Capitolo 5.

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Sabato 21 Gennaio.

La neve si stava lentamente sciogliendo e le macchine avevano ripreso a circolare tranquillamente sulla strada Nazionale. Il rumore perpetuo delle ruote contro l'asfalto ritornò a puntellarmi le orecchie ogni minuto e la neve, ormai diventata grigia a causa degli scarichi delle auto, si era accumulata lungo i bordi della strada.
Il sole faceva capolino in mezzo a tutte quelle nuvole scure e illuminava il campo incolto davanti casa mia, divertendosi a dare brillantezza alla poca neve rimasta e risaltando la terra bagnata e scura.
Il paesaggio era quasi da mozzare il fiato, ma l'unica nota stonata in mezzo a quel dipinto ero proprio io. Guardavo il panorama dalla grande vetrata del salotto, ma la mia mente era tutta da un'altra parte. Si era fermata a qualche giorno fa, quando Marco se n'era andato senza dire niente e quel suo sguardo arrabbiato mi faceva stare tremendamente in colpa, ma poi per cosa? Io non avevo fatto nulla, volevo solo renderlo felice e invece avevo complicato le cose. Forse avevano ragione i miei compagni di scuola dicendomi di non essere all'altezza di niente. Ero solo una buona a nulla.

Gli occhi si inumidirono, ma prontamente mi asciugai con le dita le lacrime prima che potessero rigarmi il volto. Non volevo piangere di nuovo, non quel sabato mattina.
La televisione era accesa e trasmetteva pubblicità di prodotti inutili, ma i miei occhi erano fissi a guardare fuori, con la mente ovattata di ricordi.
Solamente la suoneria del telefono di casa mi ridestò dai miei pensieri, che quasi mi fece sussultare dalla paura. Chi diavolo poteva chiamare alle undici di mattina? Forse era Clelia per raccontarmi dei suoi soliti ridicoli problemi con il suo ragazzo o del suo mal di schiena perenne. Facevamo conversazioni che nemmeno gli anziani al centro sociale si sarebbero mai immaginati di dire.
Uno, due, tre squilli e continuava imperterrito. Volevo lasciarlo suonare, ma non volevo disturbare mia madre che stava stirando in cucina e con la porta chiusa non lo avrebbe sentito lo stesso. Alla fine decisi di rispondere, anche se con poca voglia.

«Pronto?»
«E' la famiglia Bordeaux?»
La voce mi era molto familiare, così tranquilla e impacciata allo stesso tempo. L'avevo già sentita da qualche parte, ma non mi ricordavo dove.
«Sì, sono Sophie chi è che parla?»
«Ciao Sophie, sono Jola» rispose con un pizzico di entusiasmo.
Rimasi in silenzio per alcuni istanti, come se mi fossi pietrificata. Non potevo crederci e non mi aspettavo per niente una sua chiamata.
«Jonia? Come... come hai fatto a trovarmi?» le domandai confusa.
«Per puro caso» disse con una risata nervosa «mio padre, essendo avvocato, ha molti colleghi in tribunale e qualche giorno fa mi ha raccontato di aver conosciuto da poco un certo Bordeaux. Mi ha detto che aveva una figlia e alla fine ho scoperto che eri proprio tu» finì con la solita risata nervosa, come se cercasse di nascondere l'ansia.
«Cavolo, potrebbero chiamarti quelli della CIA da un momento all'altro» risposi ironica.
La sua risata metteva allegria anche in una giornata grigia e fredda, dove vorresti solo rinchiuderti in camera e piangere fino ad avere gli occhi gonfi di lacrime.
«Volevo solo dirti che mi dispiace. Ti avevo promesso che ci saremmo riviste, ma non sono stata di parola e questo fatto mi ha tormentata per tutti questi giorni. Scusami tanto.» disse velocemente, come se si fosse liberata di un peso più grande di lei.
Mi meravigliai delle sue parole, nessuno mi aveva mai chiesto scusa, di solito era il contrario anche quando la colpa non era mia. Quella ragazza mi somigliava molto ed un piccolo sorriso si accennò sul mio volto.

«Tranquilla non importa, ci saranno altri momenti per vederci.»
«Non volevo dare brutte impressioni fin dall'inizio...» disse con voce triste.
Quelle parole mi strinsero il cuore, come se in quei momenti avessi rivisto me stessa davanti ad uno specchio. Non la conoscevo molto bene, ma sapevo che lei non era come tutte le altre, era qualcosa di molto diverso.
Praticamente era tutto il contrario di Cecilia. La grande differenza tra loro due era che Jonia parlava col cuore, invece di inventarsi parole scontate solo per farti stare meglio come faceva la mia compagna di banco.
«Non me la sono presa, forse avrai avuto da fare e gli imprevisti capitano sempre a tutti.» feci una breve pausa per riprendere fiato «Ti capisco.»
Appena le mie labbra fecero uscire quelle due parole, sentii dall'altra parte della linea del telefono una specie di sussulto. Avevo detto qualcosa di sbagliato? Forse non se lo aspettava oppure dovevo solo risponderle «Non importa» come facevo sempre. Era stata una mossa un po' troppo azzardata soprattutto per una persona che conoscevo da poco.
«Grazie» rispose alla fine.
«Per cosa?»
«Per il fatto di non essere arrabbiata con me e per essere riuscita a capirmi senza darti spiegazioni...»rise «Sai, forse un po' ci somigliamo»

Non farmi addormentare.Where stories live. Discover now