...dal letame nascono i fior drammatico - introspettivo)

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Dai diamanti non nasce niente
Dal letame nascono i fior
Dai diamanti non nasce niente
Dal letame nascono i fior.

(Fabrizio De Andrè _Via del Campo)



La ragazza passeggiava per le strade solitarie di una Genova deserta e solitaria.

L'unica cosa che provava, oltre al freddo che le sferzava le gambe nude, era il disgusto.

Disgusto per se stessa, per i suoi falsi amici, per la sua famiglia assente e devastata; disgusto per suo padre, che credeva punto saldo, un'ancora, il porto sicuro in cui rifugiarsi quando la tempesta sferzava impetuosa il suo fragile corpo.

Disgusto: un'emozione che aveva imparato a odiare; un'emozione che era parte di lei, come il disgusto per la vita stessa.

Aveva sempre amato il mare e tutte le mutevoli sfaccettature; amava il vento lieve, che faceva beccheggiare leggermente le barche e suonare il cordame teso; e quello forte, che gonfiava le vele, promettendo traversate sottocosta e bagni a largo.

Sperava un giorno di salirci, su una di quelle barche dai pavimenti di lucido teak, lei con un costume alla moda, i grandi occhiali scuri e un cappello a tesa larga, proprio come una diva e magari un lui, ricco rampollo di una famiglia importante.

Chiuse di scatto il diario cui raccontava tutti i suoi più inconfessabili desideri, sogni semplici di una ragazza appena sbocciata alla vita,

"Non è questa la vita alla quale sono destinata", si diceva per darsi coraggio, "io valgo di più, molto di più, lo dimostrerò a tutti" ripeteva fissando con lo sguardo fiero, l'orizzonte blu oltremare che si stendeva davanti alla finestra di camera sua.

Ci credeva, ci sperava, ma in cuor suo sapeva che pur se avesse tentato qualunque cosa pur di riuscire, nulla avrebbe potuto portarla via dalla strada che avevano segnato per lei.

Lavorava fin da ragazzina, in una delle tante panetterie dei pressi del porto: la farinata di ceci e la focaccia genovese erano le specialità di famiglia e sembrava che null'altro potesse cambiare. Era destinata a questa vita stabilita da altri, era l'attività di famiglia da generazioni e la sua sarebbe stata la prossima a portare avanti la tradizione. Doveva rassegnarsi, non aveva altra scelta, la vita era dura per chi aveva altri sogni, per chi voleva volare alto, librarsi nel cielo.

La vita era dura, se non voleva finire come lei, la madre che l'aveva abbandonata per seguire sogni di successo, la madre che era disgustata dall'odore di cipolle e dalle sue mani sempre più ruvide a forza di impastare, la madre ribelle, che in un giorno d'inverno li aveva lasciati così, senza una parola, senza un saluto. Un taglio netto, un addio definitivo a quella vita che le stava stretta.

Lei era rimasta sola, unica femmina in una famiglia di maschi, iperprotettivi e sconvolti.

Quando la sua famiglia la guardava, con i suoi capelli biondi e gli occhi di cielo, lei percepiva, sentiva la loro paura, la loro ansia, quel sottile rivolo di disgusto per una giovane donna tanto simile a colei che li aveva lasciati.

Loro sapevano, loro temevano che presto, molto presto, sarebbe arrivato il giorno in cui anche lei li avrebbe lasciati soli e non potevano permettere che la storia si ripetesse.

La osservavano a vista, la seguivano fin da piccola, per evitare che facesse sciocchezze, che pensasse, anche soltanto per un istante di allontanarsi da loro.

Erano ossessionati da lei, specialmente Marco, il fratello maggiore di quindici anni più grande; un cane da guardia, che non permetteva a nessuno di avvicinarla, condannandola, di fatto a una infinita solitudine.

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