Prologo

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Germania, Friburgo, 1924
Il cielo era luminoso quel giorno di Agosto, il sole rischiarava i tetti spioventi tipici della città e le foglie sembravano brillare. Era metà mattina, le strade erano animate di gente, il fiume Dreisam scorreva placido riflettendo la luce. Due bambini, dalle pendici del Schauinsland, proprio agli inizi della foresta nera, giocavano ridendo divertiti. Sembrava stessero facendo qualche strano gioco inventato da loro e il modo in cui si guardavano rapiti indicava che erano inconsapevoli del resto del mondo circostante. Erano come dentro una bolla di felicità e spensieratezza.
Joseph e Caroline erano vicini di casa e inseparabili. Entrambi figli unici, erano cresciuti insieme come fratelli, o forse qualcosa in più. La madre di Joseph era morta di parto, mentre Caroline ... beh i suoi semplicemente non erano più riusciti ad avere altri bambini.
Joseph aveva sei anni, mentre Caroline appena quattro. Lui aveva i capelli biondissimi lisci e sottili, che portava sempre molto corti. I suoi lineamenti erano affilati, la pelle pallida e gli occhi di un azzurro chiarissimo, che d'inverno sembrava grigio. Si vedeva che sarebbe diventato alto ed era magro come un chiodo.
Se i suoi colori erano così tenui e delicati, quelli di Caroline erano tutto l'opposto. La bambina aveve i capello rossi come lingue di fuoco e gli occhi uguali al colore delle foglie smeraldine accanto a loro. Il suo viso infantile era paffuto e aveva il naso all'insù spruzzato di efelidi.
Da qualche parte nella foresta, doveva esserci il padre di Joseph. L'uomo, reduce di guerra, al suo miracoloso ritorno in patria aveva trovato la moglie morta e un bambino piccolo da accudire. Con il governo allo stremo e nessuno disposto ad assumerlo in un impiego fisso, aveva dovuto arrangiarsi. Così lavorava un po' dappertutto, come spazzino, muratore, imbianchino, e un altro milione di lavori che aveva fatto per riuscire a mantenersi. Aveva imparato anche a distinguere i funghi velenosi, e così andava a raccoglierli nella foresta, insieme a delle erbe che la farmacista non mancava mai di pagare con qualche spicciolo. Nelle giornate come quella portava con sé il figlio nella speranza - inutile - che imparasse qualcosa. Il bambino era troppo piccolo e insisteva sempre per portarsi dietro la figlia del proprietario di quelle due piccole stanze che avevano in affitto e dove vivevano.
Comunque, il signor Muller non poteva lamentarsi. I genitori della bambina, forse perché desideravano tanto un altro figlio senza riuscire ad averlo, forse stupiti dall'intelligenza del ragazzino o forse perché lui faceva felice loro figlia come nessuno, avevano preso a cuore il piccolo Joseph. E poiché erano straricchi, il bambino non rischiava mai di andare a letto senza cena, a differenza del padre. Lo avevano preso sotto la loro ala protettrice e, nonostante il padre avesse protestato molto, gli mantenevano persino gli studi.
Il signor Muller si sentiva umiliato dalla situazione, ma voleva che Joseph studiasse e quello era il prezzo. Voleva che suo figlio potesse avere un futuro. Certo, i parenti della moglie erano benestanti, però non erano mai stati in buoni rapporti e lui preferiva mille volte l'elemosina di quei gentili signori.
I due bambini dunque erano con lui, ufficialmente per aiutarlo, praticamente per giocare e godersi il sole estivo.
Ad un certo punto Caroline, sdraiata a pancia in sù con lo sguardo verso il cielo, si era girata verso Joseph con le sopraciglia aggrottate.
«Joseph, dove è tuo padre?» aveva chiesto. Si era accorta che non sentiva più i passi del signor Muller e aveva avuto paura. Il bambino si era alzato e le aveva teso la mano, aiutandola a mettersi in piedi, poi si era guardato in torno. Aveva i calzoncini marroni sporchi di terra e la maglia bianca tutta stropicciata. Il vestitino di lei non era messo meglio.
«Non lo so, ma tornerà. Si sarà allontanato un po' di più» disse ostentando una sicurezza che non aveva. Anche lui aveva avuto paura quando, guardandosi intorno, non aveva scorto la figura rassicurante del padre.
«E se non torna?» chiese quella spaventata, gli occhi grandi spalancati dal terrore.
«Torna, fidati di me. E anche se non tornasse, ci sono io»
«Sapresti ritornare a casa?» la bambina era scettica e Joseph rispose troppo velocemente
«Si, certo» mentì. Non voleva spaventarla: doveva proteggerla, anche solo da quel sentimento di paura che era nato in lei. Caroline, a parte suo padre, era la persona a cui temeva di più al mondo. E poi era bellissima e si fidava ciecamente di lui. Era la sorellina che non aveva mai avuto e da che ricordava aveva sempre provato l'istinto di difenderla da ogni cosa; che si trattasse dei ragni che la spaventavano tanto o dei tuoni durante i temporali.
«E poi con me non devi avere paura: io ti proteggerò sempre» aggiunse sicuro.
«Mano sul cuore?» lui aveva riso e aveva messo la mano destra sul cuore.
«Mano sul cuore, Elly». Per un attimo lui rimase immobile mentre il vento gli soffiava leggero addosso scompigliandogli i capelli. Gli alberi erano gli unici testimoni, eppure conservarono gelosamente quella promessa, che lui avrebbe sempre rispettato e che lei avrebbe sempre ricordato, nonostante fossero solo bambini, come se l'attimo in cui lui l'aveva pronunciata si fosse cristallizzato nel tempo.
Poi Caroline si riscosse, e imbronciandosi ruppe quel momento tanto stranamente solenne per due bambini:
«Non chiamarmi Elly! Altrimenti ti chiamo "Jo" e sembri una femmina!»
«Elly! Elly! Elly! Elly» cominciò a canzonarla mentre con un balzò le fu di sopra facendole il solletico. Lei si dimenava come una pazza sul terreno scuro della foresta ridendo e cercando di ribellarsi a quell'assalto. Cominciarono a rotolarsi e le loro risate riecheggiavano allegre per la foresta.
Quando lei finalmente si arrese, la pancia dolorante per le troppe risa, non aveva potuto fare a meno di abbracciarlo e sussurrargli:
«Ti voglio bene, Jo»
E bene gliene voleva per davvero.
Lo immaginava così, il principe di Cenerentola e Biancaneve e di tutte le altre fiabe che la madre le raccontava la sera prima di dormire. Quei principi erano sempre belli come Jo e simpatici e buoni come lui. Se tutti gli altri maschi, anche gli amici stessi di Jo, la guardavano male perché era "femmina" e non giocavano con lei, lui la difendeva sempre, non le diceva mai di no, le offriva sempre la parte più buona del pane con la marmellata e qualche volta acconsentiva persino a giocare al dottore: lui era sempre il paziente.
Quindi gli voleva bene. Era suo fratello. Però, se avesse avuto un fratello, era sicura che non lo avrebbe considerato mai il suo principe. Quel posto nel suo piccolo cuoricino era riservato solo e soltanto a Jo.
***
Germania, Friburgo, 1929
Era Dicembre , la neve rendeva tutto gelido e in casa di Joseph non c'era neanche un pezzo di carbone per riscaldarsi. Tremando come una foglia, il ragazzino di quasi undici anni si guardava intorno spaesato. Era mezzanotte e il padre non era ancora tornato a casa. Era in ritardo di sei ore e fuori la tempesta infuriava, bestia implacabile e senza pietà.
