6. Young dumb & broke

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Il giorno dopo mi svegliai con i crampi allo stomaco. Se c'era qualcosa che mio padre mi insegnava continuamente era di essere sempre gentili con tutti, che non conosci le battaglie degli altri, «devi essere di animo mite e buono, Madison, la vita mette a dura prova ciascuno di noi» mi ripeteva sempre.
Ce l'avevo con Tonya per avere volontariamente lasciato che il padre di JJ picchiasse suo figlio, senza alcun rimorso o senso di colpa, era tornata a lavoro. Incurante della sofferenza che aveva causato a JJ, solo per proteggere i suoi interessi. Non mi sembrava lei. Mi dava la nausea pensare che la mia migliore amica potesse essere così insensibile e crudele. Volevo chiamarla per chiederle di andare a controllare come stesse JJ, era davvero così spaventato. Lei non lo avrebbe mai fatto.
Decisi di farlo io.
«Papà, io esco» urlai prendendo le chiavi di casa e sgattaiolando via.
JJ viveva in una specie di baita, molto trascurata, praticamente diroccata, sembrava sul punto di crollare. I rami degli alberi la coprivano interamente, si capiva che era una casa solo perché c'era una piccola porta bianca. Decisi di bussarci. Mi dissi che glielo dovevo, che gli dovevo delle scuse, dovevo fare la mia buona azione.
Quando la porta si aprì, mi trovai JJ. Era pieno di lividi, faceva fatica a tenere la porta aperta perché aveva male alla costola, le sue sopracciglia perdevano ancora sangue. Il resto si era essiccato sul suo viso. I suoi occhi erano vuoti, ormai la paura era sparita. Era stato picchiato a dovere, suo padre si era sfogato abbastanza per questa volta.
«Madison, cosa ci fai qui?» chiese cercando di essere gentile e reprimendo il dolore che sentiva. Non lo avevo mai visto in queste condizioni.
«Io... io... mi dispiace, non so cosa dire. Tonya, lei... io lavoro per lei, non potevo fare diversamente e ora ti vedo così, capisco che... avrei potuto... invece io...» e scoppiai a piangere. Proprio così. Lui era quello picchiato, umiliato, abusato dal proprio padre ma ero io a piangere. Come una deficiente. Eppure non potevo trattenermi, l'idea che una persona avesse subito una cosa così solo perché io avevo avuto paura di aiutarla. Ero venuta meno ai miei principi, alle frasi che diceva sempre mio padre. Lo avevo deluso.
JJ mi prese per mano e mi portò vicino ad un albero, allontanandosi un po' da casa sua.
«Madison, non fare così, non è stata colpa tua. Lui avrebbe trovato comunque un pretesto e poi...» ma si bloccò perché la sua costola probabilmente era rotta e non poteva ignorarlo.
«JJ, io devo fare qualcosa. Cosa posso fare? Ti porto in ospedale?» gli chiesi cercando di sorreggerlo.
«Madison, non c'è bisogno. Il dolore passa se fumi erba, lo sai? Antidolorifico puro» sembrava ritornare in lui quando cominciava a dire queste stronzate.
Si avvicinò e mi asciugò le ultime lacrime con le sue dita.  Mi diede un bacio in fronte. Era chiaramente fatto anche in quel momento.
«Queste non sono cose di cui ti puoi occupare tu, Mad» e rimasi a guardare i suoi occhi. Erano fissi sui miei.
Proprio in quel momento sentimmo la porta sbattersi.
«JJ, testa di cazzo!» era suo padre che urlava come un pazzo in cerca di qualcuno da picchiare.
«Ah eccoti, sei con un'altra troietta delle tue?» chiese avvicinandosi a noi.
«Te lo dico, papà, stalle lontano» improvvisamente il viso di JJ cambiò espressione. Non mi sorprendeva che fosse un ragazzo sempre rabbioso, era così incasinato. Tonya lo sapeva e lo aveva sfruttato a suo vantaggio.
«Perché? Non è un'altra troiettina forse?» continuò suo padre.
JJ si mise davanti a me e mi allontanò con il braccio.
«Oh che tenero la difendi forse? Perché non viene qui che le faccio vedere chi è il vero paparino?»
Avete presente che in tutte queste volte io avevo sempre avuto l'impulso di schiaffeggiare le persone ma poi mi ero sempre frenata? Ecco, questa volta non potevo farne a meno. Superai JJ e diedi lo schiaffo più forte che potessi dare. Quello stronzo.
«Ma che cazzo...» me ne pentii subito dopo perché il modo in cui mi guardò non era umano.
JJ mi spostò e gli diede un altro pugno.
«Non chiamarla più in quel modo» e sputò.
Si girò verso di me e temendo che suo padre si potesse di nuovo scagliare contro di noi, mi prese subito per mano e mi ordinò di correre.
Avevo paura, ero stanca, lo guardavo di fronte a me terrorizzato e ancora dolorante per la costola, sapevo di essermi appena immischiata in un grande casino, però correvo. Lui mi teneva la mano. Mi sentivo al sicuro.

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