17• Tutti i sogni di Lucas diventano realtà

104 19 28
                                    

«Il treno 5678 è in arrivo al binario 5. Allontanarsi dalla linea gialla.» L'annuncio più volte ripetuto dalla fredda voce maschile era l'unico suono che Lucas riusciva a distinguere con chiarezza in mezzo a tutta quella baraonda di valigie, turisti litigiosi, clacson e quant'altro.

Erano solo le otto del mattino – aveva viaggiato per tutta la notte su un treno, dato che era riuscito a trovare un biglietto di andata per New York solo a quell'ora –, ma la stazione centrale di New York era già in piena attività. Nella zona in cui Lucas si trovava poteva vedere taxi gialli, disposti in fila, aspettare pazientemente i clienti.

Si diresse verso quello più vicino e aprì la portiera sul retro, lanciando la sua borsa sul sedile e sedendosi subito dopo.
«Dove la porto?» gli chiese elegantemente il tassista, un uomo di mezza età che indossava giacca e cravatta e un cappello elegante dotato di visiera. Delle goccioline di sudore gli scendevano con lentezza dalla fronte fino allo zigomo destro.

Lucas provò un forte senso di solidarietà nei confronti di quell'uomo; indossava quell'abito, inadatto ad un periodo come il mese di luglio solo per portare lui e un altro centinaio di persone dove gli ordinavano. E, inoltre gli aveva dato anche del lei. Era strano sentirsi appellare in quel modo da un cinquantenne.
«Alla Dalton High School, signore.»

Non gli aveva dato l'indirizzo di casa sua perché voleva fare una sorpresa a sua madre, suo padre e sua sorella e se un taxi si fosse fermato davanti al marciapiede che precedeva il loro giardino, l'avrebbero beccato subito.
Mentre il tassista zigzagava in mezzo alle auto per raggiungere la strada principale, Lucas controllò le chiamate al cellulare, che aveva deciso di spegnere durante il viaggio.

La prima cosa che vide furono le chiamate perse da parte di Reyna. L'aveva chiamato per più di venti volte. Subito dopo notò i numerosi messaggi di Kimberly. Lesse il primo – “Dove diavolo sei, idiota?” – e l'ultimo – “Te lo giuro, ti farò usare tutto il mio bagnoschiuma ai fiori di loto, se torni!” seguito da una sfilza di cuoricini rossi –.

L'ultimo messaggio che vide fu quello da parte di Daniel. Era un lunghissimo messaggio; lesse almeno una dozzina di “ti voglio bene” e un unico, gigantesco: “QUI È UN CASINO SENZA DI TE, QUINDI PER FAVORE RISPONDIMI E DIMMI CHE STAI BENE E TI GIURO CHE INDOSSERÒ QUEL COSTUME IMBARAZZANTE CON I PAPPAGALLINI E LE NOCI DI COCCO OGNI VOLTA CHE VORRAI!”

«Beh, credo sia il caso di fare qualche telefonata.» si disse il figlio di Ecate. Chiamò prima Reyna, che gli rispose con una strano tono di voce. Non assomigliava neanche alla sua.
«Dammi una buona motivazione per non ucciderti.»

«Kimberly, sei tu?» rise Lucas.
«Giusta osservazione, Hale. Vedi di non sparire di nuovo senza lasciare traccia, per favore. Dove sei?»
«Quasi a casa mia. Come mai non sai dove sono? Reyna ha letto il mio biglietto?» le chiese Lucas, visibilmente confuso.

«Quale biglietto?» ribatté Kimberly.
«Quello che le ho lasciato.» rispose Lucas. «È sul mio letto.»
Dall'altro capo del telefono, Lucas udì la voce di Daniel. «Ehi, qui c'è un foglio di carta con dei cuori disegnati sopra!» aveva esclamato.
«Digli di non leggerlo!» esclamò immediatamente Lucas, facendo sussultare Kimberly.

«Perché no?»
«Perché l'ho scritto per Reyna. Ci sono cose…private.»
«Okay. Almeno puoi spiegarmi come mai sei a New York?»
«Certo. Dammi un minuto.»
Nel mentre, il tassista aveva accostato accanto ad un marciapiede, nei pressi del suo ex liceo.

Lucas gli allungò una banconota da venti dollari e schizzò fuori dalla macchina, catapultandosi sotto un imponente albero, che con i suoi rami carichi di foglie scosse dal vento, forniva una piacevole frescura. Un gradito fattore che, abbinato alla grossa ombra proiettata dall'albero stesso, conferivano a quell'ambiente la zona perfetta per parlare e rilassarsi senza essere infastiditi dai raggi di sole più audaci.

