Serva

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Non fu facile quel giorno per Caroline svolgere i compiti che le erano stati affidati. Joseph era sparito subito dopo averle detto velocemente dove avrebbe potuto trovare le cose che le servivano, mentre lei non gli aveva prestato molta attenzione. Lavò le lenzuola, più per necessità che perché glielo aveva chiesto lui, stessa cosa per il piccolo bagno di servizio e la cucina. Non aveva spolverato la camera di Joseph, ma aveva semplicemente aperto le imposte per far girare l'aria, sentendosi persino magnanima. Non aveva mangiato nulla tutto il giorno e aveva passato il tempo che le era rimasto, parecchio effettivamente, per frugare in casa. Aveva trovato foto di Joseph durante un paio di compleanni, una del suo diploma, un paio con coppe di pugilato e una in uniforme, il giorno del suo giuramento. Ce n'era anche una con lei, sopra un plico di fogli che scoprì essere le sue lettere di quando era bambina. Inutile dire che le rilesse tutte, versando lacrime amare per un periodo della sua vita ormai così lontano.
Non prese sul serio le parole dure di Joseph, che inizialmente l'avevano fatta infuriare tanto. Non lo credeva cattivo, pensava fosse diverso dagli altri soldati. Un uomo che conservava per tanti anni le sue lettere non poteva essere capace di farle del male solo perché non aveva ubbidito a degli orditi ringhiati come ad una serva.
Aveva deciso che lo avrebbe aiutato in casa, le spettava, perché in fondo aveva ragione quando diceva che non poteva assumere una cameriera per colpa sua. Aveva persino acconsentito a stabilirsi nella stanzetta grigia destinata alla servitù, capendo che doveva rispettare i suoi spazi. Ma non avrebbe sopportato di essere trattata come feccia. Non si sentiva questo e pensava che quell'uomo, che l'aveva portata con lui rischiando tanto, le aveva procurato dei documenti, sistemata in casa propria e amata tanto teneramente quando erano solo bambini, non poteva disprezzarla sul serio. Non poteva punto e basta, era impensabile, impossibile, incredibile. La tosse non accennava a diminuire, ma anzi si sentiva sempre peggio. Alla fine della giornata era stremata.
Joseph tornò a casa alle sei e mezza quella sera, portando dei panini e salsicce per la cena di entrambi. Lo accompagnava un signore alto, con una lunga barba ben curata e dall'aria intellettuale. Lei osservò l'ospite con aria interrogativa quindi Joseph si affrettò a presentarlo.
«Lui è il dottor Wagner. È venuto qui per dare un'occhiata alla mia ferita e per cercare di capire a cosa è dovuta la tua tosse, che mi preoccupa un po' a dire il vero» Elly annuì, sprizzando sollievo da tutti i pori.
Il dottore si occupò prima della ferita di Joseph, poi la chiamò nella camera dell'ufficiale, dove si dovette distendere nel letto. Le prese il battito, le fece qualche domanda e poi ascoltò il suo respiro. Alla fine sospirò, sollevato.
«Non è TBC, grazie a Dio, però ha la polmonite signorina. Non è ancora tanto grave, anche se credo che se non sarà curata bene peggiorerà molto velocemente, quindi faccia attenzione: non la sottovaluti. Non è infettiva, perché è dovuta alla scarsa qualità dell'aria: ha lavorato in ambienti malsani, quindi è comprensibile» la aiutò a rimettersi in piedi con un sorriso gentile.
«Le basterà prendere degli antibiotici, ora glieli lascio, e poi tanto riposo. E mi raccomando, non prenda freddo! Quando la tosse passerà, dovrà continuare a prendere gli antibiotici, e le consiglio passeggiate nel parco qui vicino: l'aria buona aiuta molto»
Data la diagnosi, il dottore li lasciò, ricordandosi però di lasciare quanto necessitava per la cura di entrambi. A quel punto però Caroline, digiuna dalla mattina, era di nuovo affamata.
«Hai portato la cena? Dio, sto morendo di fame! Potevi evitare di lasciarmi qui a marcire tutto il giorno senza niente da mangiare» lui non commentò l'allegria di lei assolutamente ingiustificata, limitandosi a dirle di apparecchiare, mentre si guardava intorno accigliato.
«Non ti avevo detto di pulire la cucina, o sbaglio?»
«No, non sbagli. Ma secondo me era meglio darle una sistemata» lui la osservò, mentre lei noncurante disponeva a tavola le posate e il pasto semplice che il ragazzo aveva portato.
«E hai trovato il tempo di fare anche questo?» chiese lui stupito. Non capiva perché lei fosse così allegra, dopo il modo in cui l'aveva trattata e dopo aver lavorato come un mulo per tutto il giorno. Insomma, secondo i suoi conti avrebbe dovuto passare la mattina a lavare tovaglie e lenzuola, per poi pulire tutto quello che aveva detto di fare. E stava anche male.
«Certo. Non sono mica la tua cameriera, io, mi sembrava di essere stata chiara. Non ti ho spolverato la camera, così come non mi sono messa a fare la bella lavandaia. Se hai bisogno di qualcosa a casa, capisco che dovrò occuparmene io, però tu non puoi darmi ordini. Non sono una serva, e poi so che per te conto qualcosa, non mi butteresti mai per strada» disse, ostentando sicurezza, mentre mangiava. Joseph si limitò a fissarla, senza battere ciglio, dandole l'impressione di averla avuta vinta. L'uomo finì silenziosamente di mangiare poi, mentre lei era ancora intenta finire la cena, si alzò dal tavolo e si lavò le mani, disinvolto e senza far trasparire le reali intenzioni sul viso, le andò dietro, poggiandole le mani sulle spalle. Lei si immobilizzò, stranita da quel gesto.
«Caroline mettiamo le cose in chiaro. Tu non conti niente per me dal momento in cui ho saputo cosa sei veramente» disse. La ragazza provò a divincolarsi, ma la presa era di ferro e fu costretta a restare in quella posizione.
«In questa casa comando io. Se io ti dico di fare qualcosa, tu la fai. Non esistono piagnistei, lamenti o discussioni: io ordino, tu esegui. Ci arrivi a questo concetto?» chiese con cattiveria, mentre la presa diventava sempre più forte e la ragazza più terrorizzata.
«Infine, hai davvero capito male. Tu qui non sei un'ospite. Non sei una cameriera, retribuita e che può essere licenziata. Sei una serva. Non posso sostituirti, quindi sai che faccio? Se non fai come ti viene ordinato, tu ne subisci le conseguenze, finché non comprendi che devi obbedirmi» Caroline aveva smesso di divincolarsi. Fissava terrorizzata la parete di fronte a lei, di un ocra spento.
«Ci sono regole in questa casa, Caroline. Tu non parli se non ti si viene chiesto. Tu obbedisci agli ordini. Tu non tocchi nulla che non ti riguarda. In cambio mangi, dormi sotto un tetto e sei al sicuro da questa guerra a cui forse riuscirai a sopravvivere. Ora, se tu non rispetti queste regole, io non ho motivo di darti alcuna ricompensa» Caroline adesso tremava, ma non si arrese.
«Allora perché mi hai portata con te? E perché, di grazia, ti interessa tanto della mia vita?»
«Perché, Caroline, sono una persona che non ama avere debiti con nessuno: una vita, vale una vita. Ecco perché tu sei qui, adesso»
Dopo questa risposta secca lui la prese per i capelli con una mano, costringendola ad alzarsi. Lei si oppose, mentre la sedia si rovesciava e lei per poco non cadeva a terra urlando. Lui la tirava forte dai capelli e nonostante si divincolasse Joseph la trascinò con pochi sforzi vicino alla cassettiera, mentre lei si dimenava ancora come un'anguilla. Frugò nel secondo cassetto con la mano sinistra, mentre Caroline si dibatteva furiosamente, finché non ne estrasse un paio di forbici. Lei, che non vedeva nulla di ciò che Joseph stava facendo, ad un certo punto sentì che lui l'aveva mollata, avvertendo però una strana sensazione. Si girò con gli occhi sbarrati, senza capire poi molto di cosa era successo. E poi vide nella mano sinistra di Joseph un paio di forbici da cucina e in quella destra una massa di capelli rossi. D'improvviso capì che cosa c'era di strano: i suoi capelli non le erano ricaduti sulla schiena, ma erano rimasti nella mano dell'uomo che adesso la guardava con un ghigno sadico.
L'unica cosa bella che le era rimasta. I suo capelli, lunghi e di un caldo rosso, gli stessi che lui adorava quando era piccolo, gli stessi che lei non tagliava da quando aveva dieci anni, adesso erano nella mano di colui che aveva giurato di proteggerla. Gli occhi le si riempirono di lacrime di rabbia, ma non le lasciò scendere: non gli avrebbe dato quella soddisfazione. Il ghigno di lui si allargò.
«La prossima volta, cara Caroline, passo alle maniere forti» la minacciò. Davvero però Caroline avrebbe voluto sapere cosa c'era peggio di quello. Dopo un ultimo sguardo compiaciuto al suo indirizzo, lasciò cadere i capelli per terra con noncuranza e ringhiando di pulire tutto se ne andò nella sua camera, mentre lei restava lì, in ginocchio sui suoi capelli tranciati sparsi per terra come sangue.
Lui sapeva cosa significavano per lei, eppure era proprio a quello che aveva puntato, era come se avesse voluto colpire dove sapeva che avrebbe fatto più male. Per la prima volta nella sua vita, quella sera Caroline vide Joseph come un nemico, come qualcuno da cui difendersi, qualcuno che avrebbe potuto farle del male.
Dopotutto pensò amaramente mentre stringeva le ciocche tra le dita tremanti ha ricevuto lo stesso addestramento di tutti gli altri.

L'uniforme Nera con la Svastica RossaWhere stories live. Discover now