Cugino

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Caroline sorrideva quella mattina. Fuori c'era una leggera pioggerellina mentre la radio trasmetteva una canzone allegra, le note si spargevano per la casa rendendola più colorata. Lei svolgeva i suoi compiti senza neppure pensarci, la testa per aria, canticchiando di tanto in tanto, attraversando le stanze come un fiume in piena, senza fermarsi, i piedi leggeri come piume.
Tra i seni, nascosta agli occhi di Joseph che la guardava stupito, si nascondeva una lettera. Lettera che aveva trovato quel mercoledì mattina sotto la porta di ingresso del palazzo e che per miracolo non era stata presa da nessuno. 
Cara Elly
Come stai? Ho avuto paura che dopo tutta quella pioggia ti fossi buscata una febbre.
Mi dispiace non aver pensato a prendere un ombrello, ma devi giustificarmi: ero emozionato. La verità è che aspettavo quella sera con ansia, e di solito quando sono ansioso tendo a combinare guai: devo dire che, in linea di massima, ci è andata bene.
Non faccio che pensarti, Elly, penso e ripenso alla ragazza dall'amore sconfinato per il gelato al cioccolato e il vestito verde come i suoi occhi. Penso e ripenso a quella sera, a quello che ci siamo detti, alle tue risate, e non me ne stanco mai.
Non vedo l'ora di rivederti, ma già questa lettera è un punto interrogativo. Non so se la riceverai, e al pensiero che potresti non vederla mi viene da impazzire. Ma che posso farci?
Sono stato tentato più volte di venire a bussare a casa tua, sperando di poter fare due passi: non l'ho fatto perché non volevo metterti nei guai, visto la severità di quell'ufficiale. 
Comunque se riesci a ritagliare un piccolo spazio di tempo per me sarebbe fantastico: mi bastano anche solo dieci minuti. Che dici?
Spero di ricevere una tua risposta, altrimenti beh ... credo che scriverò un'altra lettera. 
Con affetto 
Dimitri.
Caroline a quel punto aspettava solo che l'ufficiale si togliesse di torno per poter scrivere la risposta in santa pace, ma quella mattina Joseph era rimasto a casa. 
Non aveva neppure indossato l'uniforme, e se ne stava seduto nel suo ufficio con la porta aperta, lo sguardo smarrito che si soffermava su di lei ogni volta che passava davanti la porta. Caroline avrebbe tanto voluto sapere cosa c'era scritto sulla lettera che aveva ricevuto lui quella mattina, ma sospettava che il contenuto non fosse piacevole quanto quello della propria lettera.
Era metà mattina quando lui finalmente la chiamò, e lei curiosa come non mai si precipitò nel suo studio. Quando fu di fronte a lui, Joseph la fissò un attimo, poi disse con la sua solita aria imperiosa.
«Devi venire in un posto con me, quindi lascia perdere le pulizie e và a lavarti» disse guardandola con aria critica. La ragazza era consapevole che il suo aspetto non fosse dei migliori, ma non capiva come la cosa potesse importare a lui.
Dopo un attimo di esitazione, Joseph aggiunse
«Metti il vestito verde ... e il rossetto» lei spalancò gli occhi e non seppe trattenersi dal chiedere:
«Perché? Dove dobbiamo andare?» lui fece un sospiro stanco, e neanche si sforzò per darle fastidio, come suo solito.
«Andiamo a comprarti un vestito nero adatto a un funerale» disse atono.
«Un funerale?»
«Hai presente quando la gente muore e poi si seppellisce? Ecco quello. Un funerale» disse lui infastidito, per poi guardare l'orologio.
«Allora, ti sbrighi? Non abbiamo tutto il giorno» lei annuì e corse via. Non avrebbe dovuto essere felice per un funerale e avrebbe dovuto essere più curiosa di capire chi fosse morto, ma la verità era che era eccitata. Non avrebbe passato la giornata dentro casa a pulire, aveva ricevuto una lettera da Dimitri e avrebbe passato il resto della mattina in giro per negozi. L'unica nota stonata in quel quadretto era Joseph, ma cercò di ignorarlo: non poteva farle niente mentre erano per strada.
Fece come gli aveva detto: si immerse in un bagno profumato, lavò i capelli e li tirò indietro con un fazzoletto, poi indossò il suo vestito verde che tanto adorava. Mise il rossetto e usò il piegaciglia. Quando uscì dalla sua stanza pronta Joseph la stava aspettando in cucina vestito con abiti civili. Aveva una camicia bianca, dei pantaloni beige e una giacca estiva abbinata. Non portava la cravatta e aveva in mano un cappello di feltro. Quando la vide si alzò e indossò il cappello, poi afferrò l'ombrello e la precedette in corridoio senza dire una parola. Lei lo seguì, afferrando il suo fedele cardigan per coprirsi dalla pioggia. 
«Posso almeno sapere di chi è il funerale?» chiese lei quando furono in strada. Lui teneva l'ombrello per entrambi e lei fu costretta ad aggrapparsi al suo braccio: sembravano una coppietta felice. La cosa un po' la disgustava e un po' la stupiva. Quel comportamento non era da Joseph: era sconvolto, ma lei non capiva per cosa.
«Mio cugino ...» disse lui guardando dritto davanti a sé. 
«Quello che ...»
«Quello che mi picchiava ogni volta che riusciva a prendermi, si. Quello che una volta mi ha chiuso in uno sgabuzzino per un giorno intero e che mi a rotto il naso con un calcio. Quello che odiavo con tutto me stesso» disse lui, gli occhi chiari ancora travolti da uno strano sentimento che non capiva. Era dispiacere o soddisfazione? Senso di colpa o indifferenza? 
«Non pensavo che avreste mai legato» disse lei sinceramente stupita, mettendo da parte le formalità. Dopo che quel sabato era uscita con Dimitri lui aveva smesso di insistere su quel punto, se non quando era particolarmente irascibile, e lei continuava ostinata a non riservargli quel rispetto che invece lui avrebbe voluto: non lo chiamava signore, non gli dava del lei, mangiava a tavola con lui, nonostante le occhiatacce. Joseph piano piano ci faceva sempre meno caso.
«No, infatti» disse, grattandosi il mento a disagio. Era rigido come un pezzo di legno e Caroline ce la stava mettendo tutta per capire cosa gli fosse preso.
«Perché sei così sconvolto allora?» disse lei sollevando lo sguardo su di lui. Era troppo alto per poterlo guardare in faccia senza sentirsi una bambina e il suo profumo di dopobarba era così forte da farle bruciare il naso. Voleva capire: era una persona troppo curiosa per lasciar perdere. Lui sbuffò.
«Potresti frenare questa tua fastidiosissima curiosità? Ho bisogno di un'accompagnatrice per il funerale di quel bastardo di mio cugino, e non mi va di portarmi una ragazza che poi crederà per questo che io la sposerò, e che mi assillerà per i prossimi due anni. Chiaro?» lei aggrottò le sopraciglia, stringendosi a lui sotto l'ombrello. La pioggia era aumentata e iniziava a sentire freddo.
«Cioè vuoi che io mi finga la tua fidanzata?» lui fece un sorriso strano
«Fidanzata, amante ... quello che vuoi» lei arrossì fino alle punte dei capelli e si fermò di scatto.
«Ti conviene prepararti un anello, perché non verrò a fare la parte della donna dai facili costumi con i tuoi parenti solo per saziare il tuo orgoglio» lui la ignorò e la trascinò lungo la strada.
«Ne parliamo dopo, adesso pensiamo al vestito, piuttosto» 
«No, Joseph ne parliamo ora!» lui si fermò e la guardò in faccia, palesemente arrabbiato.
«Senti, se non lo hai ancora capito, allora te lo spiego io: non è giornata. Tu verrai con me, che ti piaccia o no, ed eventuali discussioni, che serviranno a ben poco, le facciamo a casa. Tutto chiaro?» lei lo guardò arrabbiata. Non voleva rispondere e continuava a fissarlo negli occhi.