Negli ultimi tempi le cose erano andate sempre peggio. Il padre faticava ogni giorno di più per trovare di che vivere, non pagavano l'affitto da tempo immemore e non avevano nulla con cui riscaldarsi. Non potevano neanche andare nella foresta, per cacciare qualcosa da mettere sotto i denti o raccogliere qualche frutto o fungo. Joseph aveva preso l'abitudine di pranzare a casa di Caroline e i genitori di lei lo guardavano compassionevoli, certi che fosse il suo unico pasto e senza sapere come fare per aiutarlo di più di come già facevano: Il signor Muller accettava ciò che davano al figlio, ma mai gli avrebbe permesso di fare di più.
Joseph aveva cercato di aiutare il padre, svolgendo piccoli lavori che gli fruttavano quei pochi spiccioli di cui andava tanto fiero e che erano accolti sempre benevolmente dal padre.
Quella sera però, al freddo e da solo, aveva davvero paura. Paura che fosse successa qualcosa a suo padre, di non sapere dove andare, cosa fare, a chi chiedere aiuto. Di botto, dopo ore passate immobile nella stessa posizione, era scoppiato in un pianto isterico. Senza suo padre, era solo.
Ancora singhiozzando era uscito da casa sua per raggiungere la porta della casa di Caroline. Le due stanze che chiamava casa erano in realtà le cantine umide della casa di Caroline e per raggiungerla gli bastò salire quei gradini puliti ma consumati.
Dopo qualche minuto da che aveva bussato lo aveva accolto il padre della bambina, tutto tremante e singhiozzante, digiuno e disperato. L'uomo lo aveva guardato sospirando e lo aveva lasciato entrare, cercando di essergli d'aiuto come poteva.
Si era addormentato sfinito ore dopo, davanti al fuoco e sotto lo sguardo preoccupato di quei due signori a cui lui voleva tanto bene quanto lo si vuole a dei nonni o a degli zii affettuosi.
Il giorno dopo un signore con grandi baffi e un cappotto nero abbottonato fin sotto al mento, aveva bussato alla casa di Joseph.
Suo padre, aveva detto, era stato ritrovato quella mattina per strada. Morto disidratato. Di freddo o di fame? Non si sapeva e neanche importava. L'unica cosa che aveva importanza era il riconoscimento del cadavere, il funerale, l'affidamento del bambino e altre mille pratiche burocratiche che Joseph non aveva nessuna forza di ascoltare.
Di tutto si era occupato il padre di Caroline, comprese le lettere da mandare ai parenti rimasti del bambino, solo uno zio a Berlino e una zia zitella che abitava in campagna nella parte opposta del paese.
Caroline era stata la sua unica fonte di forza. Era grazie a lei se non era sprofondato nel torpore, se riusciva ancora a mandare giù qualche boccone di cibo o se riusciva a piegare la bocca in quello che avrebbe dovuto essere un sorriso. Lei gli stava vicino, cercando di capire nonostante avesse solo nove anni. Lo faceva commuovere con quei dolcetti, che Caroline diceva preparati da lei con l'aiuto della cuoca, quando lui sapeva che l'unica cosa che la bambina aveva fatto era impastare tutto. Con quei bacetti sulle guancie quando piangeva. Con quel suo peluche preferito, che un giorno Joseph aveva trovato sul cuscino, con la sola spiegazione che lo avrebbe rallegrato. Con quel suo sgattaiolare nel suo letto per dormire abbracciati, che gli risparmiava tanti incubi.
Una sera però, davanti al fuoco, Caroline aveva dovuto comunicargli la notizia che lo avrebbe cambiato per sempre, che lo avrebbe portato ad essere ciò che non si sarebbe mai aspettato, qualcosa che gli avrebbe sconvolto l'animo.
«Joseph ... devo dirti una cosa» aveva esordito sedendosi sul tappeto accanto a lui. Erano ancora bambini ma l'affiatamento che avevano era raro.
«Non è una bella notizia, vero?» aveva detto Joseph con lo sguardo fisso sul fuoco. Il cambiamento aveva già iniziato a manifestarsi in lui ma era ancora ammorbidito dalla figura di Caroline, la parte più bella della sua infanzia che era da poco terminata di botto.
«Dipende dai punti di vista. Per me, è la notizia peggiore che ci possa essere. Ma i miei genitori dicono che potrebbe essere un bene per te cambiare aria» aveva detto lei, guardando a sua volta il fuoco.
«Vogliono mandarmi in qualche orfanotrofio? Non preoccuparti, anche se non saremo vicini di casa, non smetteremo di essere amici» si era sforzato anche di sorriderle prendendole una mano. Lei lo aveva guardato in viso e Joseph si era accorto che piangeva. E un campanello di allarme era suonato nella sua testa, perché Caroline era una bambina che non piangeva mai. Mai.
«Caroline, dove vogliono mandarmi?» si era allarmato.
«A Berlino, da quel tuo zio medico» aveva singhiozzando lei, affondando la faccia sul suo petto. Lui non aveva pianto. Si era stancato di versare lacrime. Aveva solo sentito qualcosa inclinarsi nel suo cuore. La rabbia lo travolse, per essere stato strappato da sua madre a causa delle pessime condizioni in cui era nato, durante la guerra; da suo padre, per colpa dell'inflazione e di tutti quei ricchi che abusavano del loro denaro, destinando ad una morte vergognosa altri esseri umani; separato dalla sua migliore amica, da sua sorella, l'unica persona che gli era rimasta, a causa di quelle dannate leggi sbagliate. La rabbia, aveva iniziato a covare in lui, ceca, ringhiante, feroce e senza perdono, come un cancro che piano avrebbe consumato tutto ciò che aveva intorno.
Aveva abbracciato quella bambina dolce e piena della stessa innocenza che stava scivolando via da lui veloce come l'olio.
Aveva dovuto salire in carrozza, guardando i suoi occhi verdi scuri di lacrime e gli sguardi compassionevoli di quei signori che tanto gli avevano dato. Prima però li aveva abbracciati forte, ringraziandoli mille volte della loro gentilezza. L'uomo era stato burbero come sempre, anche se Joseph aveva distinto gli occhi lucidi. La donna era semplicemente scoppiata in lacrime: si era abituata a considerarlo come un figlio e perderlo era devastante: avevano provato a farlo restare con loro, ma non era stato possibile. Poi si era avvicinato a Caroline e abbracciandola aveva suggellato la sua promessa.
«Tornerò Caroline. Ho promesso di proteggerti sempre, ricordi? In qualsiasi momento tu avrai bisogno, chiedimelo: per quanto potrò, io ti aiuterò» lei aveva annuito contro la sua spalla. Non voleva lasciarlo. Era ancorata alle sue spalle magre con tutta la forza che aveva in corpo e non voleva lasciarlo andare. Si rifiutava categoricamente di credere che non lo avrebbe più rivisto.
«Tornerò Caroline, te lo giuro. E sarò ricco e coperto di gloria. Verrò qui e ti sposerò» disse con l'avventatezza dei bambini. Eppure era sicuro, nonostante avesse solo unidici anni, che se avesse mai voluto stare con una donna per sempre, era lei. Non lo annoiava mai come le altre bambine, lo conosceva benissimo e poi era bellissima.
«Mano sul cuore?» aveva detto lei, tra le lacrime.
«Mano sul cuore, Elly» giurò senza riuscire più a trattenere le lacrime.
«Arrivederci allora, Jo» lo aveva salutato lei. Poi si era finalmente staccata da lui, singhiozzando.
Lui era salito nella carrozza tremando e si era affacciato. Mentre quella partiva aveva urlato anche lui il suo arrivederci. Non era un addio, non poteva neanche lontanamente considerare che si trattasse di una addio.
Ne sarebbe morto, altrimenti.

L'uniforme Nera con la Svastica RossaWhere stories live. Discover now