NARCISO (introspettivo)

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prima prova: lo specchio bugiardo per : la libreria del Cappellaio matto - seconda tazza di te

https://www.wattpad.com/827659350-la-libreria-del-cappellaio-matto-la-seconda-tazza

spero il racconto possa intrigarvi

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Si guardava allo specchio con lo sguardo stravolto, e lui  rimandava indietro l'impietoso riflesso di qualcuno che non riconosceva: un personaggio goffo, a tratti grottesco, le rughe a segnare il viso ingrigito e appesantito dagli anni e dalla stanchezza, i capelli radi, la barba incolta. Non era possibile, lo specchio mentiva, non era quella la sua immagine, non era il volto che ricordava.

Si alzò, allontanandosi lentamente da quell'inutile superficie lucida, capace soltanto di ingannare. Non era il suo volto quello, non i suoi capelli...

Lui li ricordava bene i suoi capelli, neri come l'ala di un corvo, lucidi e ondulati, morbidi da tuffarci le dita. Quei capelli ricordava, non quella peluria, rada e canuta, che copriva la testa ormai quasi calva.

Lo ricordava bene il suo corpo, tonico e flessuoso, con muscoli guizzanti e sodi, quegli stessi muscoli che avevano fatto girare la testa a molte donne e a parecchi uomini. Non erano quelle le sue mani, gracili, nodose, la pelle trasparente, le vene violacee in superficie.

Conosceva di sé ogni dettaglio: dal piccolo neo, proprio sotto l'attaccatura dell'orecchio destro, alle pagliuzze quasi dorate nel fondo dei suoi occhi azzurri; da quella piccola cicatrice sulla fronte lasciata da un brufolo, durante l'adolescenza, alle sfumature quasi bluastre dei suoi capelli.

Si conosceva, si conosceva e si amava. Profondamente.

Nessuna donna sarebbe riuscita ad amarlo quanto il sé stesso che vedeva riflesso nello specchio; nessuna avrebbe notato quei piccoli dettagli che facevano di lui l'uomo che era.

Nessuna sarebbe stato lui.

Camminò avanti e indietro in quella stanza che riconosceva a stento; tutte le sue cose erano li, certo, immutabilmente disposte nello stesso ordine maniacale; tutto era uguale, ma tutto era diverso. Si avvicinò alla piccola scrivania, osservandola con attenzione, Il suo servizio da scrittoio era lì, i suoi pettini d'argento, i suoi profumi preziosi, le sue carte... tutte le cose cui teneva erano dove ricordava di averle lasciate. Scrutò con cura tra i suoi oggetti, loro non erano cambiati, non una traccia di polvere o sporcizia a intaccarne la bellezza, non un graffio, non un segno del tempo, che passa inesorabile; tutto era come il giorno prima quando, guardandosi allo specchio, si era visto giovane e bellissimo.

Tempo...

Quanto tempo era passato dall'ultima volta che aveva ammirato il suo volto?

Pochi istanti, o una vita intera?

Si diresse un'altra volta verso quello specchio ingannatore, con rinnovata speranza, e osservò il volto che vi si rifletteva.  Quel bugiardo bastardo lo beffò nuovamente, proiettando la grottesca immagine di qualcuno che non esisteva.

Stravolto ed esausto per le emozioni che lo stavano sconvolgendo, si sedette al piccolo tavolo a fianco alla scrivania ricolma di libri: amava leggere di chiromanzia, alchimia, cartomanzia, chiaroveggenza e scienze occulte; aveva sempre amato questi argomenti; era certo che, se avesse studiato a fondo l'argomento, sarebbe riuscito in ciò in cui Flamel aveva fallito; ne era certo, pensò, con un sorriso beffardo sul volto stanco. Accese la piccola luce e tirò fuori da un cassetto, un mazzo di vecchi tarocchi, logorati dall'uso; li mischiò e poi scelse tre arcani maggiori formulando la sua richiesta, il suo desiderio più inconfessabile: trovare sé stesso e potersi finalmente amare.

Con lentezza girò la prima carta: Gli amanti.

Sorrise.

La seconda: il diavolo.

Rabbrividì.

La terza: la Torre

Si accasciò, devastato da un responso infausto e terribile.

Il suo era un amore malato e impuro, che l'avrebbe condotto alla distruzione. Non avrebbe mai trovato chi amava, e seppure ce l'avesse fatta, questi l'avrebbe portato alla rovina. Non poteva crederci, le carte non potevano essere così infauste. No, non si era concentrato abbastanza, avrebbe riprovato ancora. Mescolò le carte e ne scelse altre tre, le voltò, ma gli arcani VI, XV e XVI erano ancora lì, immutabili come la negatività del loro responso. Si alzò di scatto, buttando a terra le carte con malcelato odio, maledicendosi per la sua sciocca credulità, maledicendo il tempo passato lontano dal suo unico amore.

Guardò davanti a sé, lo specchio lo chiamava, maliardo e malefico, gli chiedeva di andare da lui, di non lasciarlo solo. E lui andò, cedendo a quel richiamo, sperando di vedere il suo grande, unico amore, ma lo accolse soltanto quella strana, goffa caricatura di uomo che lo fissava, sconvolto quanto lui. Doveva farla finita, quel maledetto bugiardo doveva mostrargli il suo amore. Ora. Subito.

E allora urlò contro l'ingannatore, urlò fino a farsi mancare il fiato, ma il bugiardo, rimandò indietro solo l'immagine di un vecchio stravolto dall'orrore. E allora lo fece, con gli occhi pieni di lacrime si scagliò contro quell'uomo che non riconosceva, quella figura che odiava. Rise, mentre miriadi di schegge luminose gli si conficcarono nelle mani, e pianse, quando si accorse che centinaia di figure stravolte lo fissavano dai frammenti sparsi a terra.

Qualcuno lo rialzò da terra, qualcuno gli curò le mani ferite, qualcuno gli diede delle pillole.

Tutto era tornato come prima, la sua stanza era in ordine, lo specchio, nuovamente intatto in quella stanza candida e colma di luci e libri.

Si alzò e cautamente cercò il suo amore in quella lucida, levigata superficie. Lui era li, gli sorrideva, incerto e timido, Il suo volto era ancora bello come lo ricordava, la sua pelle, liscia e priva di imperfezioni. Lui era lì, giovane e bello come era sempre stato. Si guardò le mani, fasciate di fresco, anche loro erano lisce e morbide, le unghie curate, la pelle appena arrossata dal disinfettante. Sorrise, e felice tornò a fissare l'immagine di colui che tanto amava, finalmente consapevole che nessuno mai avrebbe potuto separarli.

Perso nell'ammirazione di sé stesso, non udì il rumore della serratura che scattava.

Qualcuno chiuse a chiave la porta della bianca stanza dell'ospedale, dove Narciso languiva da tempo, incapace di accettare l'ineluttabilità del tempo che passa.

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