«Ho detto, è chiaro, Caroline?» ripeté lui sempre più arrabbiato. Lei lo ignorò ancora e lui borbottando incazzato le sussurrò all'orecchio:
«Se non fai come ti dico giuro che appena arriviamo a casa te ne faccio pentire. E tu sai di cosa sono capace»
«Si, so chi sei. Andiamo?» disse mettendo tutto il disprezzo possibile in quelle parole. Ma che altro avrebbe potuto fare? Le scenate in pubblico sarebbero costate di sicuro più a lei che a lui e una volta a casa era in suo potere. Non aveva alternative. Lui annuì soddisfatto e continuò a camminare.
Arrivarono in un negozietto piccolo ma accogliente, con la vetrina piena di bei abiti alla moda e dietro il bancone una ragazza bionda sulla ventina e in stato interessante.
«Salve, come posso aiutarvi?» disse tutta sorriso. 
«Le serve un vestito nero. Sa, per un funerale» disse duro e rigido indicando Caroline. Lei li guardò, poi le si spense il sorriso.
«Oh ... mi dispiace» disse, cercando di essere gentile. Nessuno dei due si prese la briga di risponderle, così dopo un attimo di esitazione indicò loro una stanzetta con un camerino aperto. Sorrise di nuovo a Caroline, che ricambiò la gentilezza. La gravidanza le addolciva i lineamenti e i capelli biondi le andavano da tutte le parti: era palese che fosse felice. 
«Prego, da questa parte» 
Dopo essersi sistemata nel camerino,Caroline provò parecchi vestiti, tutti prontamente bocciati da Joseph.  Qualcuno le piaceva, ma lui li scartava con un deciso segno del capo e un'espressione elegantemente schifata. 
«Certo che è un tipo molto esigente, suo marito» sbuffò la commessa all'ennesimo vestito, stanca più di lei. Caroline non si prese la briga di correggerla e confermò la sua tesi con un sospiro esausto.
Alla fine riuscirono a prendere un vestito nero, che Caroline odiava ma che a Joseph inspiegabilmente piaceva. Non era nel suo stile, ma probabilmente l'uomo credeva fosse il più adatto alla cerimonia che li aspettava il giorno dopo, quindi Caroline non protestò.
Uscirono da lì con il vestito, le calze, i guanti e persino un cappello nero. 
Joseph non parlò al ritorno, la teneva a braccetto e con l'altra mano reggeva i pacchi come un perfetto gentiluomo. Caroline apprezzava molto di più quel lato di lui, quello attento alle formalità fino all'esagerazione e di una galanteria impeccabile. Anche se era solo finzione, la faceva stare un po' meglio. 
«Tu ricordi le cose che ti dicevo su mio cugino nelle lettere?» chiese lui ad un tratto, quando erano quasi arrivati a casa.
«Si, certo ... lo odiavo, tuo cugino, senza averlo mai visto» rifletté lei.
«Tu non avevi nessun motivo reale per odiarlo ...» disse lui guardandola un attimo, per poi continuare a fissare la strada.
«Tu eri una delle persone più importanti per me, avrei fatto di tutto per vederti ridere, anche se ero solo una bambina» Caroline si guardò i piedi, a disagio. 
«Quel ragazzino invece ti faceva stare male, e a me tanto bastava per odiarlo. Io avrei pagato oro per stare con te anche solo per un minuto» disse senza guardarlo in faccia, ricordando il bene che voleva a Joseph anni prima. Le sembrava impossibile che fosse la stessa persona che ora gli camminava accanto. Joseph rimase in silenzio, incerto su cosa dire, poi puntò lo sguardo su un piccolo ristorantino. Era vicino casa loro, ma lui sapeva che il cibo era buonissimo.
«Ti va di mangiare lì?» chiese quindi, visto che era ora di pranzo e lei non aveva avuto il tempo di preparare nulla. Caroline guardò lui, poi il ristorante e sorrise.
«Certo! Non mangio in un ristorante da tantissimo tempo» disse eccitata, dirigendosi a passo svelto verso il locale con Joseph dietro di lei che non riusciva a fare a meno di ridere.
Si rese conto di star sorridendo troppo tardi. Lei riusciva a farlo stare bene senza neanche rendersene conto, era sempre stato così, anche se lui avrebbe preferito che non ne fosse più capace. Come l'avrebbe lasciata andare dopo che la Germania avrebbe vinto la guerra? Scacciò quel pensiero. 
Lei era ebrea, sarebbe stato un sollievo liberarsene. Le andò dietro e si sedettero in un tavolino a due posti.
Quel pranzo fu allegro. Nonostante tutto, risero insieme. Lei sembrava non farci caso, era felice e si vedeva, trasmetteva allegria a chiunque la guardasse e lui non poté che esserne contagiato. 
Prendeva in giro chiunque, dal cameriere impacciato al signore col parrucchino di lato a loro, dalla signora ossessionata dal proprio barboncino ad una ragazza che, provando a fumare, si era affogata. 
Lui rideva e, dopo un iniziale tentennamento, le dava manforte. Chissà perché poi lei scherzava con lui in quel momento, Joseph sapeva di non meritarlo. È lei che non si merita tutto questo, non io si ricordava ogni volta che la sua coscienza gli faceva brutti scherzi. Eppure Joseph era ogni giorno più accondiscendente, meno rigido, salvo la parentesi causata da quel suo appuntamento la settimana prima. Le lasciava il denaro che lei voleva per gli acquisti da fare e poi non le chiedeva quanto avesse speso, le lasciava carta bianca in casa, a volte sorvolava su certe risposte acide, evitando litigi. Ed erano passate solo una manciata di settimane.
Ogni tanto, quando si fermava a pensarci, si dava dello stupido. Ma Caroline era più cocciuta di un mulo, era ostinata a fare di testa propria in tutto, non aveva nessuna intenzione di sottostare a certe regole e lui, anche se non lo avrebbe ammesso neanche a sé stesso, odiava doversi comportare in certi modi con lei.
In quel momento poi, davanti a sé Joseph vedeva una donna, e non poteva fare altrimenti. Era un corpo di donna, una voce di donna, un'anima di donna davanti a lui. Non uno scheletro spaventato, come era all'inizio. Non una figura senza volto come quelle che condannava senza remore alla morte, come quelle che aveva ucciso e violato. Era una donna. E il suo corpo ne era dannatamente consapevole. Cercava di non guardarla, di renderla solo un'ombra in casa sua, ma lei era così sgargiante che il compito gli risultava spesso impossibile. Le ombre erano nere e grigie, si allungavano nel buio della notte e dell'attesa. Lei invece, con quei suoi capelli rossi e la voce cristallina, era come una fresca giornata di primavera. Era riuscita a tirarlo su in un momento difficile per lui. Sentimenti contrastanti lo animavano in quel momento per ciò che era accaduto a quel suo cugino tanto odiato, un turbinio che lui a stento riusciva a gestire ma che lei aveva fatto sparire quasi del tutto.
Lasciarono il ristorantino con la pancia piena e i fianchi doloranti per le troppe risate trattenute. Lei rideva ancora, quando uscirono a braccetto sotto l'ombrello, diretti a casa. 
Fra di loro però scese il silenzio. Quante cose può dire un silenzio! Nelle strade il tram sfrecciava rumoroso, c'erano macchine sbuffanti e cavalli, gente che si affrettava a raggiungere un posto più riparato, il rumore ticchettante della pioggia. Eppure ... il silenzio tra loro sembrava più assordante della cacofonia di Berlino.
Arrivarono a casa un po' bagnati. Joseph aveva di nuovo la mascella contratta per la tensione, la barba stranamente sfatta di un giorno che gli ricopriva le guancie, lo sguardo fisso sul suo vestito nero nuovo, che la ragazza stava sistemando. La magia era finita e lei lo guardava con un pizzico di nostalgia. Era quello il Joseph che ricordava, e lasciarlo andare le lasciava l'amaro in bocca. Per questo, cercando di recuperare quel filo invisibile che li aveva legati durante il pranzo gli si avvicinò. 
«Ti va di dirmi perché questa notizia ti ha sconvolto tanto?» lui era seduto su una sedia della cucina e la guardava smarrito. Non lo aveva mai visto così vulnerabile. Joseph sospirò e si guardò le mani. Poi si decise a buttare tutto fuori, alzò gli occhi e li puntò su di lei, in piedi davanti a lui, lo sguardo incoraggiante.
