CAPITOLO 11

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La notte fu tormentata e abitata da incubi dalle facce familiari.

Mi rigiravo e torcevo nel letto come se fossi stata all'apice di un calvario, la fronte impregnata di sudore.

Correvo.

Correvo lontano, in un posto che non conoscevo, circondata da persone dai tratti duri e dalle espressioni severe.

Mi ci volle un attimo per capire;

non stavo correndo... stavo scappando.

Sentivo i colpi di proiettile sfiorarmi il fianco, come se fossero reali, le granate venivano lanciate a qualche metro di distanza, facendo saltare in aria carri pieni di frutta e verdura di stagione. E giovani.

Giovani ragazzi spazzati via dal boato delle armi da fuoco.

Frammenti di corpi sbalzati in aria per poi ricadere a terra con un rumore sordo.

Nell'aria aleggiava un vago odore di altri tempi, come se stessi vivendo un'epoca che non mi apparteneva, che non avevo mai vissuto ma che, evidentemente, conoscevo alla perfezione.

Il puzzo di bruciato e di sangue raffermo, però, copriva quell'aroma di familiarità che, per qualche istante, mi aveva rassicurato.

Era come se stessi vivendo in un film di guerra scritturato da un regista che la guerra l'aveva proprio vissuta e che riesce a trasmetterti le sue paure, angosce, ansie, speranze, delusioni.

Già, la guerra.

Ecco dove mi trovavo.

Mi aggrappai a quel pensiero con una disperazione presente, ingombrante: stavo vivendo gli ultimi anni di quella folle guerra che aveva portato alla morte quasi 64 milioni di innocenti.

25 Marzo 1945; esattamente un mese prima della liberazione italiana e purtroppo anche il periodo più violento e ingiusto di una guerra fanatica, dovuto alle continue rappresaglie dei fascisti contro i partigiani.

Mio padre era uno di quegli uomini coraggiosi che erano rimasti a combattere, aspettando l'arrivo degli alleati ed io, in quanto figlia, ero una preda facile e "necessaria" per la vendetta delle camice nere.

Un momento. Come facevo a sapere tutte quelle cose?

Certo, avevo studiato la storia, ma viverla è completamente un'altra cosa e puoi farlo solo se certe cose le hai provate sulla tua pelle.

Non ebbi modo di riflettere a lungo.

Due uomini vestiti di scuro si avvicinavano sempre di più, impugnando saldamente un fucile a pompa tra le mani.

Sentivo il peso dei miei passi, le gambe cedere, barcollare, stanche dopo una corsa stremante.

Stavo per gettarmi a terra esausta quando due braccia forti e salde mi afferrarono per la vita, trascinandomi in una stradina secondaria.

Mi dimenai per sfuggire a quella presa che, però, non era intenzionata a lasciarmi andare.

"Adesso mi spara"- pensai.

"oppure, peggio ancora, mi porterà dal suo generale, facendomi giustiziare in una di quelle sparatorie alla cieca".

Invece non successe nulla di tutto ciò.

Avevo ancora gli occhi chiusi, stretti come per far scomparire tutto quello che succedeva intorno, le mani tremanti chiuse in un gesto di preghiera.

Eravamo rimasti immobili per quasi 5 minuti.

Aprii gli occhi lentamente, spaventata da quello che avrei potuto trovarmi di fronte.

Invece, trovai un viso familiare e sorridente.

Le orme del destinoWhere stories live. Discover now