XII ATTO - Kintsugi

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Quanto puoi affezionati ad una persona prima che questa ti deluda? Perché devono deluderti sempre? Queste parole erano per me, e me le meritavo. Guardai il telefono e vidi i messaggi, le chiamate. Non avevo nemmeno il coraggio di sapere cosa ci fosse scritto. L'ansia mi assalì e i sensi di colpa si fecero sentire. Cancellai tutto, bloccai tutti, finendo per perdere ogni cosa. So che era sbagliato, ma era la scelta più facile per me, anche a costo di fare più male a Minju.

Passarono ulteriori settimane e rigiravo in stanza all'idea di ritornare a casa. Avevo fatto un pasticcio e non riuscivo più a sentirmi a mio agio a stare lì. Occupai il tempo chiusa in casa leggendo libri che ordinai su Amazon. Non mi interessava nemmeno il genere, ogni libro che mi consigliava lo prendevo. Ero assetata, avevo bisogno di una guida, una mano, un aiuto e mio cugino che tanto era rimasto in pensiero non poteva farlo. L'ultimo libro che lessi però mi incuriosì. Mi lasciò un senso di vuoto assoluto, un gusto amaro e aspro di metallo. Il libro in sé non mi piacque nemmeno. Però la vicinanza di quei sentimenti mi portarono a cercare compulsivamente informazioni su di lui, alla scoperta del senso del suo romanzo, ma non trovai nulla a parte un firmacopie proprio a Seoul. Dunque sperando di trovare un senso anche verso ciò che provavo, ci andai, almeno avrei avuto una scusa per uscire di casa.

Pensando ci sarebbe stata molta gente arrivai un paio d'ore prima, ma mi sbagliai. Non ci c'era nessuno. Lui però era già lì e pensando che non mi potesse ricapitare più un'occasione del genere ne approfittai.

-Salve, lei è il signor Orsini?

Parve sorpreso e meravigliato. Non si aspettava nessuno così presto. Pensando di sbloccare la situazione gli passai il suo libro fra le mani. Lui con grande eleganza fece finta di niente e cercò di arraffare una penna in giro per firmarmelo. Ci sedemmo in un banchetto che era stato messo apposta per l'evento, ma non essendoci ancora nessuno mi porse una sedia e mi sedetti di fronte a lui.

-A chi la dedico?

Aveva importanza il mio nome?

-Minju.

-È il tuo nome?

-È per un'amica.

-Mi stupì come non disse una parola in più, non tentò di capire se io fossi coreana o meno. Questo quasi mi destabilizzò. Ne ero diventata ormai dipendente.

-Non si domanda come faccio a sapere così bene l'italiano?

Si fermò, passarono attimi e dopo avermi vista negli occhi disse finalmente qualche parola in più:

-Dovrei domandarmelo?

Chiese, e dopo una breve pausa rise di gusto.

-Effettivamente dovrei. Però ormai ho smesso di pormi tante domande, alla fine che importa, sei ciò che sei no?

E rise di nuovo.

Quanto poteva essere scontato uno scrittore? Eppure, alla fine, cosa importava se fossi stata una ragazza coreana che sapeva parlare bene l'italiano, oppure un'italiana che assomigliava tanto a una coreana? Era un po' ciò che pensavo pure io, ma come sempre finii per essere plagiata dagli altri. Smisi di pensarci in fretta e vedendolo impegnato a scrivere la dedica, provai a chiederglielo:

-Sa, leggendo il suo libro, mi sono domandata quale fosse la morale.

Lui non si permise neanche di alzare lo sguardo e mi rispose:

-Quella che vuoi darle tu.

E questo cosa voleva dire? Mostrandomi dubbiosa finalmente vidi il suo volto e consegnandomi il libro continuò il suo discorso.

-La mia opera non ha una morale, perché la vita non ne ha una. Sarebbe stato pretenzioso da parte mia darne una fittizia. Volevo che la gente ne ricavasse la propria, di morale.

