovevo assolutamente presentarlo ai miei amici – anzi, possibilmente amiche – e portarlo in qualche locale. 

Di fronte a quelle richieste, avevo scosso la testa con aria sconsolata, ma in realtà potevo immaginare che il ragazzo avesse bisogno di staccare un po' la spina. A casa, l'intensa vita universitaria in una delle scuole più impegnative d'America lo aveva privato di ogni divertimento, ma sotto sotto lo invidiavo da morire e lui lo sapeva benissimo: era solito prendermi in giro dicendo che non sarei sopravvissuto un solo giorno con quei ritmi di studio, ma sapevo che non era così. Se solo avessi avuto l'occasione di iscrivermi, avrei dimostrato a tutti che ne ero perfettamente in grado.

Abbassai lo sguardo su Harvard, che avanzava tranquillo lungo il sentiero erboso, e mi sfuggii un lungo sospiro. La vita aveva avuto altri piani per me.

«Ragazze» esclamai poi, riscuotendomi e voltandomi verso di loro. «Galoppiamo un po'?»


Avevo cercato invano di opporre resistenza, ma le ragazze non avevano voluto sentire ragioni e alla fine le mie proteste non erano suonate più tanto credibili.

Se escludevo Alessia, dovevano essere passati anni dall'ultima volta in cui ero andata a cena fuori con qualcuno che non fossero i miei genitori e, quando lo annunciai loro, dopo essere rientrata a casa dal maneggio, fu come se avessi detto che sarei andata a fare una passeggiata su Marte.

«A cena?» ripeté mia madre, bloccandosi dall'apparecchiare la tavola.

«Con delle amiche?» le fece eco mio padre.

«E dormi fuori?» chiesero all'unisono, scambiandosi uno sguardo.

Li fissai con le mani sui fianchi e annuii, un po' irritata dal quella reazione spropositata.

«Ora, se non vi dispiace» conclusi, in tono di sufficienza, «devo andarmi a fare la doccia.»

Neanche due ore dopo ero seduta ad un tavolo da quattro, in compagnia di Deborah, Sofia e Monica, intente ad osservare quest'ultima portarsi alla bocca una fetta di pizza cercando di non sbrodolarsi la camicetta.

Di fronte a quella scena, con Monica che addentava la fetta tenendola ad un chilometro di distanza dal volto, con la mozzarella filante che si allungava come gomma da masticare, scoppiai a ridere fragorosamente.

«Non posso macchiarmi» protestò Monica a bocca a piena, al termine dell'impresa.

Sofia scosse piano la testa con aria sconsolata, per poi riprendere a tagliare la sua pizza con forchetta e coltello. Quelle due erano come il giorno e la notte, pensai.

«Ma se dopo andiamo a casa tua per prepararci...» fece notare a Monica.

Monica le scoccò un'occhiata, come a dire che il suo commento non faceva alcuna differenza.

«È comunque la cosa più carina che ho» ribatté. «Non posso permettermi di macchiarla» ripeté testardamente.

Sofia la fissò con aria scettica, mentre io mi scambiavo un'occhiata con Deborah e trattenevo a stento una risata.

«Posso venire con voi da Tiger Tiger?» esclamò la ragazzina bionda all'improvviso, in tono implorante.

Solo nell'udire il nome della discoteca più famosa della città mi sentii accapponare la pelle.

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