CAPITOLO 9

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Faceva un freddo insolito quella mattina d'inizio Aprile, un freddo tagliente.

Le nuvole sembravano galleggiare a mezz'aria, quasi a voler coprire ogni singolo raggio solare.

E se per puro caso uno riusciva a oltrepassare la spessa cortina di nubi, illuminava il terreno di una luce timida, opaca.

Quel venerdì, come tutti gli altri del resto, sarei tornata a teatro per iniziare a lavorare su una nuova operetta, che avremmo poi terminato entro la fine del mese.

I tempi erano assurdi e improponibili, lo sapevo benissimo.

Tuttavia non potevo fare niente per oppormi, quindi mi limitavo a fare quello che mi veniva chiesto, a testa bassa.

Ogni tanto, quando mi capitava di rimanere da sola, girovagavo per il teatro e mi ritrovavo puntualmente nel camerino in cui avevo visto Matteo per la prima volta.

Sembrava fosse passata una vita da quel momento.

Sentivo sulle spalle il peso del tempo, farsi sempre più grande con il passare dei giorni, insopportabile.

Mi sembrava di vivere la vita di qualcun altro, una vita troppo perfetta per essere la mia: nessun problema, nessuna preoccupazione.

Avevo tutto ciò di cui avevo bisogno ed io amavo crogiolarmi nella mia amara illusione.

Ci pensò la vita, ancora una volta, a svegliarmi da quel mondo fiabesco nel quale avevo iniziato a costruire una realtà senza fondamenta.




Ci sono diversi modi per accettare le brutte notizie: io non scelsi sicuramente quello più semplice.

Dopo anni di sudore, passione, stanchezza e orari folli, qualcuno aveva deciso che per me era l'ora di smettere.

Non ti sta bene qualcosa? Via.

Senza neanche pensarci sopra.

In quel momento sembravano essersi scordati di quello che avevo fatto per loro, di quello che significava il teatro per me.

Era bastato un secondo per farmi crollare addosso il peso degli anni che avevo passato là dentro.

Chiuso. Per sempre.

Ho dei ricordi confusi di quello che successe dopo che dovetti lasciare il mio amato coro.

Ricordo solo di aver provato così tanta rabbia da perdere la voce per più di cinque mesi.

Io che cantavo da sempre, avevo perso l'unica cosa che mi aveva dato forza nei momenti bui.

Mi sembrava di essere diventata una sordomuta, privata della cosa che avevo più a cuore.

Ricordo di essermi chiesta almeno un centinaio di volte alla settimana: "perché proprio io? Perché proprio adesso? Io non mi merito tutto questo male".

Ero cresciuta tra quelle mura, le stesse che 8 anni dopo mi avevano tradito e pugnalato alle spalle.

Mi sentivo un po' come Cesare, trafitto dalle coltellate del proprio figlio.

Per me il teatro era una delle cose più care che avessi al mondo e dirgli addio è stata una sofferenza indescrivibile, un po' come alla morte di un parente: hai paura di non esserti mai goduto a pieno quei momenti, di averli dati per scontati.

Vorresti rimediare, ma sai che ormai è troppo tardi, non puoi tornare indietro.

Le giornate erano tutte uguali, neanche viaggiare sembrava consolare la mia fragile anima.




Il brutto dei momenti difficili è che non sai mai quando finiranno.

Stringi i denti sperando in un domani migliore.

Ma quando vedi che il domani non si decide ad arrivare, dopo un po', molli tutto.

Matteo era sempre al mio fianco, forse non poteva comprendere quello che stavo provando, ma in ogni caso era lì per me.

Ed io sapevo che avrei potuto contare su di lui.

Furono mesi difficili che sembrarono dissolversi solo con l'arrivo dell'estate.

E forse, proprio allora, cambiò anche qualcos'altro dentro di me.

Le orme del destinoМесто, где живут истории. Откройте их для себя