«Ne sono passati due, di minuti.» La seccata voce di Kimberly risuonò nuovamente nell'altoparlante del cellulare di Lucas.
«Uno e mezzo.» ribatté invece lui. «Sono a New York» riprese, «perché lì a San Francisco mi sento inutile.»
La voce di Kimberly si fece all'improvviso più comprensiva. «Non credo di seguirti.»
«Il fatto è che non credo che io possa esservi utile in qualche modo.»

«Continuo a non capire.» insisté Kimberly.
Lucas si chiese se fosse una buona idea parlarle di Alabaster e di ciò che gli aveva detto per spingerlo ad andarsene. Se lo avesse fatto avrebbe dato l'impressione di uno che frignava per ogni singola cosa? Forse, però, Kimberly avrebbe capito.

A lei non piaceva Alabaster ed era anche sua amica. Anche se, a volte, diceva di trovare Lucas fastidioso, lui sapeva che non era davvero così; Kimberly gli voleva bene anche se non glielo aveva mai detto. «Devo confidarti una cosa. Però vorrei che Reyna non lo sapesse.» disse a Kimberly, mentre giocherellava con un filo che spuntava da uno strappo dei suoi jeans.

«Non le dirò niente. Anzi, non dirò niente a nessuno.» promise Kimberly. «Di cosa si tratta?»
Lucas prese un bel respiro profondo e spiegò per filo e per segno a Kimberly tutto quello che era successo con Alabaster. Quasi non riprese fiato per raccontare il più in fretta possibile.

Quando ebbe detto l'ultima parola, gli sembrò quasi di essersi liberato di un grosso peso, che fino ad allora aveva albergato nel suo petto a mo' di macigno, schiacciandolo sotto la crudeltà delle parole di Alabaster. Non si era aspettato di rimanerci così male, ma c'era da dire che nessuno era mai stato scortese con Lucas; di conseguenza non era abituato a commenti così privi di tatto e di rispetto nei suoi confronti.

Quella notizia sembrava aver colpito molto Kimberly; Lucas la ascoltò in silenzio imprecare contro un dio dopo l'altro e definire Alabaster con un epiteto parecchio volgare, persino fuori dal  suo repertorio di parolacce. Certo, Kimberly imprecava a volte, ma senza esagerare ed evitando di assomigliare ad uno scaricatore di porto. Quella volta, invece, sembrava non avere alcuna intenzione di darsi un tono, tanto che Lucas decise di aiutarla per evitare che la situazione le sfuggisse di mano – o forse era troppo tardi e qualche dio strano si stava già preparando ad incenerirla –.

Lucas cercò di buttarla tutta sul ridere. «Allora, hai finito? O ti manca ancora qualche dio contro cui imprecare?»
«No, ho finito.» Kimberly sembrava mortificata. «Ascolta, so quanto è orrendo avere a che fare con Alabaster. Perciò devi promettermi che quando tornerai non ti avvicinerai mai a lui.»

«Va bene.» accettò Lucas, alquanto confuso da quella strana richiesta di Kimberly. «Ora potresti passarmi Reyna, per favore?»
«Lei non c'è. È uscita all'alba per cercarti, insieme ad Aaron e Nico. Un'altra squadra è partita anche per Josh e Adria.»
«E come mai hai tu il suo cellulare?»
«Me lo ha lasciato per risponderti. Sarebbe stato pericoloso per lei portarlo con sé in viaggio.»

«Oh, okay. Senti, ora devo andare a casa. So che è appena mattina ma vorrei beccare mio padre prima che vada al lavoro. Chiamerò Reyna con un messaggio-Iride il prima possibile per dirle che non è necessario che mi cerchi. Puoi spiegare tu a Daniel tutto quello che è successo, che sto bene e che non vedo l'ora che indossi lo splendido costume che gli ho regalato qualche settimana fa?»

«Certo.» rise Kimberly. «Anche lui non sta nella pelle nell'indossare quel costume. Credimi. Comunque, quand'è che torni?»
La conversazione aveva di nuovo ripreso quel tono serio che metteva Lucas a disagio. Kimberly, però, sembrava solo preoccupata e pareva non esserla presa affatto con Lucas per essere fuggito e aver creato più lavoro da fare ai legionari.

«Presto. Qualcuno deve pur infastiditi usando tutto il tuo bagnoschiuma, no?»

Ci “vediamo sabato”! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto!✨😼

Olympus [2] • Who is gonna make it out alive Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora