Capitolo 21.

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Due mesi dopo.

L'odore della salsedine ci pervase le narici, era un miscuglio di iodio e putrefazione a causa dei resti di mareggiata della sera prima. Il mare in lontananza, visto da dietro una rete a griglia, riempiva i nostri occhi di un intenso colore azzurro, mischiato con la schiuma delle onde che si infrangevano sulla sabbia. L'erba alta e secca ci solleticava le gambe, creando giochi di colori con i nostri vestiti, insieme al giallo cenere delle lunghe spighe di piante selvatiche, inaridite dal caldo dei raggi solari. Si muovevano lente e a ritmi regolari, una silenziosa danza di una natura in procinto di sbocciare verso un'estate torrida. Quella mattina era così malinconica da rendere l'atmosfera rigida e insopportabile. I nostri corpi erano abbandonati completamente sulla rete, da incurvare di poco la sua rigida e sottile struttura. Il vento ci scompigliava i capelli e ci inebriava delle carezze di milioni di sussurri, tra le pieghe delle nostre ciocche scure.

Era la prima volta che ci incontravamo dopo mesi di riabilitazione e l'imbarazzo tra di noi si era fatto così denso, da sentirne quasi lo spostamento d'aria: un enorme baratro senza fondo.
Avevo passato i giorni peggiori della mia vita, la monotonia della mia esistenza era indescrivibile; un macigno sulle spalle da portare come fardello, fino alla fine dei miei giorni. Credevo di non riuscire a piangere così tanto durante un funerale, ero rimasta a guardare il suo feretro di legno chiaro in mezzo a tantissima gente. C'erano familiari, amici, conoscenti, la signora anziana della fioreria del centro, la incontravo spesso alla fermata dell'autobus sempre con un mazzo di rose tra le mani, e davanti a tutta quella folla, una madre piangeva disperata la perdita di un figlio. Urlava il suo nome come se potesse cambiare il fato; un demone crudele che si prendeva gioco delle anime innocenti. Alcune persone avevano trovato il coraggio di prenderla di forza e portarla fuori, a causa dei suoi pianti e delle sue urla troppo invadenti. Gridava, bestemmiava a Dio e di come avesse potuto farle un tale affronto, le aveva portato via l'unica speranza di poter andare avanti. Non le era rimasto più nessuno, sarebbe tornata a casa con il vuoto nel cuore e negli angoli della sua casa, divenuta troppo grande per una persona sola.

Al cimitero neanche la natura circostante fiatava al suo cospetto, come se anch'essa stesse soffrendo la sua mancanza. I cipressi e i pini erano immobili, i fiori guardavano ogni nostro movimento, spaventati da quella perdita improvvisa e i sussurri della gente s'erano quietati al cospetto della morte. Un vuoto incolmabile da non poter riempire nemmeno col silenzio, vederlo lì dentro in quelle quattro assi di legno mi fece perdere così tanti battiti, da sentirlo quasi urlare e scalpitare tra le mie costole incrinate e fratturate. Ero andata al suo funerale anche se non ero guarita, non potevo lasciarlo da solo, non me lo sarei mai perdonata. I medici mi avevano detto di non fare sforzi, di dover seguire alla lettera la fisioterapista, ma nessuno mi parlava di lui. Intravedevo nei loro occhi solo mera compassione: una ragazza sfortunata, che aveva perso la persona più importante della sua vita. Non riuscivo più a parlare, la voce mi moriva in gola. Al suo posto, uscivano solo rantoli strozzati dal dolore: si insinuava tra i muscoli e le cartilagini da non avere più fiato in corpo.

Cercavo di scacciare tutti quei ricordi, ma più rimanevo in silenzio, più loro arrivavano come un'onda con la sua spuma, seccandosi sul ciglio del bagnasciuga. Il mio sguardo era rivolto nel nulla, oltre l'orizzonte e la nebbiolina leggera al profumo di iodio e sale. Con la coda dell'occhio, riuscivo a vedere delle ciocche scure come la notte muoversi a ritmo del vento. Mi voltai di poco per osservarlo, anche lui era immerso nei suoi pensieri nel preciso istante in cui aveva visto la morte in faccia e aveva lasciato la presa per tornare in un mondo, il quale avrebbe fatto di tutto per portarci sottoterra. Tutta la sua vita era cambiata dopo quel fatidico momento. L'operazione più importante era andata a buon fine; il cuore arrivato all'ultimo suo respiro fece in modo che Marco non trovò la sua fine.

Non farmi addormentare.Unde poveștirile trăiesc. Descoperă acum