«Io lo odiavo e ... un giorno, circa un anno fa, un ufficiale mi disse allegro che un mio cugino era stato arruolato» fece un sospiro e distolse per un attimo gli occhi dai suoi, come per raccogliere le idee.
«Fece il suo nome. Disse che, poiché eravamo dello stesso sangue si aspettava grandi cose da lui, proprio come grandi cose avevo fatto io. Lo paragonò a me» un lampo di rabbia passò dagli occhi chiari dell'ufficiale ma il senso di colpa lo soffocò subito dopo.
«Io, che avevo sputato sangue per avere quello che avevo. Lui invece arrivava così e si ritrovava, grazie al mio buon nome, in un reparto speciale. Lui che aveva tanto criticato la mia aderenza al partito, prendendomi in giro, dicendomi che ero un esaltato. Lui che ogni volta che ne aveva avuto l'occasione mi aveva riempito di botte e che aveva smesso solo perché dopo la NaPola, se solo si fosse rischiato, lo avrei fatto a pezzi» Joseph prese un respiro.
«Così lo dissi a quell'ufficiale, non seppi trattenermi. Risi delle sue parole e gli risposi che mio cugino era un buono a nulla, che aveva aspramente criticato il fhurer e il partito prima che questo prendesse il potere, che mi aveva dato più volte dell'idiota per la mia aderenza al partito, che era un codardo incapace di affrontare le sfide della vita» Joseph fece un sorriso amaro davanti la faccia sconvolta di Elly.
«Lo mandarono in Africa con l' Afrikakorps, il fronte fin'ora più pericoloso. E adesso lui è morto» finì il suo racconto bruscamente e si prese la testa fra le mani.
«Ma era pur sempre mio cugino ... uno dei pochi legami con la mia famiglia» era sconfortato. Lei si abbassò sulle ginocchia per guardarlo in faccia. 
«Non devi sentirti in colpa, secondo me. Qualcuno doveva pur andarci in Africa, no? meglio lui che qualche uomo onesto. E poi, in guerra si muore, in qualsiasi reparto: non lo hai mica ucciso tu!» disse sinceramente lei.
«Ma è come se lo avessi fatto» lei si rialzò, spazientita.
«Non sarebbe il primo che ammazzi, ti pare? Sicuramente però era quello che lo meritava di più» lui scosse la testa 
«Non è la stessa cosa, in guerra o uccidi o muori» spiegò lui. Ma lei aveva assunto una faccia di pietra. 
Joseph si faceva tanti problemi per aver dato ad un uomo spregevole il destino che meritava e poi ... poi chissà quanti uomini aveva ucciso, quanti ebrei aveva picchiato, quanti erano morti fra le sue mani solo per il fatto di essere ebrei: ricordava bene cosa era successo la notte dei cristalli a Friburgo. E a Berlino le cose erano state, se possibile, peggiori. A volte lo dimenticava, chi era. A volte nei momenti come quella mattina dimenticava quello che lui aveva fatto, e che continuava a fare. Caroline aveva visto abbastanza ebrei freddati da soldati con motivazioni più che futili per non pensare quello di lui. I lineamenti le si indurirono.
«Non parlavo di quello, infatti» disse quindi senza staccargli gli occhi di dosso. Lui fecce uno sguardo confuso, come se non sapesse di cosa lei stesse parlando, così Caroline, ancora più arrabbiata, si girò, prese l'abito e si diresse nella sua stanzetta minuscola a rimuginare su quanto fosse stata stupida a divertirsi con lui. Non poteva giocare col fuoco, sarebbe morta bruciata altrimenti.
Joseph invece fissava il punto in cui lei era sparita, chiedendosi perché. Perché lei non poteva essere ariana? Sarebbe stato tutto molto più semplice.
 


* L'immagine è un disegno che raffigura soldati dell'Afrikakorps, un'unità dell'esercito tedesco mandato in medio oriente, che combatté sopratutto a fianco dei fascisti in Libia.

L'uniforme Nera con la Svastica RossaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora