Capitolo 4

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Aprii lentamente gli occhi e mi accorsi di essere sdraiata. 

Tastai la superficie su cui ero distesa e scoprii che era morbida. Ero su un letto. 

Le pareti bianche, la stanza silenziosa, la tenda che mi divideva da un altro paziente... in un attimo capii. Ero in ospedale.

«Ti sei svegliata.» 

Alessia era seduta vicino al mio letto, con il volto pallido e i capelli tutti spettinati.

«Perché sono in ospedale?» chiesi, meravigliandomi di come la mia voce fosse impastata. «Io sto benissimo.»

«Sei svenuta» mormorò la mia amica molto lentamente. «Ti ci hanno portata per sicurezza.»

Sbattei le palpebre, mettendomi seduta. Ora ricordavo: la confusione del traffico, i capricci di Paprika, quel tonfo sull'asfalto, Benedetta...

«Come sta?!» esclamai. «Benedetta... Come sta?»

Alessia mi fissò a lungo, prima di sospirare.

«È viva.»

Mi si tolse un peso dal cuore. In quelle condizioni, sanguinante e immobile sulla strada, avevo subito pensato al peggio. Sospirai di sollievo.

«È viva, ma ha subito dei gravi danni» continuò Alessia, abbassando lo sguardo. «Il cap probabilmente le ha salvato la vita, ma le radiografie hanno rivelato un trauma cranico, una gamba spappolata e diverse costole fratturate. Una di esse le ha quasi perforato un polmone, e ha rischiato un'emorragia interna.»

Il mio sollievo svanì in un attimo. Giusto. La mia amica aveva detto "È viva", non "Sta bene". Non che ci tenessi a lei, anzi, la odiavo, ma non ero così cattiva da augurarle una brutta fine.

«I medici sono sicuri che si rimetterà, ma i tempi potrebbero essere molto lunghi» concluse lei.

«Mi dispiace...» dissi con sincerità. «I genitori di Benedetta potrebbero anche far causa a Michele. Non è colpa sua, ma era sotto la sua responsabilità» riflettei.

«I suoi genitori conoscono Michele, sono sicura che non farebbero una cosa del genere. Li ho visti discutere con lui, prima. Erano a pezzi, ma non sembravano arrabbiati. È il destino di Paprika che mi preoccupa. Le ha quasi sfatto una gamba. Era fuori di sé» rispose la mia amica.

La rividi cadere addosso a Benedetta, alzarsi, graffiata e sanguinante, e scappare via sulla strada, galoppando spaventata con gli occhi strabuzzati. Il rumore dei suoi zoccoli ferrati sull'asfalto, che lasciavano impronte insanguinate, mi risuonò straziante nella mente. Trattenni a stento un gemito, con la testa fra le mani.

Alessia mi posò una mano sulla spalla, e la sentii trattenere un singhiozzo.

Non era facile nemmeno per lei. Non era facile per nessuno.


I miei genitori mi vennero a prendere in ospedale, quel pomeriggio.

Mentre camminavo a testa china nel corridoio, incrociammo Michele. 

I miei si fermarono a parlargli ma, prima di rivolgersi a loro, lui mi rivolse un'occhiata strana, quasi volesse supplicarmi. Lo conoscevo abbastanza bene per capire all'istante cosa significasse quello sguardo. Ma io non avevo alcuna voglia di raggiungerlo al maneggio, non dopo tutto quello che era successo.

Dopo essersi salutati, i miei genitori proseguirono e, prima che potessi seguirli, il mio istruttore mi bloccò un braccio.

«Sarah... ho bisogno che tu venga in maneggio.»

My dream come trueWhere stories live. Discover now