Si fermò e vedendomi che stavo ancora aspettando le sue parole aprì di nuovo bocca:

-C'è qualcosa che vuole dirmi in particolare?

Possibile che avesse intuito il mio bisogno?

-Diciamo che sono successe alcuni eventi nella mia vita, cose brutte. Adesso però, non so cosa provare, cosa fare, cosa ricavarne. Un giorno mi sento una vittima, il giorno dopo una carnefice.

-Gli eventi nella vita ci capitano e basta, non succedono per alcuno scopo. Siamo noi alla fine, dopo aver vissuto quello che abbiamo vissuto a darne un nostro significato. È così che decidiamo chi essere e cosa fare. Non sono le nostre esperienze a renderci come siamo, tanto quanto il modo in cui assimiliamo e interpretiamo queste esperienze. In questo caso la domanda che dovresti porti è: di cosa hai bisogno?

-Di lei.

Non so se avesse inteso il senso con quella mia risposta tanto frettolosa, però riuscì egregiamente a raffazzonare una risposta.

-Dunque d'amore si parla. Sai, l'amore è un sacco complicato. Non c'è amore se non rivolgiamo quel sentimento a un altro essere. Una promessa di rendere quella persona felice sperando possa renderci felici a loro volta. Come vedi già alla base l'amore è rischioso. Perché noi siamo complicati e per quanto vorremmo custodire quel sentimento per non rischiare che ci faccia del male, alla fine non possiamo decidere cosa quella persona scelga di farci con il nostro amore e noi non abbiamo parola in capitolo.

-La trovo una cosa ingiusta.

-È ingiusta. Siamo tutti diversi, abbiamo sentimenti, pensieri, idee diverse, amare non è altro che un atto di fede.

-E cosa dovrei fare allora?

-Ci soffri?

-Sì.

-Va bene stare male, ma alla fine non stiamo male per noi, ma perché abbiamo paura di lasciare la presa, di perdere quello che abbiamo già perduto. Alcune volte la scelta migliore è semplicemente accettare che l'amore è anche e soprattutto volere il bene dell'altra persona a discapito di tutto, anche del proprio di bene e dunque lasciarla andare apparirebbe come una liberazione.

-Lo trovo un atto egoistico, più che di bene.

-È quello che è, un sacrifico.

-È così che hai fatto tu?

-Hai letto il libro, no?

-E se pensassi di poterla rendere ancora felice? Se pensassi invece che lasciarla andare significherebbe fare uno sbaglio ancora più grande?

-Era questo che tentavo di dirti. Come vedi ti stai già rispondendo da sola. Ognuno ricava quello di cui ha bisogno dalle proprie esperienze. Si vede che hai bisogno di crederci ancora.

-Anche questo potrebbe essere considerato un sacrificio?

-Sì.

-E se tutto ciò dovesse farmi soffrire di più?

-È una cosa che devi mettere in conto. Se pensi di avere la forza di farlo, tenta. Ci soffrirai sì, però è questo quello che vuoi fare, no?

-Non so, e se sbagliassi?

-Nessuna scelta è sbagliata.

-Se così peggiorassi la situazione? Se quella persona non volesse vedermi o peggio non volesse stare più con me?

-Allora ci soffrirai in silenzio, aspettandola.

-E se alla fine dovesse andare male? Se tutto quello che dovessi fare fosse inutile?

-Oh dai, nulla è inutile a questo mondo, semmai superfluo. Significherà che a quel punto avrai fatto un'altra esperienza e magari chissà a quel punto la penserai come me. Oppure potresti riuscirci e sapresti di aver fatto la scelta giusta.

Presa da sentimenti così vividi, per alleviarne il peso espressi a parole ciò che sentivo, a fatica:

-Ho paura.

Matteo fece una smorfia particolare, guardandomi con occhi intrisi di compassione:

-Tutti ne abbiamo.

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