Il morso del ragno (storico- drammatico)

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Il tarantismo o tarantolismo è una sindrome culturale di tipo isterico riscontrata nel sud Italia, che nella tradizione popolare è collegata ad una patologia che si riteneva essere causata dal morso di ragni (, un ragno diffuso in zone mediterranee). Il termine tarantismo indica propriamente la patologia stessa, che però, in quanto presente solo in quel contesto culturale, è stata considerata una forma di isteria. Il tarantismo, che si manifestava soprattutto nei mesi estivi (il periodo della mietitura del grano in Puglia) era costituito da sintomi di malessere generale, quali stati di prostrazione, , malinconia, quadri neuropsicologici come catatonia o deliri, dolori addominali, muscolari o affaticamento, e la maggior parte dei soggetti che ne denunciavano i sintomi erano donne. Il quadro poteva includere sintomatologie psichiatriche, come turbe emotive e offuscamenti dello stato di coscienza, e poteva includere elementi che in passato sono stati associati alle nozioni di epilessia e isteria. La "cura" tradizionale è una terapia di tipo musicale coreutico, durante la quale il soggetto viene portato ad uno stato di trance nel corso di sessioni di danza frenetica, dando luogo a un fenomeno che è stato definito un "esorcismo musicale".

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Il mare lambiva i suoi piedi nudi, mentre passeggiava lungo la piccola spiaggia sabbiosa costeggiata, quasi come un arco, da alte scogliere; la primavera era iniziata da poco, ma faceva già caldo. Si tirò su la pesante gonna, guardandosi attorno con circospezione, non voleva attirare l'attenzione sulle sue gambe nude, ma nello stesso tempo non voleva bagnarsela, non voleva sentire sua madre sgridarla per non essere stata abbastanza attenta. Non avevano molti soldi, e non potevano permettersi di comprarne un'altra a breve.

Un altro passo la condusse un poco più avanti, con l'acqua ad accarezzarle i polpacci torniti dal lavoro nei campi. Era una contadina, la sua, era una famiglia di mezzadri, e il padrone non li pagava mai il giusto per il lavoro svolto, ma avevano abbastanza da vivere, anche se non potevano definirsi benestanti.

La ragazza non amava il lavoro nei campi, avrebbe voluto fare altro, andare a scuola, come alcune sue compagne più facoltose, imparare a scrivere in modo forbito, comprarsi libri da leggere, sognare mondi immaginari dove poteva essere chiunque, ma si era dovuta fermare. La sua famiglia non poteva permettersi di mandare a scuola una "femmina", non potevano sprecare così i pochi averi che riuscivano faticosamente a mettere da parte. Il suo compito era un altro: sposarsi, probabilmente con qualcuno che elevasse il loro ceto di un gradino più in alto, o almeno, che li aiutasse nel lavoro alla masseria.

Già c'era qualcuno che aveva chiesto ai suoi genitori il permesso di conoscerla...

Continuò a passeggiare, immersa nei suoi pensieri.

L'aveva visto il ragazzo che si era presentato da loro assieme a suo padre. L'aveva visto, e non le erano piaciuti il suo aspetto, la grande differenza di età, quella tendenza alla pinguedine e il fatto che non guardasse mai nessuno negli occhi. Suo padre aveva sorriso al suo amico e aveva promesso che li avrebbe fatti incontrare.

La ragazza attendeva questo momento con ansia e rabbia crescente.

Cosa gli avrebbe detto? Lui avrebbe provato ad approcciarsi a lei?

E se le avesse chiesto di fidanzarsi?

Rabbrividì al solo pensiero.

Sperò di non piacergli, ma ne dubitava, era una bella ragazza: la pelle rosata, non rovinata dal troppo sole, gli occhi verdi come i prati in primavera e i capelli neri e ondulati come quelli di sua madre; invecchiata troppo in fretta.

Il suo cuore già fremeva di disappunto, sentiva che non le era concessa nessuna scelta, ma nello stesso tempo, le mancava il coraggio di ribellarsi al volere della sua famiglia.

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