II ATTO - Hiraeth

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Quando decisi di partire per la Corea tutti erano felici per me, solo io mi preoccupavo per problemi che chiunque avrebbe reputato stupidi. Prima di partire la fantasia si fece pressante e con prepotenza pensai se fra le tante cose avrei avuto la stessa esperienza che ebbi in Italia. Pensare di rivivere le stesse cose mi terrorizzava. Lì capii che la mia ansia non derivava dal fatto che fossi metà italiana, ma perché ero metà e basta. Non penso di aver raccontato tutto questo così da apparire come una vittima, ciononostante so di essere una di quelle ragazze insicure e non posso fare a meno di pensare se quelle mie insicurezze fossero innate o generate in risposta a un comportamento che percepivo nei miei confronti.

Quando arrivai a Seoul mi ritrovai di fronte la famiglia di mio padre, conoscevo solo una di queste persone, mio cugino Jun. Era venuto in Italia per una vacanza-studio e subito mi resi conto della nostra differenza. Non solo sembrava più coreano di me, ma aveva un modo tutto suo di ragionare. Questa cosa mi aveva dato una certa euforia per tutto il tempo del suo pernottamento. Quando lo presentai alle mie amiche, riuscì subito a conquistarle. Non sapeva una parola d'italiano, ma gli bastavano due gesti per farsi capire. Quanto a me, sapevo parlare coreano, i miei mi avevano abituata fin da piccola. Niente di più semplice che imparare una lingua da piccoli, tranne per il fatto che l'italiano rimaneva la mia lingua madre e per quanto mi sforzassi a utilizzare più spesso il coreano, non avevo nessuno con cui parlarlo se non con mio padre. Questa cosa generò in me un particolare senso di inquietudine all'idea di parlare con i miei zii. Alla fine riuscii a cavarmela senza problemi, come primo giorno a Seoul.

All'inizio non feci altro che abituarmi all'ambiente e iniziai a girare da sola per la città. Rimasi impressionata dallo splendore di quel posto. Jun, per ricambiare il favore, mi fece conoscere alcuni dei suoi amici e subito iniziarono a farmi mille domande. Com'è l'italia? Sai parlare bene l'italiano? È vero che gesticolano tutti? Non sapevo cosa rispondere. Erano sicuramente interessati, ma non a me. Le loro domande riuscivano a ferirmi e farmi sentire parte di loro contemporaneamente. Si comportavano come se fossi nata in Corea e fossi ritornata dopo una lunga vacanza in Italia. Cosa avrei mai potuto dire? Stetti al gioco e provai in modo goffo a rispondere a tutte le domande, una per una.

Quella notte Jun mi portò in una discoteca a bere qualcosa e a ballare un po'. Il locale era enorme e pieno di gente, non pagai nulla per entrare e mi ritrovai subito in mezzo alla pista con persone che tentavano di offrirmi da bere. In quel preciso istante, attraverso fiumi di alcool, vidi per la prima volta un ragazzo che avrebbe marcato profondamente la direzione che la mia vita avrebbe preso da lì a poco.

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